giovedì 30 settembre 2010

Negli scavi di Santa Maria a Vico trovati sei scheletri del periodo romano

Negli scavi di Santa Maria a Vico trovati sei scheletri del periodo romano
CORRIERE ADRIATICO 09 SETTEMBRE 2010

Sant’Omero La storia torna ad essere protagonista a Santa Maria a Vico. Il comune di Sant’Omero, che ospita la chiesa costruita sui resti di un tempio pagano dedicato ad Ercole e considerata come unico monumento d’Abruzzo anteriore al Mille giunto a noi quasi completo, torna a far parlare di se.

Il sito acheologico infatti, adiacente alla chiesa di Santa Maria a Vico, è tornato nei giorni scorsi ad essere luogo di studio. Un’intensa attività di ricerca durata un’intera settimana che ha visto coinvolta l’università di Firenze.

I lavori sono stati diretti dall’antropologo forense Matteo Borrini e dal suo team di ricercatori. Si è aperta così una nuova sessione di scavi archeologici che ha portato al ritrovamento di 6 scheletri risalenti al periodo romano.

I reperti umani sono stati recuperati con tecniche archeologiche forensi, cioè tecniche investigative tipiche della scene del crimine. Il gruppo di antropologi fiorentini ha lavorato sui resti riportati già in parte alla luce nel 2008 dal campo archeologico realizzato dall’Archeoclub di Martinsicuro, in collaborazione con i gruppi archeologici del Veneto, con l’unione dei comuni della Val Vibrata e con i cultori di Ercole. Tutto venne realizzato sotto il controllo della Sovrintendenza dei beni culturali di Chieti.

Grazie ai numerosi e importanti reperti si sta decretando un futuro archeologico di successo per questo piccolo tesoro dall’anima antica che mette insieme storia e cultura. Ieri i resti rinvenuti sono stati trasferiti all’università di Firenze per essere sistemati e catalogati dall’antropologo Matteo Borrini e dal suo team. L’università fiorentina si occuperà di individuare le caratteristiche dei reperti. Si conoscerà così il sesso, l’età, la dieta, l’attività fisica che questi antichi abitanti di Sant’Omero avevano.
pa.ru.

martedì 28 settembre 2010

Corridoio del Colosseo

                                                        Corridoio del Colosseo

Antica iscrizione romana

Antica iscrizione romana

lunedì 27 settembre 2010

Arco di Dolabella con archi acquedotto

                                         Arco di Dolabella con archi acquedotto

domenica 26 settembre 2010

Arco delle Mure serviane

                                                          Arco delle Mure serviane

sabato 25 settembre 2010

Riemergono i reperti catalogati nel 1939: sono in un caveau al Museo della Civiltà romana

Indiana Jones ai Fori Imperiali, il mistero delle 500 casse
Alessandro Fulloni
CORRIERE DELLA SERA 12 set 2010 Roma

Riemergono i reperti catalogati nel 1939: sono in un caveau al Museo della Civiltà romana

Da pagina 1 Proprio come nella scena finale del film «Indiana Jones e i predatori dell’Arca Perduta», dove una «zoomata» riprende un numero incalcolabile di casse che stipano tesori archeologici dimenticati. Solo che qui non è finzione cinematografica. E’ tutto vero e ad aprirle viene fuori uno scoppiettante racconto della vita di tutti i giorni ai tempi dell’antica Roma. Le casse, 500 in totale, sono quelle «riscoperte» dagli «007» della Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e in qualche modo « dimenticate » dal 1939, anno in cui vennero sigillate in attesa di capire che farne. Poi venne la guerra e quel patrimonio – «dal valore inestimabile» – è rimasto silenziosamente abbandonato in qualche sotterraneo dell’Urbe. Materiale perlopiù proveniente dagli scavi per la costruzione della via dell’Impero - l’attuale viale dei Fori imperiali - ma anche da ricerche precedenti, che risalgono addirittura alla fine del XIX secolo dalle parti del Celio e del Palatino. Adesso stanno all’Eur, in un gigantesco caveau del Museo della Civiltà romana e se il loro contenuto - marmi, bronzi, utensili domestici, ceramiche, avori, mosaici, affreschi, vetri - sta tornando alla luce è per la decisione del sovrintendente Umberto Broccoli e del direttore dei musei capitolini Claudio Parisi Presicce che vogliono conoscere quel che c’è dentro i contenitori.
Sculture Molte anche le statue e i bassorilievi ritrovati durante gli scavi dell’anteguerra

