lunedì 31 agosto 2009

Riapriamo il Teatro Romano. La chiusura non è più tollerabile.

Riapriamo il Teatro Romano. La chiusura non è più tollerabile.
29/08/2009 IL MATTINO

«Riapriamo il Teatro Romano. La chiusura non è più tollerabile. L'amministrazione comunale è pronta alla gestione». Così l’assessore Giovanni D’Aronzo. Che aggiunge: è partita ”Quattro notti...”, organizzata dal Comune, a breve aprirà i battenti Città Spettacolo, rassegne ormai consolidate e apprezzate in Italia e all’estero, per la qualità degli eventi programmati, e per le bellezze storiche presenti nella nostra città. Una manifestazione artistica e culturale che s'inserisce quindi a pieno titolo, nel variegato panorama artistico nazionale. La città tutta, principalmente il centro storico, a partire da Piazza Roma, all'Arco di Traiano, Hortus Conclusus, la Rocca Dei Rettori, Piazzetta Vari, Piazza Piano di Corte fino ad arrivare all'Arco del Sacramento, splendidi e suggestivi angoli della città diventano il palcoscenico dei numerosi eventi in programma. «Gli sforzi messi in campo quest'anno da tutta l'amministrazione comunale, attraverso l'ottimo impegno dell'assessore alla Cultura Del Vecchio, meritavano di essere premiati così come i residenti della zona dell'antico Triggio e Via Torre della Catena, con l'apertura del Teatro Romano, luogo sicuramente tra i più suggestivi e apprezzati dall'intera cittadinanza. Tantissimi sono stati in passato le manifestazioni che hanno visto come cornice l'imponente Teatro Romano, tanti gli artisti di caratura mondiale che hanno contribuito a far risplendere quei luoghi storici. Una volta, ben conservato, grazie a ripetuti interventi di restauri perché potesse essere ammirato in tutta la sua bellezza monumentale, oggi abbandonato, degradato. Ci candidiamo a patrimonio mondiale dell'UNESCO, appuntamento però cui si arriva dopo aver restaurato e recuperati tutti i monumenti. Ebbene, a questo appuntamento irripetibile per la nostra comunità, non possiamo permetterci di arrivare senza il Teatro Romano, non si può disperdere un simile patrimonio è un'offesa alla storia alla cultura all'intera città. Quindi, invito la Soprintendenza Beni Culturali, a voler quanto prima recuperare l'intero Teatro a mantenerlo decorosamente, se possibile, altrimenti come amministrazione siamo disponibili a farci carico della gestione, ma soprattutto a riconsegnarlo alla sua funzione, alla storia, alla cultura alla intera città. Colgo l'occasione, visto che è annunciata la presenza a Benevento del Premier Berlusconi, con la speranza che ci sia anche l'On. Bondi, di programmare una visita anche al Teatro Romano, sarebbe un'ottima occasione per fargli constatare di persona, lo stato di abbandono in cui versa un patrimonio dal valore storico culturale inestimabile».

Anzio ricorda il «suo» imperatore con i reperti inviati dal British Museum

Anzio ricorda il «suo» imperatore con i reperti inviati dal British Museum
Edoardo Sassi
31 agosto 2009, CORRIERE DELLA SERA

L’altro Nerone

Come in ogni museo archeologico gli oggetti in mostra hanno secoli di storia alle spalle. Ma qui, uno speciale fascino spesso proviene da quelle didascalie, lì ad indicare i luoghi dei ritrovamenti: «dal mare»... E sul mare affacciano i resti della Villa imperiale di Anzio, villa che fu di Nerone, imperatore tra i più celebri nell’immaginario collettivo (anche tra quanti ignorano la storia) e personalità da cui promana un fascino che questa mostra — allestita fino al 16 gennaio nel Museo civico archeologico della città balneare— contribuisce ad alimentare, con oggetti (pochi, ma ben selezionati) provenienti dal British Museum di Londra e dai Musei Capitolini di Roma.
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l'articolo completo lo trovate sul sito del "Corriere della Sera"
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la medaglia con la raffigurazione dell'Imperatore Nerone proviene dal nostro archivio.

MARCO AURELIO PROBO. L’imperatore delle monete

MARCO AURELIO PROBO. L’imperatore delle monete
Lunedì 31 Agosto 2009 CULTURA Pagina 39 - L'ARENA

ESPOSTO AL MUSEO ARCHEOLOGICO UN CAMPIONARIO DI DENARI FATTI CONIARE DA MARCO AURELIO PROBO

Nel 1876 a Venèra di Sanguinetto ne vennero ritrovate oltre 50mila, quasi tutte catalogate

È un imperatore romano poco noto, ma i cui discendenti si insediarono proprio nel Veronese, in quel territorio che oggi è Colà di Lazise. Lui, Marco Aurelio Probo, ha regnato per soli sei anni, dal 276 al 282 d.C., uno spazio breve in cui però si è trovato a concludere la pace con i Persiani, a condurre campagne vittoriose contro i Germani, a reprimere un tentativo di usurpazione nelle Gallie e a celebrare il trionfo a Roma nel 281. L'anno dopo è stato ucciso dai suoi soldati. Ma, al di là dei suoi meriti militari, Probo può essere considerato «l'imperatore delle monete»: sotto il suo regno ne sono state emesse diverse migliaia, un campione delle quali è esposto in una piccola interessante mostra al Museo Archeologico del Teatro Romano, aperta fino al 4 ottobre. L'esposizione è la quarta della serie denominata «In visibilia» ed è stata allestita in occasione della pubblicazione di «La monetazione di Probo a Roma, 276-282 d.C.» di Jean Guillemain, oggi capo del Servizio di documentazione sul libro e la lettura della della Bibliothèque Nationale de France, che ha vissuto a Verona per diversi anni, per poter esaminare una per una le migliaia di monete di questo imperatore.
Le monete, come si sa, provengono da quell'autentico tesoro che è il ripostiglio della Venèra, a sud di Verona, rinvenuto per caso nel 1876, che contava in origine più di 50mila pezzi, di cui ben 45873 si conservano oggi nei Musei Civici d'arte cittadini, e di cui s'è iniziata una nuova catalogazione, affidata al prestigioso Cabinet des Médailles della Bibliothèque Nationale de France di Parigi in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique. I lavori, iniziati nel 1981, hanno portato alla pubblicazione di quattro volumi, relativi a diversi imperatori. Con l'opera di Guillemain dedicata alla monetazione di Probo, parte di quel «Ripostiglio della Venèra. Nuovo catalogo illustrato» edito da Comune di Verona e Civici Musei d'Arte, a cura di Jean-Baptiste Giard e Denise Modonesi, si è alla penultima tappa della pluridecennale fatica.
Il libro, che si indirizza alla comunità scientifica ma che presenta molti motivi d'interesse per gli appassionati di numismatica, prende in esame 4880 «antoniniani» (pezzi del peso di un po' meno di 4 grammi e del diametro di 20-25 millimetri) emessi dalla Zecca di Roma. Dopo una introduzione, il capitolo «Emissione e circolazione» comprende: Classificazione e cronologia della monetazione; metrologia; funzionamento della zecca; circolazione monetale; monete false e dubbie; fonti e bibliografia. Il capitolo «Tipologia» è suddiviso in: codici e simboli; antoniniani; monete di celebrazione; indici.
Il volume si completa col catalogo delle monete del ripostiglio della Venèra e con le tavole che illustrano 539 antoniniani romani di Probo.
Il lavoro di Guillemain è sottolineato in catalogo da Paola Marini, direttrice dei Civici musei d'arte e monumenti, e da Margherita Bolla, curatrice dei Musei archeologico e maffeiano. «Il suo studio sulle monete - rilevano - è stato condotto secondo i più aggiornati metodi della numismatica, approfondendo l'evoluzione dei busti e delle legende al diritto, la variazione dei tipi e dei contrassegni d'officina al rovescio, individuando legami di conio, registrando variazioni di peso. L'insieme di tali dati ha consentito di chiarire la successione cronologica delle emissioni monetali, apportando interessanti precisazioni alla conoscenza di un periodo ancora poco conosciuto della storia di Roma».
«Non va però dimenticato - aggiungono - che la fatica di tutti questi studiosi non avrebbe potuto concretizzarsi senza l'impegno, la competenza e la dedizione di Denise Modonesi, conservatrice della Sezione Numismatica». L'esposizione di monete, che con l'edizione del ricco volume rappresenta un ulteriore passo nella valorizzazione dei materiali rinvenuti alla Venèra, offre ai veronesi un contatto col poco conosciuto Probo e, magari, con l'altrettanto poco noto museo archeologico al Teatro Romano, mèta di visitatori in gran parte non veronesi.

giovedì 27 agosto 2009

delle diverse circonfere che ebbero dopo Romolo le Mura di Roma


delle diverse circonfere che ebbero dopo Romolo le Mura di Roma

Passioni nella Roma antica: vita di Sorano da Efeso,che amava e curava le donne

l’Unità 27.8.09
Passioni nella Roma antica: vita di Sorano da Efeso,che amava e curava le donne
di Roberto Brunelli

Un viaggio fascinoso tra le pieghe dell’impero romano, alla scoperta di Sorano da Efeso, medico ellenico diviso tra la passione per una patrizia, una schiava etiope e un’ex prostituta. È il nuovo romanzo di Romano Forleo.

