lunedì 20 dicembre 2010

Le navi romane, la nostra Pompei Senza soldi dal ministero, scavi bloccati e rischio allagamenti

Le navi romane, la nostra Pompei Senza soldi dal ministero, scavi bloccati e rischio allagamenti
CARLO VENTURINI
SABATO, 04 DICEMBRE 2010 IL TIRRENO - Pisa

PISA.Se a Pompei i muri crollano, a Pisa gli archeologi puliscono i servizi igienici e mettono l’olio nelle pompe idrovore. Accade agli scavi o delle navi romane nei pressi della stazione S.Rossore, uno scavo che, iniziato nel 1998, con le sue 16 imbarcazioni di varie epoche antiche, è la “miniera d’oro” del nascituro museo agli Arsenali medicei. Da almeno un anno il cantiere dello scavo è fermo per mancanza di fondi ed il lavoro va avanti con continuità solo nel laboratorio del centro per il restauro del legno bagnato, che è centro di riferimento per l’Italia e per l’Europa.
«Da mesi non riceviamo più un solo euro di finanziamento e quindi ci dobbiamo arrangiare», confessa Andrea Camilli, direttore dello scavo. Il “Camilli” italiano guadagna 1600 euro, il suo collega inglese guadagna 7 volte tanto e non è costretto, come fa Camilli, ad andare da ben sei mesi, in cantiere con propri mezzi e soprattutto il collega anglofono di Camilli non deve cambiare l’olio delle pompe. «Diciamo che non mi sono specializzato proprio con l’ambizione di cambiare l’olio alle pompe», commenta amareggiato. E quindi chi glielo fa fare? «La mia coscienza», taglia corto il direttore. E pensare che per andare a lavorare e studiare su quello scavo c’è la coda di archeologi e ricercatori che vengono dalla Turchia, dalla Francia e dagli Stati Uniti.
«La direzione regionale dei beni culturali fa il massimo e lo fa bene», dice Camilli. Peccato però che per tutto il 2010, Camilli ha dovuto fare i conti con solo 300mila euro arrivati dal Ministero.
«I conti sono presto fatti - dice - i soldi ci bastano solo per pagare le bollette. Il cantiere è di fatto fermo da un anno». Lo scavo appare in ordine, pulito, e ben tenuto a dimostrazione che nonostante la penuria dei fondi, gli archeologi si sono rimboccati le maniche e fanno di tutto anche se qualcuno li definì «fannulloni». «Facciamo il minimo indispensabile per evitare il degrado e per mantenere in sicurezza il cantiere», precisa il direttore. Le potenti pompe aspirano l’acqua per mantenere lo scavo asciutto, uno scavo che è proprio sulla falda freatica.
L’anno scorso, durante l’esondazione del Serchio, si è avuto un allagamento con danni per 20mila euro, soldi che non sono ancora arrivati. Se piove di quel che tuona e se si dovesse rompere un’altra pompa forse non ci sarebbero i soldi per ripararla o sostituirla in tempi brevi. Un altro allagamento nel cantiere potrebbe essere un’ipotesi non così remota e i danni rischiano di essere irreparabili. «Esatto - commenta Camilli - è proprio così».
La cosa che più amareggia circa la questione dei fondi, è che dal 1998 fino al 2010, di finanziamenti ne sono arrivati per circa 13 milioni di euro. Uno studio di fattibilità ne aveva previsti più di 25. E per fortuna, il privato ci ha messo una pezza. Forse non tutti ricordano infatti che le prime tre navi recuperate furono custodite per ben tre anni, presso lo stabilimento della Teseco di Ospedaletto. E sempre presso la Teseco ha ospitato la squadra di tecnici per il restuaro di queste prime imbarcazioni ed anche per procedere alla catalogazione di centinaia di reperti o frammenti archeologici.
«In Francia uno studio economico fatto dal governo - spiega Camilli - ha rivelato che ogni euro investito nella tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, ne porta 19 di indotto». Ma c’è chi ha detto che con la cultura non si mangia. «Abbiamo il centro per il restauro del legno bagnato - spiega Camilli - che potrebbe diventare una spin off del ministero perché è un centro di eccellenza in grado di lavorare anche per conto terzi e per Paesi stranieri». I soldi investiti in cultura non sono un vuoto a perdere.