Il termine esatto, quello utilizzato dagli archeologi per indicare il minuzioso tipo di lavoro che stanno svolgendo, è «processare». Vale a dire che ogni singolo oggetto conservato nelle casse - ne sono state aperte sinora 150 - viene catalogato, fotografato, censito con una specie di scheda riassuntiva, ripulito, restaurato se il caso. Tutte informazioni che finiscono in un data-base digitalizzato che mette a confronto lo studio condotto dagli « archeo-investigatori» all’opera al museo dell’Eur con quello, altrettanto certosino, ultimato dai loro predecessori oltre settant’anni fa. Anche loro «molto, molto bravi», per stessa ammissione di Broccoli. Se oggi, con sufficiente precisione, si riesce a capire da dove vengano quelle migliaia di reperti è anche per merito loro, che di quei ritrovamenti registrarono praticamente tutto, giorno, luogo e profondità del rinvenimento, «inventando, in sostanza, un metodo che prima non c’era» osserva ammirato Parisi Presicce.

La mole delle casse (piuttosto larghe e alte, un paio di metri per uno) accatastate una dopo l’altra è impressionante. E l’effetto suggestione aumenta a guardare le indicazioni misteriose, tracciate sul legno nel 1939, che ne svelano il contenuto. La «M» sta per «marmi», «PI» per «provenienza impero», «PV » per «provenienza varia». Ma le indicazioni possono essere anche più specifiche, come «Foro di Nerva», in altri casi più generiche, «Via dell'Impero». E poi il numero progressivo a conteggiarle, da 1 a 500. Nelle 100 casse «processate» sinora sono stati contati 9 mila reperti, dai tubi idraulici a quelli che servivano per una specie di riscaldamento, con l’acqua calda che arrivava direttamente dalle terme.

Dai sotterranei blindati dell’Eur viene fuori di tutto, anche quel che non t’aspetteresti, come le zanne di un elefante che cinquantamila anni fa pascolava nei pressi della Caput Mundi e una tela di lino perfettamente conservata che sembra una specie di Sindone. «Sappiamo che venne ritrovata dentro un’urna funeraria in una casa patrizia localizzata nei pressi di quella che oggi sarebbe via Genova. E’ un pezzo unico, straordinario - spiega il direttore dei musei capitolino - difficilmente i tessuti resistono al tempo e si conservano soltanto nei climi secchi, come quello egiziano». Proprio per meglio conservarlo, il lenzuolo è stato sigillato tra due lastre di vetro che evitano il contatto con l’aria. Per aprire «l’arca» formata da tutte le casse ci vorranno altri 2 anni. Poi il contenuto potrebbe essere utilizzato per raccontare in giro per il mondo come si viveva a Roma 2 mila anni fa.

venerdì 24 settembre 2010

giovedì 23 settembre 2010

Una domus romana sotto il cantiere ferma i lavori al comando della Stradale

Una domus romana sotto il cantiere ferma i lavori al comando della Stradale
CARLO GULOTTA
VENERDÌ, 10 SETTEMBRE 2010 la Repubblica - Bologna

La Soprintendenza archeologica ha bloccato l´area due mesi fa, dopo il ritrovamento
Nel sottosuolo un´abitazione di campagna forse abbandonata nel V secolo