Nato nella colta Efeso quando i patrizi romani si facevano curare solo da medici ellenici, figlio della rispettata ostetrica Fede e del vasaio Menandro, Sorano è un uomo che amava le donne. Al punto da diventare il primo ostetrico dell’antichità, fondatore della ginecologia, autore del trattato “Gynaecea” ovvero «Le malattie delle donne». Le amava al punto da sgridare le medicae ignoranti che saltano sulla pancia delle partorienti, da sfidare l’ira dei centurioni per gli esiti infausti di tanti parti dell’epoca, da rischiare la vita curando le piaghe delle cristiane perseguitate dall’Impero negli ambulatori clandestini sugli argini del Tevere.
Romano Forleo, ginecologo di fama, docente universitario, membro del comitato nazionale di Bioetica, ne L’uomo che curava le donne (Electa Edizioni, 20 euro) ricostruisce in veste romanzata la vita di Sorano da Efeso: l’infanzia in Asia Minore, gli studi ad Alessandria d’Egitto, la fascinazione per Roma, il buen retiro agreste della maturità accompagnato dai giovani figli.
EROS E AMORE MATERNO
Un affresco singolare che coniuga il successo professionale del giovane studioso, la cui «taberna» accresce man mano il numero di locali e di «medicae» da istruire, con la sua irrequieta vita sentimentale tra l’infatuazione adolescenziale per Domizia e la passione per la schiava etiope Hagar, ma sempre all’ombra dell’amore mai consumato per Giulia, amica di famiglia e sensuale moglie di un magistrato romano. Eppure, Sorano finirà per sposare Prisca, ex prostituta conosciuta in un lupanare e ritrovata come allieva infermiera, convertita al cristianesimo, che lo ammonirà a non confondere eros e amore materno.
Sullo sfondo, la vita politica decadente dell’Urbe, la corruzione, i tumulti razziali e religiosi, le persecuzioni contro i giudei e l’austera «setta dei cristiani». Mentre si succedono gli imperatori: l’incendiario Nerone, Adriano così promettente e infine deludente, Antonino intenzionato a riportare la pace in territori lacerati.
Le pagine più fascinose del libro riguardano la medicina di allora, tra filosofia aristotelica e rimedi naturali. Fede è «sacerdotessa» eppure viene pagata solo in caso di guarigione e, se la prognosi è infausta, può rifiutare le cure e mandare il paziente al tempio di Esculapio. Sorano applica decotti di erbe e impiastri di polveri minerali, «aggiusta le ossa» con ferri e coltelli affilati, anestetizza con semi di oppio cotto nel vino, cura la pelle con impacchi di malva, somministra vino al miele contro la nausea. Nel tempo amplia la sua farmacia, studia la contraccezione, tenta di curare l’omosessualità con bacche di bella donna e radici di mandragora, scopre innovative techinche di parto.
Tuttavia, la vera protagonista è Roma, e tra le righe traspare l’amore dell’autore per la sua città: «Immensa. Palazzi imponenti, templi e teatri ovunque. Belle case dipinte di azzurro. Fiori e giardini». Il tracciato della Via Appia, le monumentali Terme di Traiano, gorgoglianti zampilli di fontane, le querce del Celio: in ogni angolo si riflettono lo stupore e la meraviglia nel cuore del giovane provinciale destinato a entrare nella storia della medicina.

martedì 25 agosto 2009

Da San Giovanni a Porta Maggiore tra sepolcri, acquedotti e binari

Da San Giovanni a Porta Maggiore tra sepolcri, acquedotti e binari
EMANUELE TREVI
DOMENICA, 23 AGOSTO 2009, La Repubblica, Roma

Sotto gli archi, dai quali si usciva per imboccare la Casilina o la Prenestina, esiste ancora qualche metro dell´antica strada, con le lastre di basalto

Da Porta San Giovanni a Porta Metronia: prosegue il viaggio con lo scrittore alla scoperta dell´antica cinta delle Mura Aureliane, uno dei grandi tesori di Roma
Mi lascio alle spalle anche Porta San Giovanni, in direzione della chiesa di Santa Croce in Gerusalemme e di Porta Maggiore. Percorrendo la parte interna del perimetro, la camminata è tutt´altro che spiacevole, grazie ai giardini ricavati fra viale Carlo Felice e le mura. Ma mi tengo all´esterno per godermi l´apparizione dell´Anfiteatro Castrense, con la sua perfetta forma ellittica, che può far pensare alla prua di un´immensa nave costruita in mattoni. Le Mura Aureliane, come ho già avuto modo di osservare, hanno la caratteristica di inglobare nel loro sistema difensivo tutto ciò che incontrano sul loro cammino, fosse anche una piramide oppure, come in questo caso, un teatro destinato al divertimento della famiglia imperiale, inserito in quel complesso di edifici detto il «Sessorium» sul quale poi è sorta la basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
I cultori delle storie romane più folli e perverse non possono che legare questi luoghi alla memoria di Eliogabalo e delle sue leggende: «l´anarchico incoronato», come lo ha definito un grande scrittore moderno. Ed eccolo, finalmente, questo teatro trasformato in possente bastione, che interrompe il corso rettilineo delle mura. Le quali proseguono, sull´altro lato, fino all´imbocco della sopraelevata della Tangenziale. Ammesso che riusciate a trovarvi un posto abbastanza tranquillo per godervelo, il colpo d´occhio che si gode alla fine di viale Castrense è eccezionale nella sua confusione di antico e contemporaneo. La confusione ubriaca lo sguardo, quasi ci trovassimo in una città asiatica, e le antiche pietre delle mura e degli acquedotti che convergono in questa zona si fondono in maniera indistricabile agli svincoli, ai semafori, ai tralicci e ai terrapieni della ferrovia. È come se le epoche, invece di sovrapporsi in maniera meccanica, con la nuova che cancella tutto ciò che la precede, si fossero accordate per collaborare insieme a un disegno, a una segreta armonia di linee, volumi, prospettive. Confesso che all´antichità relegata in un parco archeologico preferisco questa, che convive con il caos urbano e vi si confonde, riprendendo di quando in quando il sopravvento. A patto di non farcele crollare in testa, o deturparle irreparabilmente, le cosiddette "rovine" dovrebbero far parte il più possibile della vita quotidiana. Circondata com´è dai binari dei tram, non fa eccezione nemmeno l´isola monumentale formata dalla Porta Maggiore e dal monumento funebre di Marco Virgilio Eurisace e di sua moglie Atistia.
Forse non c´è vista migliore di tutto questo insieme marmoreo di quella che si gode dal terrapieno della ferrovia, quando si arriva a Roma dal sud, quando un semaforo blocca il treno a poche centinaia di metri dalla stazione Termini. E´ la maestà imperiale nel pieno del suo apogeo quella che fa mostra di sé a Porta Maggiore, costruita da Claudio nel 52 dopo Cristo nel punto in cui convergevano ben otto dei dodici acquedotti che rifornivano Roma. Un progetto architettonico così ambizioso, questo, che sia Vespasiano che Tito, nel giro di pochi anni, dovettero intervenire con dei restauri, come attestano le tre solenni iscrizioni sull´ampia fronte della porta. Sotto gli archi, dai quali si usciva dalla città per imboccare la Casilina o la Prenestina, esiste ancora qualche metro dell´antica strada, con le lastre di basalto segnate dall´impronta di innumerevoli carri. Verso la fine del primo secolo avanti Cristo, quando ancora questa zona era ben fuori dall´abitato, Eurisace, ricco panettiere e fornitore ufficiale dello stato, decise di far costruire qui il suo inconfondibile monumento funebre, in tutto e per tutto simile a un grande forno con le sue bocche circolari spalancate. Dalla pesatura del grano alla cottura, tutte le fasi della nobile arte della panificazione (non molto cambiate nei secoli, in fin dei conti) sono rappresentate nei bassorilievi di un fregio decorativo che scorre lungo la sommità del monumento. Questo amore per il proprio lavoro, che resiste anche alla morte, è un segno di nobiltà umana più eloquente di qualunque elogio. E ci si allontana da Porta Maggiore con un sentimento di ammirazione per Eurisace il panettiere (che forse in origine era nient´altro che un liberto) che nemmeno il più glorioso imperatore saprebbe ottenere da noi.
Per continuare a seguire le mura, bisogna attraversare il ponte ferroviario e svoltare subito a sinistra in via di Porta Labicana. Sul lato interno del tracciato, inizia l´area della stazione Termini, mentre da questa parte le mura costeggiano il quartiere di San Lorenzo, creando il fondo prospettico di moltissime strade, da via dei Messapi su su fino a via dei Frentani. Tanto che l´immagine delle mura e quella del quartiere sembrano fondersi indistricabilmente nel ricordo, come non avviene in nessun altro luogo della città. Attraversato piazzale Tiburtino, dove sbocca il buio tunnel proveniente da viale Giolitti, si continua a passeggiare beatamente lungo viale di Porta Tiburtina. Ecco un altro caso di ‘cannibalismo´ delle mura, più visibile dall´interno che dall´esterno: molto prima della costruzione delle Mura Aureliane, infatti, già esisteva l´arco, eretto nientemeno che da Augusto. Oggi il monumento, come già accadeva a Porta Asinaria, è protetto da un recinto, e lievemente al di sotto del livello stradale. Le teste di toro che ornano la volta fanno pensare un poco a un ranch americano. Ma a pochi metri da Porta Tiburtina, alzando lo sguardo sugli spalti, si potrebbe credere di avere le traveggole: c´è un bellissimo palazzo settecentesco, di un sobrio rococò (se così si può dire) cotto dal sole e dagli anni, appollaiato sulle mura. Fu Filippo Raguzzini, il più brioso ed elegante architetto del settecento romano, a firmare il progetto di Villa Gentili, poi Dominici. Quale epoca storica, quale stile, quale estetica non ha trovato ospitalità su queste mura, nate per respingere goti e visigoti? Più che un monumento, le si potrebbe definire il riassunto, il compendio dell´intera città.
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nella foto Acquedotto di Claudio, foto dall'archivio fotografico di questo blog.

Ustrino dove bruciavano i corpi i Romani

Ustrino dove bruciavano i corpi i Romani

La fibula prenestina

La fibula prenestina
Maurizio Bettini
LUNEDÌ, 24 AGOSTO 2009, La Repubblica, Cultura

La bomba esplose nel 1980: la fibula Praenestina, uno dei monumenti più preziosi delle antichità romane, era in realtà un falso. Dopo la deflagrazione le schegge si sparsero un po´ dovunque - archeologia romana, epigrafia, linguistica storica, perfino i manuali universitari ne furono colpiti. Autrice dello sconquasso era una coraggiosa studiosa di antichità classiche, Margherita Guarducci, che in una Memoria Lincea di quell´anno aveva dimostrato – o così parve a molti – che questo venerabile cimelio, posseduto dal Museo Pigorini, era stato in realtà confezionato a Roma alla fine dell´Ottocento. L´oggetto di cui parliamo è una "fibbia" d´oro, ossia una sorta di grosso spillo da balia comunemente usato nell´antichità per fermare le vesti. Salvo che la fibula Praenestina reca incisa un´iscrizione di straordinario interesse. Scorrendo da destra a sinistra, infatti, vi si legge questa frase: Manios med fhefhaked Numasioi "Manio mi ha fatto per Numasio", poche parole scritte in un latino talmente arcaico che lo stesso Plauto avrebbe stentato a capirle. Fibbia e iscrizione venivano datate al VII secolo a. C., di conseguenza l´orgogliosa dichiarazione di Manio – un artefice che aveva confezionato quell´oggetto per Numasio? – costituiva la più antica testimonianza della lingua latina che ci fosse pervenuta. Come dicevamo, fino alla memoria della Guarducci non vi era manuale universitario che non prendesse le mosse da questa iscrizione.

Nella sua puntigliosa ricerca, la studiosa aveva proceduto ad una vera e propria indagine "poliziesca" (l´aggettivo è suo), scandagliando ogni angolo di quel milieu antiquario che rendeva unica la Roma di fine Ottocento. Le sue conclusioni, corroborate da opportune analisi chimiche e addirittura grafologiche, furono perentorie: la fibula sarebbe stata confezionata nel 1886 da un archeologo e filologo tedesco, Wofgang Helbig, e da un suo amico antiquario, Francesco Martinetti.

Entrambi personaggi di spicco nella Roma dell´epoca, entrambi capaci di mescolare con grande disinvoltura erudizione ed affari: cosa peraltro comune in un ambiente che maneggiava reperti di straordinario valore venale, oltre che scientifico. Helbig, buon antichista, avrebbe dunque confezionato l´iscrizione di Manio utilizzando le teorie che la linguistica storica dell´epoca stava man mano elaborando. Ne derivò un testo che non solo poteva apparire autentico, ma confermava addirittura quanto alcuni storici (Theodor Mommsen in primo luogo) andavano sostenendo a proposito dell´introduzione dell´alfabeto nel Lazio. Per l´iscrizione della fibula Praenestina fu semplicemente la fine. Ricordo ancora la lezione in cui, giovane professore di Grammatica Greca e Latina, dovetti invitare i miei studenti a dimenticare i meravigliosi arcaismi contenuti nell´iscrizione "parlante" di Manio.

Dietro la maschera del remoto artefice di Preneste, faceva adesso capolino la faccia dotta ed astuta di un professore tedesco.
Da quella fatidica memoria della Guarducci sono passati trent´anni, e adesso un´altra studiosa, Annalisa Franchi De Bellis, glottologa dell´Università di Urbino, rimette tutto in discussione. La fibula è autentica, ci viene detto. Anche la memoria della De Bellis, pubblicata nei "Quaderni dell´Istituto di Linguistica dell´Università di Urbino", ha la forma di un´indagine "poliziesca". Gli argomenti della Guarducci vengono passati al setaccio stretto – e molti di essi, in effetti, non paiono per nulla convincenti. Per citare un solo esempio, come spiegare il fatto che la fibula non fu venduta dal Martinetti, ma donata allo Stato? Un falsario falsifica per lucro, non per generosità. Il fatto è che la Guarducci sembra esser stata animata da una notevole antipatia nei confronti di personaggi come Martinetti e Helbig – i cui eredi del resto la portarono in tribunale per diffamazione – e questo probabilmente non favorì la sua serenità di giudizio. In ogni caso, la difesa della De Bellis si fonda non solo sulla confutazione degli argomenti portati dalla Guarducci, ma anche su nuove analisi archeometriche e, soprattutto, su nuovi riscontri filologici e linguistici. In particolare, la De Bellis mostra che il famoso fhefhaked "fece", accusato di essere un falso calcato sulle teorie dei glottologi tedeschi, trova invece riscontro in alcune epigrafi falische recentemente scoperte: testimonianze che non potevano esser note alla Guarducci e, a maggior ragione, neppure ad Helbig. Insomma, ce n´è più che abbastanza per riaprire il dossier sulla fibula Praenestina. E per ricominciare a parlarne con gli studenti.

lunedì 24 agosto 2009

PER NERONE AUTOSTRADA SULL' ACQUA

Il Sole 24 Ore, domenica 19/11/1989
Nel nuovo volume della einaudiana messo in risalto
il ruolo determinante per l' economia dell' Urbe della rete di
trasporti marittimi e fluviali che trovo' incompiuta espressione nel
grandioso progetto del canale con Pozzuoli
PER NERONE AUTOSTRADA SULL' ACQUA
Piero A. Gianfrotta