UNA FAMIGLIA contadina dell´antica Roma sfratta la polizia stradale dalla sua nuova "casa". Tutto il compartimento, mica una pattuglia di passaggio. Sfratto temporaneo, ma tant´è: nella pancia del grande cantiere all´angolo fra via Bovi Campeggi e via della Bova, dove stanno costruendo la nuova sede del compartimento regionale della Stradale, è stata scoperta un´antica casa romana abitata fino al quinto secolo. Una "domus rustica", ovvero un´abitazione di campagna. E la Soprintendenza per i beni archeologici ha bloccato il cantiere, ormai due mesi fa, e spedito i suoi esperti a cercare le ultime tracce lasciate lì sotto da chi nelle campagne di Bononia visse duemila anni fa. «Un bel problema - dicono gli operai della Coop di Costruzioni, vincitrice dell´appalto, che hanno avvistato i muri perimetrali dell´edificio nel ventre dello scavo, tre metri sotto il piano stradale -. Siamo fermi coi lavori, non possiamo andare avanti. Ora qui comandano gli archeologi».
I poliziotti, scherzosamente, ormai la chiamano "la maledizione di Bovi Campeggi". Prima l´attesa infinita dei fondi per realizzare la nuova "caserma": un appalto da oltre 5 milioni di euro, sotto la direzione del ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Poi il gioco a rimpiattino coi senza casa e qualche pusher che qualche anno fa, quando al posto dello scavo c´era il vecchio edificio della Motorizzazione civile, s´accampavano negli stanzoni in abbandono. Per non parlare dell´albero che anni fa, abbattuto da un fortunale, piombò sull´auto di un agente della Digos facendola a pezzi. O dei lunghi giorni di lavoro necessari per bonificare l´area di cantiere da munizioni e bombe che sonnecchiavano là sotto dalla fine della guerra. Adesso è saltata fuori la casa romana. E gli uomini della Polstrada, che attendono da anni la nuova sede, saranno costretti ad aspettare ancora.
Un´abitazione dei tempi dell´antica Roma, ma non solo: quasi all´angolo con via della Bova è spuntata pure una piccola strada lastricata a ciottoli di fiume, un viottolo, o forse il cortile di un palazzo, di epoca successiva, lievemente inclinato in direzione del corso del Navile che passa proprio lì vicino.
Per gli operai, una sorpresa inaspettata e un impaccio. Per Renata Curina, funzionario della Soprintendenza, la conferma alle indagini nel sottosuolo fatte due anni fa. «Sapevamo che lì c´era qualcosa. Scavammo delle piccole "trincee" e affiorarono i muri perimetrali di una "domus rustica", forse abbandonata definitivamente nel quinto secolo. Per ora non abbiamo trovato oggetti o altri reperti, ma la campagna di scavo è entrata nel vivo proprio in questi giorni. Insomma, ancora non sappiamo con certezza cosa troveremo. Di certo c´è che l´edificio è più vasto di quel che si vede ora: il resto è ancora sotto via Bovi Campeggi. Poi c´è quella che sembra una strada lastricata, ma che invece dovrebbe essere il cortile di un palazzo, probabilmente del Settecento. Tempi per il recupero? E chi può dirlo? Abbiamo appena cominciato».
Dicono, gli archeologi, che non si tratta di reperti particolarmente importanti: improbabile che si decida di renderli "visibili" o di recuperarli. «Basta che facciano presto - sbuffano gli operai -, noi abbiamo fretta di finire i lavori».

Sigilli romani

                                                               Sigilli romani

Abito di patrizio romano.

                                                           Abito di patrizio romano

domenica 19 settembre 2010

«risale alla prima guerra punica»

Isole Egadi. Il sovrintendente Tusa: «risale alla prima guerra punica»
LA SICILIA, Domenica 12 Settembre 2010, pagina 37

Favignana.
Dopo 2.250 anni la I Guerra punica che si è combattuta il 10 marzo 241 avanti Cristo nel mare delle Egadi consente ancora di effettuare sorprendenti ritrovamenti.
L'ultimo è un rostro in bronzo individuato lo scorso 18 agosto grazie a un sonar utilizzato nel corso della campagna di indagini archeologiche subacquee e strumentali condotta questa estate, dall'1 agosto al 6 settembre scorsi, dalla Soprintendenza del Mare quando era ancora diretta da Sebastiano Tusa.
Il rostro, che è in perfette condizioni, era adagiato su un lato e semisepolto su un fondale sabbioso profondo circa 80 metri, a Nord Ovest dell'isola di Levanzo.
Il recupero è stato effettuato utilizzando le più moderne tecniche della ricerca archeologica subacquea alla quale ha collaborato anche la Fondazione statunitense «Rpm nautical», diretta da George Robb.
La Soprintendenza del Mare e la «Rmp nautical» non sono nuove a questo tipo di scoperte. Il 26 giugno 2008, dopo tre anni di ricerche nei fondali del «Banco dei Pesci», hanno portato alla luce il quinto rostro esistente al mondo il quale, dopo un attento esame si capì che somigliava a quello già esposto al museo Pepoli di Trapani. Era adagiato su un fondale profondo circa 70 metri e anche allora come oggi le operazioni di recupero vennero condotte con l'ausilio di un Rov oltre che con l'assistenza di mezzi nautici del Reparto aeronavale della Guardia di Finanza.
In precedenza, era il 15 giugno 2004, la Sezione archeologia del Comando Carabinieri Tutela patrimonio culturale di Roma, coadiuvata dal Nucleo Tutela patrimonio culturale di Palermo aveva recuperato con 19 anfore intere e frammentarie di fattura greca, romana e punica e tre ceppi d'ancora romani in piombo un altro rostro in bronzo, poi consegnato in custodia giudiziale al direttore del servizio per i beni archeologici della Soprintendenza di Trapani che all'epoca era l'attuale neo soprintendente Sebastiano Tusa. Il rostro era unico nel suo genere, nel Mediterraneo se ne conosceva solo un altro rinvenuto vicino Atlit, in Israele e risultò appartenere a una nave romana che all'epoca della I Guerra punica combattè vittoriosamente contro la flotta cartaginese.
Il rostro è un oggetto da sfondamento che anticamente veniva montato sulla prua delle navi per affondare quelle nemiche nelle quali praticava delle falle che si rivelavano determinanti per sconfiggere gli avversari. Si inseriva nel punto di congiunzione tra la parte finale prodiera della chiglia e la parte più bassa del dritto di prua e nella parte anteriore presentava un possente fendente verticale rafforzato da fendenti laminari orizzontali.
Margherita Leggio