Esce in questi giorni presso Einaudi il quarto volume della progettata da Arnaldo Momigliano e Aldo Schiavone. E' l' ultimo della serie e il secondo pubblicato. E' un grosso tomo (pagg. XXXVIII + 968, L. 100.000) in cui sono trattati gli argomenti della storia antica: le economie, gli ambienti, i poteri e le forme sociali, le culture, le feste, i calendari e, tra l' altro, in un apposito capitolo anche la vita delle donne. Abbiamo fissato la nostra attenzione sul saggio di Piero A. Gianfrotta (del Dipartimento di Scienze dell' Antichita' , Universita' La Sapienza, Roma); in particolare sulle parti dedicate ai trasporti e alle navi, che rivestono un' importanza particolare nell' economia romana. Le notizie qui anticipate _ possibili ora grazie alle nuove acquisizioni dell' archeologia subacquea _ rappresentano uno dei momenti-chiave dell' economia antica e gettano ulteriore luce sulla storia dell' evoluzione dei trasporti e delle navi. . Malgrado la capillarita' e l' enorme estensione, tale da avvolgere l' intero Mediterraneo in una fitta trama, la rete stradale romana va considerata come parte di un sistema ancora piu' vasto, all' interno del quale il ruolo principale e' svolto dalle comunicazioni per vie d' acqua, marittime e fluviali. L' intero ciclo della navigazione, il cui corso e' descritto particolareggiatamente nel Periplo del Mare Eritreo, si svolgeva attraverso varie intermediazioni, soprattutto indiane e arabe per quanto riguarda i tratti orientali. Ma che vi fosse un coinvolgimento diretto anche da parte romana e' ampiamente testimoniato dalle fonti letterarie e dalla documentazione archeologica. Basti ricordare un esempio che, con particolare evidenza, si collega al porto di Pozzuoli, il principale terminale italiano dei traffici marittimi con l' Oriente. Ci riferiamo a un' iscrizione incisa in una grotta-riparo del Wadi Menih, in Egitto, luogo di sosta lungo uno dei principali percorsi del collegamento carovaniero fra i porti del Mar Rosso e il Nilo. Vi e' menzionato, in duplice versione greca e latina, un tal Lysas, servo di Annio Plocamo, un intraprendente mercante della gens Annia di Pozzuoli _ intensamente coinvolta con vari suoi membri nei commerci marittimi _ nel quale si e' identificato l' omonimo appaltatore daziario sulle merci di lusso (spezie, profumi, stoffe, eccetera) ricordato da Plinio, appunto, come colui che . All' inverso, nella stessa Pozzuoli e' attestata la presenza stabile di comunita' orientali di Arabi Nabatei, di Egiziani, di Fenici, evidentemente intenti a seguire in modo diretto i traffici mercantili provenienti dalle loro regioni d' origine. Cosi' come a Pozzuoli erano abbondanti i prodotti orientali (il che vale anche per la vicina Capua, dove erano attive numerose officine che trasformavano in profumi e cosmetici gli elementi vegetali di base che giungevano dall' Oriente), e' certamente significativo trovare documentazioni materiali di inequivocabile provenienza occidentale nelle regioni orientali. E' il caso, tra altro, delle anfore di vino italiano, delle ceramiche da mensa di Arezzo e forse della stessa Pozzuoli e, soprattutto, di sorprendenti quantita' di monete romane. Sono quasi esclusivamente monete d' oro o d' argento, accettate dagli Indiani per il loro valore effettivo e non per quello nominale. Molti secoli piu' tardi, le medesime modalita' commerciali si conserveranno ancora nei lucrosi traffici delle varie compagnie europee delle Indie orientali (lingotti, monete d' argento e d' oro in cambio di prodotti esotici), ma le rotte di circumnavigazione dell' Africa avranno ormai tolto al Mediterraneo gran parte della sua importanza. A un percorso misto di mare e di terra fu necessario ricorrere per un lungo periodo anche per il trasporto del grano egiziano, che ogni anno veniva spedito a Roma sulle navi alessandrine in quantita' enormi (circa 250mila tonnellate l' anno, secondo calcoli attendibili). Fino alla prima eta' imperiale, infatti, poiche' Roma non disponeva di un porto in grado di smaltire la mole dei suoi traffici marittimi, per lo piu' concentrati nella buona stagione, la maggior parte delle navi alessandrine era costretta a sbarcare il carico nel piu' ricettivo porto di Pozzuoli. Da qui, solo in un secondo tempo, il grano proseguiva per Roma trasportato su carri o, quando possibile, reimbarcato su navi di minore tonnellaggio che si avventuravano nelle navigazioni invernali. Proprio per ovviare alla lentezza e alla dispendiosita' del trasporto su strada e ai rischi della navigazione nel periodo del mare clausum (tra novembre e marzo), Nerone avvio' l' ardito progetto di tagliare un lungo canale interno, navigabile quindi anche in inverno, che, partendo dall' area portuale dei laghi Lucrino e Averno (in prossimita' di Pozzuoli) raggiungesse Roma. La grandiosa opera, che prevedeva di collegare tra loro i laghi costieri, le paludi e le canalizzazioni gia' esistenti (si pensi alla zona delle paludi pontine), fu abbandonata dopo appena quattro anni, con la morte di Nerone nel 68 d.C. Sorte analoga, del resto tocco' anche a un' altra intelligente iniziativa neroniana in favore della navigazione commerciale, quella del taglio del canale di Corinto, che sarebbe stata poi effettuata alla fine del secolo scorso. Il progetto del collegamento Roma-Pozzuoli, bollato dalla storiografia romana come espressione della megalomania di Nerone, si basava invece sulla valutazione estremamente concreta del grande vantaggio che ne sarebbe derivato, con la soluzione definitiva del grave problema dell' approvvigionamento di Roma che _ al di la' del notevole risparmio sui costi _ sarebbe finalmente divenuto sicuro. Va infatti tenuto presente che il trasporto per via di terra era dispendioso e lento: un carro pesante trainato da buoi viaggiava all' andatura media di appena tre chilometri l' ora. Dall' editto di Diocleziano, alla fine del III secolo d.C. risulta poi che la spesa per un carro di grano raddoppiava dopo poco piu' di 400 chilometri, e che costava meno trasportare grano per nave da un estremo all' altro dell' impero piuttosto che farlo viaggiare su un carro per un centinaio di chilometri. Un' altra eloquente indicazione e' fornita da Catone, alcuni secoli prima, a proposito dell' acquisto di un torchio da olio del prezzo di poco piu' di 460 sesterzi; il suo costo, pero' , dovendolo acquistare in un centro distante sei giorni di viaggio con un carro, saliva a ben 730 sesterzi, con un incremento di circa il 60 per cento a causa del trasporto su una distanza valutabile in un centinaio di chilometri. In fondo, pero' non c' e' molto da stupire, poiche' , nonostante i profondi mutamenti intervenuti, la questione e' ancora pienamente attuale. Da recenti calcoli, il trasporto via mare risulta tre volte meno costoso di quello su gomma, e persino un po' piu' veloce. Dal punto di vista dei costi dell' energia, poi, la nave risulta ancora piu' economica rispetto al treno: con un cavallo vapore si riesce a trasportare 150 chili su strada, 500 su ferrovia, 4mila per mare. Sebbene i trasporti marittimi fossero di periodicita' irregolare e presentassero notevoli margini di rischio (per i frequenti naufragi, per avarie al carico, per attacchi di pirati o altro ancora), la maggior parte delle spedizioni commerciali si svolgeva per mare. In teoria, tutto cio' che era trasportabile poteva essere compreso nel carico di una nave: dagli oggetti di maggior volume e consistenza come blocchi di marmo, colonne, sarcofagi, statue e persino grandi obelischi, a quelli meno ingombranti come le ceramiche da tavola, le stoffe, le pietre preziose, o piu' delicati, come i vetri, oppure a quei prodotti destinati ai consumi di massa come le derrate alimentari, spesso contenute in anfore oppure in sacchi. In alcuni casi era, appunto, la natura dei carichi a determinare le caratteristiche delle navi. Tra queste, a esempio, vi erano quelle adibite al trasporto di bestiame, che per la loro particolare funzione dovevano essere, evidentemente, fornite di grandi portelli sulle fiancate per agevolare l' imbarco e lo sbarco degli animali. Impiegate per il trasferimento di cavalli o di elefanti per scopi militari, o anche piu' semplicemente per il trasporto di mandrie e di greggi, potevano essere in grado di navigare autonomamente oppure venivano prese a rimorchio da altre imbarcazioni. Un altro tipo di carico egualmente condizionante da richiedere navi con caratteristiche particolari _ provviste di strutture piu' solide, e probabilmente prive di ponte _ era il marmo, il cui trasporto avveniva quasi esclusivamente per mare o per via fluviale. Spesso, nel linguaggio corrente, per sottolineare il pregio di un marmo era sufficiente indicarlo come lapis transmarinus. Del resto, ancor piu' che per altri materiali, in questo caso il trasporto navale risultava enormemente vantaggioso in confronto a quello su carro. Basti pensare che per fare viaggiare a terra un rocchio di colonna di grandi dimensioni si doveva ricorrere anche a due dozzine di paia di buoi. Tra le navi impiegate per il trasporto dei marmi, le naves lapidariae, alcune, dovendo essere utilizzate per carichi eccezionali, furono costruite appositamente e poi non piu' impiegate proprio a causa della loro eccessiva grandezza. E' il caso di quelle, di eccezionali dimensioni, che trasferirono a Roma dall' Egitto alcuni dei piu' grandi obelischi. Il primo fu l' obelisco del Circo Massimo, trasportato con una nave che rimase poi inutilizzata in una darsena del porto di Pozzuoli. Anche alla nave fatta costruire da Caligola per contenere l' obelisco del Circo Vaticano, oggi in piazza San Pietro, tocco' sorte simile fin quando non fu impiegata come cassaforma per contenere le fondazioni dell' isolotto del faro, all' ingresso del porto di Claudio a Fiumicino. Ultimo, sotto Costanzo II, fu l' obelisco del Laterano, il piu' lungo (circa 32 metri) tra quelli di Roma, dove giunse anch' esso con una nave fatta su misura. Sebbene siano ormai stati investigati, in vari luoghi del Mediterraneo e del Mar Nero, numerosi relitti di navi romane con carichi di marmi, composti da blocchi di cava grezzi o da manufatti piu' o meno rifiniti (sarcofagi, vasche, candelabri, colonne, capitelli, basi, eccetera), ancora non si sono trovati resti degli scafi conservati in modo da rivelare quali caratteristiche contraddistinguessero le naves lapidariae. Un altro gruppo di navi qualificate dal tipo di carico trasportato e' quello delle naves vinariae, a proposito delle quali si sono di recente formulate varie proposte d' identificazione. Si e' a lungo rimasti incerti di fronte alla possibilita' di applicare tale definizione ai relitti carichi di anfore che, principalmente nel Mediterraneo occidentale, si sono ormai individuati in gran numero. Alcune navi potevano certo trasportare carichi omogenei e assai rilevanti, con piu' di 10mila anfore, ma e' difficile che siano state le anfore, il cui contenuto varia in rapporto ai tipi imbarcati di volta in volta, a seconda dei viaggi, a determinare la qualificazione di una nave. Irecenti scavi di alcuni relitti di navi dell' inizio dell' eta' imperiale, con dolia a bordo, sia in Italia (a Diano Marina e a Ladispoli) sia in Francia (presso Tolone, a Marsiglia e nella Corsica settentrionale), hanno accertato che questo particolare tipo di grandi contenitori di terracotta poteva costituire delle presenze stabili nell' armamento delle navi. Grandi containers fissi (alcuni hanno una capacita' di circa 3mila litri), colmi di vino, con notevole risparmio di volume rispetto alle anfore, giustificherebbero, dunque, l' aggettivazione di vinariae per le navi che li ospitavano. Le ricerche archeologiche sottomarine, invece, sono state finora del tutto prive di risultato nei riguardi di una classe di navi che, per altri versi, risulta avere svolto un ruolo di grande importanza per l' approvvigionamento alimentare. E' quella delle naves granariae, la cui qualificazione sarebbe motivata piuttosto dalla funzione svolta nell' ambito dei commerci marittimi che non da un' architettura specifica, dal momento che in genere il grano, contenuto in sacchi, veniva deposto liberamente nella stiva, su soppalchi e altre strutture lignee montate in modo da agevolarne l' aerazione. Roma, com' e' noto, si trovo' a ricorrere a importazioni di grano gia' a partire dall' eta' arcaica, dapprima in quantita' limitate e in particolari circostanze, poi in modo sempre piu' regolare e massiccio. Il fenomeno raggiunge il culmine sul finire della repubblica e si protrae per tutto l' impero sotto diretto controllo pubblico. I rifornimenti granari giungevano da varie regioni (Sicilia, Sardegna, Africa settentrionale, Spagna) soprattutto per mare, ma da Augusto in poi sara' l' Egitto a coprire gran parte del fabbisogno. Il delicato compito del trasporto era affidato a una flotta apposita, con sede in Alessandria, dove confluivano i raccolti. Ben organizzata ed efficiente, essa era in grado di muovere ogni anno quasi un migliaio di navi che, isolatamente o in convoglio, coprivano il percorso diretto tra Alessandria e Roma nel minor tempo possibile per sfruttare al massimo la stagione estiva e i venti favorevoli. Dalla rapidita' e dal buon esito della navigazione dipendevano, infatti, la regolarita' dell' approvvigionament e di conseguenza anche la tranquillita' sociale e politica di Roma, messa a dura prova quando carestie o situazioni meteorologiche avverse impedivano l' arrivo dei carichi alessandrini, provocando speculazioni sui prezzi. Se per quanto riguarda le caratteristiche relative ai vari tipi di navi l' archeologia sottomarina non e' ancora stata in grado di fornirci elementi utili, essa ha consentito in compenso di avviare la conoscenza dei metodi delle costruzioni navali, specialmente per le parti inferiori degli scafi, assai meglio conservate delle sovrastrutture (fiancate, ponte, eccetera), maggiormente esposte alla distruzione per opera degli agenti marini. Ne e' emerso un quadro di tecniche costruttive notevolmente evoluto, nel quale, pur nella presenza _ persino su relitti coevi _ di differenziazioni dovute a molteplici fattori (tradizioni locali, particolarita' di cantiere, disponibilita' di materiali, eccetera), si evidenziano alcuni principali metodi di lavorazione. Uno consisteva nel predisporre la chiglia e lo scheletro della carena prima di rivestirlo con il fasciame, collegando i corsi di tavole a incastro con linguette bloccate da cavicchi di legno. In un altro caso il procedimento segue l' ordine inverso, con il fasciame immediatamente fissato alla chiglia per formare l' involucro della nave, inserendovi poi all' interno l' ossatura dello scheletro. Recentemente si e' riscontrata la commistione della tecnica con un altro metodo costruttivo, del tutto diverso, detto , consistente nel tenere insieme il fasciame cucendolo con legature passanti attraverso fori predisposti lungo i margini combacianti delle tavole. Quest' ultimo sistema, che si riteneva adottato soltanto in eta' arcaica, si e' trovato impiegato anche su navi romane piu' tarde, come, a esempio, su quella d' eta' augustea da poco recuperata presso Comacchio, costruita nella parte inferiore con la tecnica e in quella superiore con la tecnica . Particolare attenzione veniva poi dedicata all' essenziale aspetto del calafataggio e dell' impermeabilizzazione degli scafi. Gli esempi archeologici mostrano come tale problema fosse risolto in vario modo. Le navi recuperate nel lago di Nemi, come anche molti altri relitti, indicano che, oltre a un' impeciatura generale distribuita a caldo, si rivestiva la carena con sottili lamine di piombo fissate con chiodini di rame. In altri casi, si ricorreva all' applicazione di spalmature protettive e di robuste spennellature a base di cera. Vere e proprie verniciature erano applicate, invece, alle parti superiori delle strutture della nave, la cosiddetta opera morta. Ancora scarsi sono i resti riferibili alla velatura (bozzelli e pulegge di legno) a causa, come si e' detto, della difficile conservazione delle sovrastrutture. In compenso, sul fondo degli scafi si e' in molti casi individuata la cavita' d' impianto dell' albero maestro, quasi al centro della carena, che e' risultato per lo piu' smontabile, come appare, del resto, in numerose raffigurazioni, su mosaici o dipinti, di navi in sosta con l' albero reclinato. Sono ancora assai rare, pero' , le tracce di altra alberatura, che e' invece attestata in raffigurazioni navali d' eta' imperiale, dove compaiono imbarcazioni a tre alberi: a esempio, in un mosaico delle terme tunisine di Themetra, ad Adrumeto oppure in quello ostiense dei navicularii di Syllecthum. Gli scavi sottomarini hanno invece dimostrato che la maggior parte delle navi mercantili romane erano dotate di efficienti pompe di sentina, del tipo a bindolo, che, azionate a mano oppure a pedali, assolvevano egregiamente il compito di evacuare l' acqua penetrata nella stiva a causa del normale stillicidio d' infiltrazione, oppure in seguito a situazioni d' emergenza (apertura di falle o altro). Suscita ancora molti dubbi circa il suo impiego nautico uno strumento di bronzo dal complesso meccanismo rinvenuto agli inizi del secolo sul relitto di Anticitera, in Grecia, dalla prima meta' del I secolo. Dopo varie interpretazioni poco soddisfacenti, si e' finalmente riconosciuto in esso un calcolatore astronomico. Questo strumento, attraverso un meccanismo collegato a indici mobili che si spostavano su quadranti, permetteva di conoscere il sorgere e il calare delle stelle e delle costellazioni dello zodiaco, le varie fasi lunari e la posizione dei pianeti in un determinato periodo. Esso, tuttavia, non poteva essere di alcun aiuto alla navigazione e quindi la sua presenza sulla nave di Anticitera rimane enigmatica.

raffigurazione di nave romana



venerdì 21 agosto 2009

Veduta delle vestigie delle Terme dell'Imperatore Filippo nell'Esquilino

Veduta delle vestigie delle Terme dell'Imperatore Filippo nell'Esquilino

Spello, nell´ex colonia romana quattro giorni nella Storia

Spello, nell´ex colonia romana quattro giorni nella Storia
ALVARO FIORUCCI
VENERDÌ, 21 AGOSTO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

Oggi "cena imperiale" nel cortile, domani "ludi gladiatori" in piazza e domenica visite guidate

Ha scelto la rassegna culturale "Incontri per le strade" per disvelare anche gli aspetti più nascosti e curiosi del diario di una piccola città che sorprende per la sua grande storia. "Splendidissima Colonia Iulia Hispellum" con Ottaviano e poi "Flavia Constans" con Costantino il Grande che la scelse per erigere il tempio della Gente Flavia e la mise a capo della confederazione religiosa umbra, Spello rivive questo illustre passato con una quattro giorni tutta dedicata, appunto, alla civiltà romana. "Sono le nostre radici-dicono il sindaco Sandro Vitali e l´assessore Liana Tili - ma è anche la materia prima di oggi per progettare un nuovo sviluppo per l´area "
Per esempio: oggi cena imperiale nel cortile Vitale Rossi; domani alle 21 in piazza Matteotti lettura del Rescritto di Costantino e a seguire lo spettacolo "Ludi Gladatori"; domenica alle 18 visita guidata ai siti archeologici di Porta dell´Arce e della frazione Sant´Anna dove sta venendo alla luce una villa con un grande affresco. Più tardi tutti alla piazzetta della Loggia dove c´è un banchetto romano. Da guardare, perché è uno spettacolo teatrale definito "semiserio". Alle Torri di Properzio, invece, dalle 20 in poi, quadri di vita e tante vivande del periodo costantiniano con ricette autentiche recuperate nelle biblioteche. Attore principale, neanche a dirlo, l´olio di oliva che è un patrimonio delle colline di Spello e della cucina italiana.

giovedì 20 agosto 2009

Veduta delle vestigie del Palazzo di Titto accanto alle sue Terme

Veduta delle vestigie del Palazzo di Titto accanto alle sue Terme

recuperati i ponti romani

recuperati i ponti romani
Sabato, 18 Marzo 2006
Corriere Adriatico

Finanziati con l’8 per mille i lavori di recupero del ponte romano e della porta Solestà e dell’altro ponte romano sul rio San Giuseppe a Mozzano. Ne dà notizia il sindaco Piero Celani: “Una somma importante che abbiamo potuto ottenere grazie all’impegno profuso insieme all’assessore Lattanzi - ha detto - non del tutto sufficiente per i lavori di restauro. Ma abbiamo già presentato al ministero dei Beni culturali una istanza per integrare i fondi”. Nella ripartizione della quota dell’8 per mille per l’anno 2005, al Comune di Ascoli sono stati assegnati 190 mila euro per interventi di restauro, conservazione e valorizzazione dei ponti romani.

mercoledì 19 agosto 2009

Il Tempio della Pace con la Chiesa di Santa Francesca Romana

Il Tempio della Pace con la Chiesa di Santa Francesca Romana

Tra senatori e gladiatori nell'antica Roma in 3d. Un «museo» rivoluzionario per imparare la storia divertendosi

Tra senatori e gladiatori nell'antica Roma in 3d. Un «museo» rivoluzionario per imparare la storia divertendosi
IL TEMPO 19/08/2009

Via Capo d'Africa

Tecnologie del futuro per esplorare il passato

Ricostruita con tecnica cinematografica la capitale dell'impero

Ma chi l'ha detto che la storia è noiosa? Con questa premessa è nato, a due passi dal Colosseo, «3D Rewind Rome», un «museo» per vivere le emozioni di un cittadino romano nell'epoca dell'impero. Del museo ha l'impostazione scientifica e le fonti storiche rigorosamente rispettate, ma «3D Rewind Rome» è anche un po' luna park, videogioco e cinema.

Tanto che, passeggiando per vicoli e viali della Roma dei Cesari ricostruita con le più raffinate tecniche computerizzate, è possibile incontrare anche Carlo Verdone e Jo Champa, che si sono prestati per spiegare i segreti dell'antica capitale, calati rispettivamente nei personaggi di un commentatore dei giochi dei gladiatori e di una vestale che accompagnano il viaggio in una giornata del 310 dopo Cristo. Tutto è stato ricostruito per dare un'idea della «vita vissuta», oltre che della storia: oggetti di uso comune come vasellame, lettighe, ombrellini, gioielli, i giocattoli dei bambini, tra cui yo-yo e i giochi degli adulti, come le scacchiere. Ogni particolare è stato ricostruito partendo da precise testimonianze archeologiche.

Nella sistemazione degli ambienti di «3D Rewind Rome» sono state usate le tecnologie più avanzate per offrire ai visitatori le «sensazioni» degli antichi romani con audioguide multilingue (Italiano, Francese, Inglese, Tedesco, Spagnolo, Russo, Cinese e Giapponese) ed occhiali tridimensionali, che vengono dati in dotazione per tutta la durata del tour. «3D Rewind Rome» è in via Capo D'Africa 5, le visite si possono effettuare tutti i giorni, ogni 15 minuti, dalle 9 alle 19.

Il costo del biglietto per gli adulti è di 15 euro e di 8 euro per i bambini (da 4 a 12 anni) e gli over 65.

martedì 18 agosto 2009

Conserva delle acque delle Terme di Tito dette le sette Sale

Conserva delle acque delle Terme di Tito dette le sette Sale

Ostia antica, il grande porto dell´Impero

Ostia antica, il grande porto dell´Impero
MARTEDÌ, 18 AGOSTO 2009 LA REPUBBLICA - Roma

National Geographic: ecco i segni della globalizzazione di 2000 anni fa

Non solo le spiagge dove d´estate trasloca la movida romana, non solo la tragica fine di Pasolini all´Idroscalo. Ostia col suo parco archeologico è una porta su un mondo sommerso, sulla vita quotidiana della Roma di duemila anni fa. L´occasione di tuffarsi nella sua storia lo offre il numero di agosto di National Geographic Italia, diretto da Guglielmo Pepe, che proprio a Ostia Antica dedica un ampio reportage di Michele Gravino. Il dossier di Gravino schiude molti segreti di quel tempo: ad esempio il fatto che i romani dell´epoca avessero un´aspettativa di vita di soli 23 anni. E apre una finestra su una realtà multiculturale, che vedeva gente di ogni etnia e religione arrivare dagli angoli dell´impero. Dove era frequente il caso di schiavi affrancati che finivano per sposare la figlia del padrone. Una parabola che rende immediato il parallelismo con il presente e la globalizzazione.
«Serve fantasia - scrive Gravino - per immaginarsi che dove oggi passa una strada a scorrimento veloce, 2 mila anni fa ci fosse una spiaggia. E che il fiume che si intravede sonnolento fosse una delle vie di comunicazione più trafficate della città». Eppure da qui passava di tutto, dal grano che nutriva tutta Roma ai cammelli e agli elefanti per gli spettacoli circensi. Ostia è una "Roma in piccolo" per l´archeologo Carlo Pavolini. Ma con una notevole differenza: che mentre della capitale sono ancora visibili quasi soltanto i resti monumentali, qui ci sono le case, le taverne, le latrine e persino le pubblicità (questa era la funzione più probabile dei mosaici del piazzale delle Corporazioni).
(c.r.)

lunedì 17 agosto 2009

Castello del acqua Giulia detto volgarmente i Trofei di Mario

Castello del acqua Giulia detto volgarmente i Trofei di Mario

Antica villa romana sui binari della ferrovia

Antica villa romana sui binari della ferrovia
ANDREA MARINANGELI
Martedì 21 Marzo 2006 Il messaggero

Il sito archeologico è stato ignorato dai tecnici. Leggio: «Il Ministero è contrario al piano»

C'è ancora una flebile speranza, prima dell'ultima spiaggia chiamata ricorso al Tar, per il Comitato cittadino "Antiferrovia" di Fara Sabina. A fermare il treno per Osteria Nuova, potrebbe essere un'antica Villa romana in località "Grottaglie". Sui siti archeologici che i progettisti di Italferr hanno ignorato nel disegnare il tracciato, si è già fatto un gran parlare in questi mesi. Ieri sera, però, nel corso dell'incontro pubblico, organizzato a Passo Corese dai Verdi, è spuntata fuori una novità. «C'è un parere negativo del Ministero dei Beni culturali sul percorso della ferrovia». A dirlo è stato il sindaco di Fara Tersilio Leggio, intervenuto alla manifestazione del Sole che ride, che ha poi aggiunto: «Apportare delle modifiche entro 150 metri (quelli previsti dalla Legge Obiettivo) non basterebbe a risolvere la situazione. Ciò, secondo logica, dovrebbe bloccare il finanziamento dell'opera». In pochi, però, compreso il primo cittadino di Fara, credono realmente che ciò possa accadere. Più probabile, che nella preriunione di oggi e in quella definitiva del 24, dal Cipe arrivino i soldi annunciati, anche in questi ultimi giorni, dal senatore Cicolani. «Temo - ha detto il segretario provinciale dei Verdi Roberto Lorenzetti - che a due settimane dal voto, sia fisiologico il prevalere della logica elettoralistica. Cicolani d'altronde, ha dichiarato con grande chiarezza che finanzieranno il treno. Il problema riguarda l'entità della cifra, che con tutta probabilità non sarà superiore a 110 milioni di euro. Per completare l'opera fino ad Osteria Nuova, ne servono 350. Vuol dire, che il Governo uscente lascerà l'onere a chi verrà dopo di trovare il grosso dei soldi e questa è pura volgarità politica. Se, come dice la destra, la ferrovia è d'importanza strategica, perché in questi cinque anni non l'hanno realizzata, ma si sono ridotti all'ultimo momento?». A meno di ulteriori rinvii del Cipe (quelli sì, potrebbero essere il segnale che davvero non se ne fa più nulla) entro questa settimana sapremo se i soldi ci sono e soprattutto in che quantità. Il Comitato dei cittadini, dal canto suo, potrà valutare se ricorrere al Tar. Certo è che la lotta contro questo progetto non finisce qui. Dal responsabile locale dei Verdi Aldo Zevini è venuto l'invito ad organizzare una manifestazione di tutti i partiti della sinistra contrari al treno. A Passo Corese, sono intervenuti pure i due baby candidati alle politiche del Sole che ride: Roberta Galluzzi e Alessandro Pandolfi, anch'essi battaglieri contro grandi opere e Legge Obiettivo.