12/09/2010

giovedì 16 settembre 2010

Il testimone della guerra punica andrà all' Abatellis il rostro di Levanzo

Il testimone della guerra punica andrà all' Abatellis il rostro di Levanzo
La Repubblica, 15-09-10, pagina 15 sezione PALERMO

l. n.

È IL terzo rostro in bronzo recuperato nelle acque delle isole Egadi, e potrebbe essere un' altra testimonianza riconducibile alla battaglia che il 10 marzo del 241 avanti Cristo sancì la fine della prima guerra punica. È questa l' ipotesi di Sebastiano Tusa, ex Soprintendente del mare appena transitato alla Soprintendenza di Trapani, a conclusione della campagna di ricerche effettuata ad agosto a Levanzo, in collaborazione con la fondazione statunitense Epm. La scoperta del rostro, che era un elemento di sfondamento montato sulla prua delle navi antiche per affondare le imbarcazioni nemiche, per Tusa ha un valore particolare: «È un dato che conferma in via definitiva la mia teoria sulla localizzazione dello scontro tra Cartaginesi e Romani in queste acque - dice Tusa - e non a Cala Rossa di Favignana come ancora molti asseriscono». Il reperto, individuato il 18 agosto, era in perfette condizioni e si trovava adagiato in posizione laterale e semisepolto su un fondale sabbioso a circa 80 metri di profondità. Il 22 settembre il rostro sarà esposto a Palazzo Abatellis, in occasione della "Notte preziosa" che permetterà di ammirare capolavori archeologici. l. n.

Il grido d’allarme dello studioso: «Un reperto unico dobbiamo salvarlo»

Il grido d’allarme dello studioso: «Un reperto unico dobbiamo salvarlo»
DOMENICA, 12 SETTEMBRE 2010 IL TIRRENO - - Lucca

Un gioiello in legno di quercia antico 2150 anni. Così il professor Michelangelo Zecchini definisce il tempio ligneo rinvenuto durante gli scavi archeologici al Frizzone. Grandi travi di legno di quercia perfettamente conservate grazie alle continue alluvioni del Serchio.
Le acque alluvionali negli anni hanno ricoperto i resti con un limo azzurrognolo che ha permesso loro di arrivare fino a noi intatti. Insomma, una piccola Pompei della Piana, ancora meglio di Pompei perché l’acqua e il fango non bruciano, ma aiutano a conservare, come spiega lo stesso Zecchini, che degli scavi è stato il responsabile.
«Le alluvioni sono state una manna per noi - dice - limo e fango hanno mantenuto il legno intatto. Davanti ai nostri occhi, durante gli scavi, è apparso un tesoro di inestimabile valore: quattro travi di legno di castagno su ogni lato del tempio, una scalinata (sempre in legno) che ci fa pensare che il tempio fosse ipogeo, ovvero che si trovare qualche metro sotto il livello di campagna. Al suo interno frammenti di anfore e una semi contenuti nelle stesse anfore, su un pavimento di fogliame». Solo a ricordare la scoperta, Zecchini si emoziona. Il tempio è un esempio unico di architettura lignea di epoca romana del 150 a.C. circa. Altre strutture analoghe non esistono né sarà facile trovarne. Al Frizzone, complice l’antico Auser, oggi Serchio, si sono create le condizioni ottimali per la sua conservazione.
«Con tutti i reperti che abbiamo scoperto, c’è lavoro per generazioni e generazioni di archeologi - prosegue lo studioso -. Moltissimi i ritrovamenti di valore anche per la ricostruzione del paesaggio e della vita dell’epoca. Un esempio: sono stati rinvenuti semi che paiono essere di zucca indiana. Può sembrare cosa da poco, ma sarebbe eccezionale perché testimonierebbe l’esistenza di rapporti commerciali tra la nostra zona e l’estremo oriente già 2200 anni fa. Ora quel tempio che ci ha strabiliati e affascinati, nonostante la generosità del laboratorio Piacenti, rischia di non essere restaurato ed esposto».
A.B.