Ninfeo di Nerone al civo di Scauro e vivario di Domiziano

Ninfeo di Nerone al civo di Scauro e vivario di Domiziano

La villa romana messa a rischio dalla terza corsia

La villa romana messa a rischio dalla terza corsia
Claudio Contrafatto
La Nazione, Firenze, 21/3/2006

II futuro della casa di Publio Alfio si trascina già da 21 anni

Appare e scompare come un fantasma archeologico il muraglione della villa rustica di Publio Alfio Erasto, commerciante di legname da costruzione dell'epoca imperiale romana all'Antella. Nei giorni corsi è tornato a fare capolino, a seguito di scavi per un impianto idrico, come accadde nell' ormai lontano 1985. Il pezzo di solido manufatto fa parte di uno sfortunato ritrovamento archeologico avvenuto negli anni '80 nel podere Ellera all'ingresso della frazione di Bagno a Ripoli e i reperti portati alla luce dissero che si poteva trattare di un ampio impianto, databile attorno al II secolo dopo Cristo che comprendeva parli di un frantoio, compresa una grande macina in pietra serena in ottimo stato di conservazione, di notevole interesse scientifico per l'accuratezza della lavorazione, per gli accorgimenti tecnici e per la sua rarità. Il muraglione emerso, quindi, probabilmente recingeva la villa rustica: venne misurato, valutato, fotografato e ricoperto di nuovo. Le vicissitudini di quel fazzoletto di terra in questi ultimi venti anni sono state varie e non sempre fortunate. Dopo i primi entusiasmi, sia degli archeologi volontari che avevano scoperto i resti che della popolazione che riteneva di aver ritrovato con la villa retaggi atavici, il campo di ricerca è stato in pratica abbandonato. Protetti i resti con fogli di ondolux e malamente recintata la zona, attorno sono cominciati i lavori che porteranno, chissà quando, alla realizzazione dell'area artigianale dell'Antella. E proprio per il cantiere in atto, il muro è riemerso, ma ha i giorni contati, perché finita l'opera idraulica, il manufatto tornerà sottoterra. Il guaio è che, allo stato delle cose, gli antellesi si chiedono che ne sarà della villa di Alfio, perché proprio a pochi passi dal sito passerà la terza corsia dell'autostrada del sole Firenze sud - Incisa. La domanda, allora, è: che ne sarà del progetto comunale che aveva previsto una zona a verde con passeggiata archeologica per consentire la visita ai turisti e alle scolaresche?

Sepolcro antico della famiglia Aurelia sulla via Prenestina

Sepolcro antico della famiglia Aurelia sulla via Prenestina

Nel ventre di piazza Vittorio spunta la domus amata da Caligola. Tra i mosaici, lo smeraldo di Zeus

Nel ventre di piazza Vittorio spunta la domus amata da Caligola. Tra i mosaici, lo smeraldo di Zeus
Edoardo Sassi
Corriere della Sera 25/3/2006

Si pensava che tutto fosse andato perso dopo il 1873, con la costruzione dell'Esquilino. Ma nel ventre _ di piazza Vittorio sei metri sotto, son tornati alla luce marmi, mosaici, muri e altri reperti degli «Horti Lamiani» fastosa residenza imperiale amata da Caligola. Gli archeologi: «Ritrovamento eccezionale».

I ritrovamenti
Antichi muri, superfici pavimentali mosaicate in bianco e nero e rare gemme, tra le quali uno smeraldo con incisa l'immagine del dio Giove. Sono alcuni dei reperti, di età imperiale, venuti alla luce nel "ventre" di piazza Vittorio, a circa sei metri sottoterra

Un ritrovamento recentissimo ed eccezionale, che neanche gli archeologi si aspettavano più, in una zona - piazza. Vittorio Emanuele - il cui sottosuolo fu stravolto durante i lavori per la costruzione, dal 1873, del nuovo quartiere Esquilino. E invece, durante i lavori in corso per l'ammodernamento della linea A della metropolitana, a circa sei metri di profondità sono venuti alla luce antichi muri, ampie porzioni di mosaici pavimentali, lastre policrome di opus sectìle, vasellame vario e due pietre preziose: una in pasta vitrea e l'altra, probabilmente, uno smeraldo, dove potrebbe essere incisa una rara immagine di Giove con una bilancia, simbolo di Giustizia.
La pietra, quasi certamente parte di un antico anello e già al sicuro nella cassaforte della Soprintendenza, era nascosta sotto un pavimento, nel ventre inesplorato di quella piazza dalla storia millenaria che non smette di riservare sorprese. Stavolta, dopo la necropoli del VII secolo avanti Cristo tornata alla luce nel 2002, si tratta di importanti resti degli «Horti Lamiani», o Villa degli Aelii Lamiae, una delle più importanti e fastose residenze imperiali, il cui impianto risale al 30 avanti Cristo, ma la cui storia, con relativi rifacimenti, va avanti almeno fino al III secolo.
La villa, raccontano le fonti, fu amatissima anche da Caligola, che lì adorava trascorrere lunghi periodi. «Una scoperta emozionante e scientificamente importantissima», conferma Maria Rosaria Barbera, responsabile per la soprintendenza di Stato nel territorio del primo muuicipio. Che in quella zona si trovassero gli «Horti Lamiani» (horti, in latino, indica un'importante villa con grandi distese di giardini) è infatti cosa ben nota. E non solo agli studiosi (da lì provengono anche molte statue celebri, compresa la Venere Esquilina della Centrale Montemartini): «Ma anche in una pubblicazione di venti anni fa, la più importante sugli Horti Lamiani, proprio quella parte della piazza, zona sud-est, risultava totalmente sconosciuta nonostante un enorme sforzo di ricostruzione. Scavando, eravamo certi che il tessuto antico fosse andato completamente distrutto. E invece...».
Invece, la sorpresa. Che ora potrebbe creare qualche problema ai lavori in corso, commissionati dal VII Dipartimento (Mobilità) del Comune di Roma. «Nulla andrà distrutto, questo è certo - assicura la dottoressa Barbera - quel che si potrà portare via, si porterà via. Il resto, faremo in modo che sia fruibile al pubblico. Lavoreremo comunque per cercare un punto di equilibrio tra le esigenze dei lavori in corso e la salvaguardia del patrimonio antico».
«I ritrovamenti sono importanti e recentissimi. Non ho ancora avuto modo di vedere il cantiere - conferma il soprintendente all'archeologia di Roma, Angelo Bottini -lo farò prestissimo».
Di vasellame ne è stato trovato moltissimo, insieme a molte lucerne. Ma non è questo che ha provocato emozione negli archeologi. Né il ritrovamento dello smeraldo, ora al vaglio di gemmologi, che pure è un pezzo raro. Sono le strutture murarie la cosa più importante per gli studiosi: «Siamo agli inizi, ma già si percepisce bene un grande corridoio - spiega la Barbera -. Le dimensioni degli ambienti, e la presenza delle pregiate lastre in opus sectile, dicono inoltre che non si tratta di ambienti di servizio, ma certamente di stanze di rappresentanza per una residenza usata da vari imperatori».

Venere, un kylix da Capua

Venere, un kylix da Capua

Statue reveals Roman lady with her make-up still on

Statue reveals Roman lady with her make-up still on
Richard Owen
The Times 25/03/2006

BRITISH and Italian archaeologists have recovered for the first time a painted Roman statue with its colours preserved.
The head of a female Amazon warrior, shown exclusively to The Times, was retrieved this week from the debris of a collapsed escarpment at Herculaneum, the seaside resort for the rich and powerful of ancient Rome that was destroyed by the eruption of Mount Vesuvius in AD79.
Domenico Camardo, the archaeologist who dug the head from the volcanic rock, said that when a workman first alerted him to the discovery, he “hardly dared hope” that the bust would be intact. “Only the back of the head was visible, and I was afraid the face would have crumbled,” he said.
The nose and mouth were missing, but the hair, pupils and eyelashes were “as pristine as they were when Herculaneum was overwhelmed by the eruption”, Monica Martelli Castaldi, the restorer of the team, said.
“Those eyes are alive, looking at us from 2,000 years ago,” she said. “To find this much pigment is very, very special.” Although it had been known that Roman statues were painted, only faint traces of pigment had been found before now. It had also been assumed that classical statues were painted brightly. In fact, the colouring on the head is a delicate shade of orange-red, which, although faded, indicates that classical colouring was subtle and sophisticated, Jane Thompson, the project manager, said.
Herculaneum was buried in the same catastrophic eruption that overwhelmed nearby Pompeii. Whereas Pompeii was buried in volcanic ash, Herculaneum became entombed in molten rock.
The site was excavated in the 18th century and again in the Fascist period but was then neglected for decades, until the British School in Rome and the Superintendency of Pompeii started the Herculaneum Conservation Project, funded by the Packard Humanities Institute, of California, in 2004.
Since then restorers have patched up flaking frescoes, brought in falcons to chase away pigeons, whose droppings corrode the ruins, and tackled humidity caused by rain and rising damp.
Areas closed to visitors for years are gradually being reopened to the public, and lost treasures are being found.
The collapsed escarpment where the Amazon head was found was close to the great Basilica, which has been partially excavated. The Basilica — the law courts — was linked to the cult of Hercules, who, as part of his labours, had to fight Hippolyte, the Amazon Queen.

http://www.timesonline.co.uk/article/0,,13509-2102022,00.html

Fonte d'Egeria oggi detta La Caffarella

Fonte d'Egeria oggi detta La Caffarella

Foro di Cesare: trovate altre tombe sotto c'è una necropoli del Bronzo

Eccezionali ritrovamenti negli scavi della Soprintendenza. Foro di Cesare: trovate altre tombe sotto c'è una necropoli del Bronzo
Paolo Brogi
Corriere della Sera, Roma, 3 aprile 2006

Sotto il Foro di Cesare quattro tombe a capanna una necropoli del Bronzo

Ritrovamento archeologico eccezionale ai Fori, mentre si discute sul loro futuro. Da sotto il pavimento del Foro di Cesare riaffiora una necropoli dell'età del Bronzo. Dopo la tomba dell'XI secolo a.C, scoperta in gennaio, individuate altre tre sepolture a «capanna» dei popoli pre-romani.
Mentre si discute con passione rinnovata sul futuro della via dei Fori Imperiali, con lo scopo di ricucire la ferita in-ferta con lo stradone voluto dai fascismo e di restaurare la continuità dell'area archeologica, dal Foro di Cesare trapela una nuova importante scoperta archeologica: una necropoli del Bronzo. Individuate infatti altre tre tombe a cavallo tra età del Bronzo ed Età del Ferro, collocabili intorno all'XI secolo a.C, che si vanno ad aggiungere a quella dell'alto dignitario scoperta con grande emozione dagli archeologi del Comune all'inizio dell'anno.
Roma prima di Roma. In-somma, fine dell'XI secolo a.C, molto prima dunque della fondazione della città: a questo periodo, passaggio dall'età del Bronzo a quella dei Ferro, risale dunque la necropoli che sta riemergendo da sotto la pavimentazione del Foro di Cesare, durante la fortunata campagna di scavi condotta dalla sovrintendenza archeologica comunale in collaborazione con quella di stato. À testimoniarlo è ora questo secondo ritrovamento eccezionale, dunque, per gli archeologi della Sovrintendenza guidata dal professor
Eugenio La Rocca, dopo quello a inizio gennaio della ricca tomba di un alto dignitario.
Altre tombe di questa epoca erano già state trovate in passato nel Foro di Augusto, intorno al 2000, e nei pressi di San Lorenzo in Miranda, all'inizio del secolo scorso. Mai però una necropoli vera e propria, semmai l'idea di un sistema sporadico di sepolture ai bordi dell'insediamento. Insediamenti protostorici che come quello scoperto da poco sull'arce capitolina, durante gli scavi per la sistemazione del giardino antico e la ricollocazione del Marc'Aurelio, risalgono allo stesso periodo.
All'inizio di gennaio, dunque, quando è riemerso l'importante loculo a incinerazione di un alto dignitario, con all'interno l'urna cineraria, otto vasi, le miniature di armi in bronzo e resti di uccelli secondo le abitudini di munire il de-
funto di un corredo utile al trapasso nel regno dei morti, è scattato un interrogativo: tomba isolata o parte di una necropoli più vasta? E subito, nell'equipe di scavo messa insieme dall'archeologa Silvana Rizzo (ora in forze al ministero dei Beni Culturali per una serie di progetti di cooperazione all'estero) e attualmente gestita da Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli Valenziani, è stata formulata la speranza che l'area dei Fori abbia ospitato in epoca protostorica una necropoli per alti dignitari.
A orientare le ricerche verso la necropoli dei capoclan degli insediamenti protostorici è stato allora il grande «tappo» a capanna che chiudeva il pozzetto a cilindro dell'alto dignitario. Tre mesi dopo la prima scoperta, ecco affiorare altri tre tappi, ben conservati dal pavimento del Foro. Sotto i tappi gli archeologi sperano ora di trovare infatti corredi importanti comprensivi di lucerne, scodelle e altri reperti votivi in ceramica da impasto, su argilla non depurata, lavorati a mano. Dopo i ritrovamenti del Tempio della Pace e della Capanna delle Vestali, i Fori continuano a restituire meraviglie.

Arco di Settimo Severo e Caracalla nel Foro Boario appresso San Giorgio in Velabro

Arco di Settimo Severo e Caracalla nel Foro Boario appresso San Giorgio in Velabro

Le rovine non spiegate

Le rovine non spiegate
Andrea Carandini
Corriere della Sera, 4/4/2006

Povero magniloquente luogo di parate, con giardinetti e fondali da cinema povero: ecco la via dell'Impero perduto. Anche dopo i recenti scavi, che hanno rivelato i monumenti antichi e il loro spoglio, l'amenità è lontana. Servirebbe una riflessione su quanto trovato e su come presentare spazi tanto vuoti, ridando loro un minimo di significato architettonico. Gli sterri degli anni '30 — pessimi dal punto di vista scientifico — avevano saputo ripristinare quel minimo elle serve all'occhio per intendere le rovine; grazie, gli operai di allora sapevano lavorare come quelli romani! Oggi si scava bene ma la pubblicazione ahimè tarda, e lo stile della presentazione è deludente... Costa ammettere ciò, ma la «cosa» è sotto gli occhi.
Data la povertà dei resti, è importante estendere gli scavi, anziché ridurli. Cosa sarebbe Place de la Concorde senza i suoi bordi se non il non-luogo della ghigliottina? I vuoti diventano pieni se contenuti: cosi gli elevati spoliati devono ritrovare una qualche consistenza ed essere spiegati in un vicino museo della città, di cui mai si parla. Dunque, discorso sulle rovine e discorso museale devono essere formulati insieme. Non possiamo avere a Roma solo belle statuine, curiosi oggettini. Occorre finalmente illustrare paesaggi urbani e costruzioni.
L'esperimento Fuksas era interessante — nuvole a parte — ma bene hanno fatto altri tre architetti a chiedere il concorso; ma su cosa? Per fortuna le due soprintendenze hanno cominciato finalmente ad agire come un solo uomo, eppure serve anche un dibattito allargato oltre uffici e burocrazie, dal quale dovrebbero sorgere le linee guida generali su cui concorrere.
A Roma non vi è rendiconto annuale o biennale di scoperte e progetti archeologici; questo è triste. Un foro per l'archeologia ci manca, e si vede.
La via dei Fori andrebbe alleggerita, ristretta, e quanto la sosterrà dovrà contenere i servizi, che altrimenti finirebbero sparsi o sospesi fra le rovine. Quanti altri percorsi post-antichi ripristinare come ponti sui monumenti sarà materia del contendere. Chiarezza della storia e qualità del progetto dovrebbero ridare al luogo quel senso e quella piacevolezza che il piccone mussoliniano ha distrutto: per sempre?
Lo scavo crea non il passato, ma un paesaggio contemporaneo volto a ritrovarlo. L'idea di questo paesaggio manca ancora...

Acquedotti dell'acqua Claudia - Arco di Sillano e Dolabella

Acquedotti dell'acqua Claudia - Arco di Sillano e Dolabella

Foro e Palatino, Carandini e l'avventura dell'archeologia

Foro e Palatino, Carandini e l'avventura dell'archeologia
Oliviero La Stella
Il Messaggero, 05-APR-2006

ALTO, eretto, elegante nel suo abito sportivo, Andrea Carandini con il piglio di chi è di casa incede fra le migliaia di turisti che affollano il Foro Romano, alcuni dei quali sembrano storditi e disorientati da tanta storia che li circonda. Con altrettanta sicurezza salta agilmente oltre le recinzioni, che proteggono le aree interdette ai visitatori. Infine si ferma e si siede su un gradino di marmo. «Ecco, siamo nella casa delle Vestali», dice. In questo angolo silenzioso, dal quale si può osservare il Campidoglio con un'angolazione insolita, siamo assolutamente soli. I turisti neppure si scorgono. Andrea Carandini, l'archeologo che da vent'anni scava fra il Foro e il Palatino, lo studioso che ha riscritto la storia delle origini di Roma, appare meno austero su questo gradino e sembra quasi sorridere. Come quei ragazzini che si apprestano a rivedere un film o ad ascoltare una favola che già conoscono, e che amano. «Questo - dice - è il luogo da me prediletto».
«Da bambino - racconta - ci venivo con mia madre e talora anche con mio padre. Abitavamo in via Ventiquattro Maggio e molto spesso facevamo una passeggiata che dal Quirinale ci portava proprio qui, scendendo dalla Salita del Grillo. Erano gli anni della dittatura e mio padre Nicolo, in quanto antifascista, era sovente costretto a nascondersi. In quei periodi vivevamo in una singolare condizione di sospensione che, tuttavia, mi faceva godere della sua presenza in queste passeggiate».
Il professore fa una breve annotazione: «L'unico neo del percorso era l'attraversamento di via dei Fori Imperiali. Un luogo assai brutto, che resta anche oggi tale nonostante le cure che gli sono state prestate. Ma, che vuole, quando si crea nel tessuto di una città antica una lacerazione del genere è molto difficile risanarla».
«C'è una foto - prosegue Carandini - che ritrae mio padre e me a due passi da qui, fra il Tempio delle Vestali e quello di Antonino e Faustina. Avrò avuto più o meno diciotto anni. Ebbene, allora non potevo neppure lontanamente immaginare che nel 1985-86 sarei tornato proprio in questo luogo a compiere i miei scavi. Come non potevo pensare che avrei fatto il professore alla Sapienza, l'università in cui ho studiato. Né che sarei tornato ad abitare nella casa dei miei genitori in via Ventiquattro Maggio». La vita, dice, dapprima lo ha portato lontano. A Siena, a Pisa, dove ha insegnato, a scegliere la filologia e poi la storia dell'arte antica prima di avvertire la vocazione per l'archeologia. Poi il Destino lo ha riportato «nei luoghi delle origini». Osserva: «A sessantotto anni scopro che la storia ha una sua logica. Anche la nostra storia individuale. E' come essere il romanziere della propria vita: molto spesso il narratore non sa quale sarà il finale, ma dentro di lui vive il progetto inconscio che lo condurrà a quel finale e non a un altro».
Carandini indica alcune piante di rose abbarbicate a un muro. «Quelle le ha piantate Giacomo Boni, un famoso archeologo scomparso nel 1925, la cui figura quand'ero ragazzo ancora aleggiava sul Foro e sul Palatino. Rese queste rovine un giardino popolato di muri, statue e fiori. Dopo di lui, negli scavi si è certo guadagnato in scientificità, ma si è perso in poesia». Di questo posto, in cui vivevano le vergini sacerdotesse addette al culto di Vesta, il culto del fuoco sacro comune, il professore parla come della porta attraverso la quale si accede al labirinto della storia di Roma: «Scavare nella storia del santuario significa ricostruire dalle origini quella della città».
Spiega che il lavoro dell'archeologo è fatto di metodo, pazienza e fatica: «E anche di creatività scientifica».
Occorre scavare su una superficie estesa, così come ha fatto lui che ha analizzato circa un ettaro del Foro e del Palatino, e arrivare alla terra vergine, laddove la storia comincia: «Altrimenti è come se si leggesse un libro non dalla prima pagina ma da metà testo. Ed è quello che s'è fatto fino a vent'anni fa: gli strati profondi della Roma antica sono stati raggiunti in zone molto limitate, o male, o niente affatto. Di conseguenza, ne è risultata una ricostruzione storica imperfetta». I suoi scavi, come s'è detto, hanno permesso di riscrivere la storia delle origini di Roma; gli esiti più recenti sono stati pubblicati nel suo ultimo libro "Remo e Romolo", edito da Einaudi due mesi fa, un testo che dopo due settimane in libreria già aveva esaurito la tiratura iniziale.
Dell'intensa attività archeologica che si svolge nella nostra città, e che consente «ogni anno scoperte straordinarie», Carandini dice che sarebbe tuttavia più proficua se vi fossero più programmazione e più concertazione: «Invece, ahimè, ognuno va per conto proprio». Si duole che dell'altro luogo da lui molto amato, il colle del Quirinale, si sappia così poco. Meriterebbe, afferma, un'approfondita ricerca. Lamenta inoltre l'assenza di un museo che ripercorra per intero la storia urbanistica della città dalle origini all'attuale Piano regolatore.
Abbandoniamo il nostro gradino. Il professore tornerà qui ai primi di giugno, come ogni anno, per riprendere lo scavo. Nostalgia per il tempo remoto delle passeggiate al Foro, conclude non ne ha. «Se non per i ritmi di vita meno concitati. Anche le facce, allora, nonostante la miseria e la violenza, erano più allegre. Mi capitava spesso di incontrare per la strada gente che cantava». Gli piacerebbe poter ripetere con la figlia sedicenne, Greta, il rito che compiva con i suoi genitori. «Ma lei ha lo studio, i compagni, la tv, gli sms...I suoi tempi sono ancora più concitati dei miei. D'altronde è normale. Sta scoprendo la vita».


nel disegno veduta del Palatino

Acquedotti dell'Acqua Claudia di contro Santo Stefano Rotondo

Acquedotti dell'Acqua Claudia di contro Santo Stefano Rotondo

Ritrovata la città di Castore e Polluce, ma non si possono effettuare scavi. Mancano i soldi