mercoledì 15 settembre 2010

Munere Mortis La necropoli del Frizzone di Capannori

Munere Mortis La necropoli del Frizzone di Capannori



Lo scavo della necropoli del Frizzone di Capannori permette di ricostruire i riti funerari della Piana di Lucca nel corso del I e II secolo d.C.

Il tempio ligneo del Frizzone rischia lo sfratto.

Il tempio ligneo del Frizzone rischia lo sfratto.
ARIANNA BOTTARI
DOMENICA, 12 SETTEMBRE 2010 IL TIRRENO - Lucca

Il tempio rischia lo sfratto

Da tre anni è conservato a Prato, ma nessuno paga il restauro

Le travi lignee di epoca romana rinvenute al Frizzone si trovano in tre enormi vasche piene di acqua depurata di continuo

LUCCA. Il tempio ligneo di epoca romana rinvenuto al Frizzone oltre tre anni fa rischia lo sfratto. Immerso in due vasche d’acqua depurata nei locali dello studio Piacenti di Prato, il reperto di inestimabile valore non ha ancora una casa né gli sono stati destinati fondi necessari per il restauro.
Il contratto con il laboratorio pratese (spese per tre anni pagate dalla Società Autostrade) è scaduto da alcuni mesi e, nonostante la buona volontà dei titolari, il tempio non potrà rimanere a Prato per sempre.
Per conservarlo hanno dovuto realizzare tre vasche lunghe circa sei metri e alte uno piene di acqua depurata in continuazione. Le vasche occupano la metà degli spazi del laboratorio Piacenti.
«Il legno deve rimanere immerso in acqua, solo così si mantiene intatto e continua ad espellere tutti gli inquinanti accumulati nei secoli. Fuori dall’acqua si deteriorerebbe in pochissimo tempo». Parla Marcello Piacenti, che ha seguito in prima persona le sorti della struttura lignea. I Piacenti sono tra i massimi esperti di recupero e restauro del legno. La famiglia tramanda il mestiere di generazione in generazione da fine Ottocento. Con grande soddisfazione il laboratorio, ormai più di tre anni fa, accettò l’incarico di recupero della struttura rinvenuta a Capannori dagli archeologi. «Il professor Michelangelo Zecchini ci disse subito che si trattava di un esempio unico. Quando ricevemmo l’incarico dalla Società Autostrade, partecipammo all’estrazione e poi trasportammo le travi nel nostro laboratorio, dove le tre vasche erano state appositamente costruite per alloggiarle e dare inizio al processo di depurazione - spiega il restauratore -. Mai ci saremmo aspettati che la vicenda sarebbe finita in questo modo. Alla depurazione sarebbe dovuto seguire il recupero e restauro, ma i fondi non sono mai stati trovati. Così il tempio è ancora qui da noi, sott’acqua, in attesa di sapere quale sarà il suo futuro. Il nostro contratto è scaduto, ma il professor Zecchini ci ha chiesto di “ospitarlo” ancora per un po’, nella speranza che qualcosa si muova. Devo ammettere che per noi i costi sono notevoli».
«Possiamo andare avanti così ancora per un po’, ma non per molto - dice Piacenti -. Ricordo che all’inizio gli enti erano entusiasti della scoperta e ci rassicurarono sul suo futuro e sui fondi che gli sarebbero stati destinati per il restauro. Poi, all’improvviso più nulla. Non abbiamo visto più nessuno. Per noi tenerlo qui è un sacrificio, che facciamo volentieri per il valore della scoperta - conclude l’esperto - ma saremmo ancora più felici se sapessimo che, finalmente, è possibile restaurarlo e, soprattutto, renderlo visibile a tutti».