Ritrovata la città di Castore e Polluce, ma non si possono effettuare scavi. Mancano i soldi
Il Gazzettino - Friuli - 10.04.2006

Per gli scopritori, Lorenzo e Stefania Quilici, è la mitica città di Amyclae, fondata dai Dioscuri Castore e Polluce a capo di un gruppo di spartani, il cui racconto si perde nella notte dei tempi. Di certo è l'importante ritrovamento nel Parco Nazionale dei Monti Aurunci di un'area urbanistica vasta (ben 33 ettari) e articolata, rimasta nascosta per 2.300 anni.
Presentata nell'ambito della Settimana dei Beni Culturali, la scoperta è sorprendente se si pensa che il sito dista solo 2,5 chilometri (in linea d'aria) da Fondi e si affaccia sulla piana tra Terracina e Sperlonga. «Ma è in una zona molto impervia», ha commentato il direttore generale per i Beni archeologici Anna Maria Reggiani, che pensa in un futuro a istituire dei percorsi di visita, mentre al momento sono escluse campagne di scavo. «Con questa crisi -ha detto -non abbiamo nessuna risorsa a disposizione».
«Per fortuna, il sito è all'interno di una zona protetta e non corre pericoli di sorta», ha aggiunto Stefania Quilici che con il fratello Lorenzo ha individuato la leggendaria Amyclae sulla vetta del monte Pianara, alto solo 321 metri, ma coperto da una folta vegetazione e senza vie d'accesso. Il rinvenimento è avvenuto durante le ricerche compiute dai Quilici per l'Università di Bologna e la Seconda Università di Napoli, dove sono docenti, sul tratto dell'Appia antica, in cui la via attraversa le gole di Sant'Andrea. «Lì la strada per tre chilometri conserva perfettamente il selciato romano», racconta Lorenzo Quilici, che durante i rilievi del Santuario di Apollo, rinvenuto dove si erge il Fortino di Fra Diavolo, è stato informato che sul monte Pianara erano visibili delle mura poligonali, mai indagate. Dopo una difficile arrampicata, prosegue lo studioso, sono apparsi i resti di un antichissimo abitato, cinto da mura imponenti, ben conservate soprattutto sul versante orientale, dove lo spessore raggiunge i 2,2 metri, con un'altezza massima di 4,5. La città, ha detto Quilici, mostra una pianificazione urbanistica arcaica di grande interesse, che dovrebbe essersi sviluppata dal VI al IV o III secolo a.C. «La distruzione della città -ha proseguito -potrebbe essere avvenuta per un terremoto devastante, come dimostrano alcuni blocchi sobbalzati uno sull'altro, che testimoniano un sommovimento sismico rilevante».
«Le dimensioni del sito hanno fatto pensare a una città che lascia il segno sul territorio» ha detto Stefania Quilici e il pensiero è andata alla mitica Amyclae, che dal Rinascimento veniva cercata nel lago di Fondi. Del resto, la città dei Dioscuri, che, come ricorda Virgilio, combatté contro Enea, era una leggenda fin dall'antichità, e se ne parlava di un luogo ormai scomparso già nel II secolo a.C.. Chi non è d'accordo con questa teoria, sostiene che il sito potrebbe avere un rapporto con Fondi, essere cioè una prima sede della città portata poi in pianura. Le datazioni delle due città però a un certo punto coincidono, anche se il sito di monte Pianara è di parecchio antecedente.

Resti di tempii e sepocri fuori di Porta Maggiore nel luogo detto Roma vecchia

Resti di tempii e sepocri fuori di Porta Maggiore nel luogo detto Roma vecchia

II parco archeologico con vestigia della «Civitas camunnorum»

II parco archeologico con vestigia della «Civitas camunnorum»
Gian Mario Martinazzoli
GIORNALE DI BRESCIA 12/04/2006

CIVIDATE CAMUNO. È Stato inaugurato tre anni fa il parco archeologico di Cividate Cannino composto dai resti del teatro e dell'anfiteatro romani del primo secolo dopo Cristo, rimasti per quasi due millenni sotterrati sotto una spessa coltre di terra o, peggio ancora, devastati e spogliati fino all'osso.
La "Civitas camunnorum" ha cosi restituito uno scampolo di architettura, un brandello di tessuto cittadino che si affianca alle tante altre vestigia che qui fanno pensare a tenne, templi, luoghi pubblici e dimore signorili.
L'indicazione del teatro avvenne nel 1972 quando riaffiorò una piccola porzione che subito fece pensare alla punta di un patrimonio sommerso. Nel 1984, poi, fu la volta dell'anfiteatro, attiguo al teatro ma più spostato in direzione sud. Fu soprattutto nell'arco di tempo che va dal 1995 al 1997 che le campagne di scavo presero una piega sempre più interessante ed incoraggiante. Regione Lombardia, Comune di Cividate, Comunità montana e Bim unirono le forze e credettero a quanto progressivamente stava riaffiorando dalla piana e soprattutto dal versante adagiato ai piedi del colle di Barberino.
Adesso, il risultato è sotto gli occhi dei visitatori che possono ammirare l'efficacia del progetto di recupero e la semplicità dell'ordito architettonico del luogo che fu vanto e gloria della "civitas" divenuta capitale romana della Valle a partire dal 16 avanti Cristo.
La zona archeologica del parco è adagiata proprio ai piedi dello sbarramento roccioso che sembra chiudere la valle, in posizione bellissima, protetta dai venti freddi del nord e acusticamente molto adatta.
Sono tornati alla luce la gradinata del teatro e parte della scena oltre alla cavea e alla scena dell'anfiteatro.
Quest'ultimo presenta una struttura ellittica con il diametro maggiore di 74 metri e quello minore di 65, realizzata con ciottoli del fiume Oglio tenuti insieme da una malta molto robusta, contrariamente a quanto è stato riscontrato altrove. Forse è anche per questo che il complesso dei ruderi è di tutto rispetto, in grado in ogni caso di dare un'idea precisa della trama architettonica di duemila anni fa.
Il complesso teatro-anfiteatro di Cividate permette di avvicinarsi al modello insediatìvo tipico della città romana.

Veduta del Circo massimo e del Palazzo de Cesari nel Palatino

Veduta del Circo massimo e del Palazzo de Cesari nel Palatino

Ritrovata un'antica statua romana

Ritrovata un'antica statua romana
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Il quotidiano del Molise 13/04/2006

La provincia di Isernia torna a far parlare di sé quanto a storia e reperti archeologici. Nella giornata di ieri è stata infatti rinvenuta una statua romana probabilmente risalente al 300 a.c. in un terreno in agro di Colli al Volturno. Con esattezza si tratta di contrada Valle Porcina, nei pressi del "ponte rosso" dove questa mattina il prof. Michele Raddi della facoltà di Beni Culturali di Isernia, con i suoi studenti, ha riportato alla luce un reperto di inestimabile valore. Una statua probabilmente raffigurante un'icona femminile. Il reperto è affiorato all'interno di un sito già da anni individuato, lì dove insiste una villa di epoca romana e un sito tombale con dei resti umani venuti anch'essi alla luce. Il lavoro certosino degli studenti coordinati dal prof. Raddi sono proseguiti per tutta la giornata con grande entusiasmo e viva soddisfazione. Isernia infatti si arricchisce di nuovi siti archeologici dove concentrare energie e studi della neonata facoltà di Beni Culturali. La statua che vediamo nella foto per metà ancora nel terreno rende l'idea dell'importanza che assumerà il sito anche in prospettiva futura. La mano del soggetto sorregge il drappo della veste anche se al busto manca la parte superiore del collo e della testa.
Raggiante e soddisfatto Michele Raddi, referente, tra l'altro, anche della sovrintendenza dei beni culturali e ambientali di Isernia, il quale ha prontamente allertato la sua squadra di studenti e collaboratori per accelerare le operazioni di scavo.
"Si tratta di un tassello importantissimo per la nostra realtà territoriale e universitaria che a questo punto può solo crescere e svilupparsi intorno a tali reperti - ha dichiarato Raddi - infatti sono ben 24 anni che tale sito è stato individuato ma solo da poco si sono intensificati i lavori di scavo. Siamo in presenza di una villa romana, probabilmente risalente al 300 a.c. sulla quale ci proponiamo di intensificare il lavoro e i nostri studi". Una volta terminate le operazioni di scavo, la statua verrà esposta al comune di Colli che la consegnerà alla sovrintendenza per esporla poi in un museo. Nei prossimi giorni saremo in possesso di notizie più dettagliate e precise sull'esatta datazione e in particolare sulla reale destinazione del reperto e in generale sul sito di Valle Porcina.

Veduta dalla parte superiore delle Terme di Tito

Veduta dalla parte superiore delle Terme di Tito

Canne: le antiche terme tra le erbacce

Canne: le antiche terme tra le erbacce
Nino Vinella*
15/04/2006 La Gazzetta del Mezzogiorno

Settimana della Cultura. Lanciamo l'idea: con le altre bellezze dell'area archeologica, ci sono da vedere le antiche terme romane fra gli ulivi di Canne della Battaglia ai piedi della collina di San Mercurio. Un bel biglietto d'invito. Ma non avevamo fatto i conti con quegli scavi (costati denaro pubblico di provenienza comunale dal bilancio 2001) completamente ricoperti da erbacce ed altri rifiuti, compreso il terriccio di riporto che la mano (pietosa) della Soprintendenza ci ha steso su per coprire i teloni di plastica destinati a ?difendere? gli importanti ritrovamenti appena un anno fa decantati in affollate conferenze e visite guidate! Di cosa stiamo parlando esattamente, signori? Lo leggiamo dal testo ufficiale stampato e diffuso in un coloratissimo ma già introvabile dépliant bilingue italiano ed inglese: «In prossimità della stazione ferroviaria di Canne della Battaglia è conservata un'ampia cisterna quadrangolare con rivestimento in laterizio collegata ad una vasca e ad un ampio sistema idrico. La struttura, scavata dal prof. Michele Gervasio nella prima campagna di scavo sulle colline cannensi alla fine degli ani Trenta del secolo scorso, vene identificata come sepolcro monumentale di età romana e inserita nei circuiti turistici del territorio cannense come monumento alla memoria del console romano Paolo Emilio, caduto sul campo di battaglia nel 216 avanti Cristo. In realtà soltanto ora, a seguito di recentissime indagini, è possibile una lettura più corretta della funzione dell'impianto. E' stata, infatti, avviata da parte della Soprintendenza per i beni archeologici della Puglia, una campagna di scavo sulla collina che ha interessato un impianto termale relativo al settore del calidarium con ipocausti e prefurni per il riscaldamento». «Le strutture pavimentali - si sottolinea ancora nel dépliant - sono a mosaico con tassellato in bianco e nero. L'edificio, probabilmente parte del complesso residenziale di una villa di notevole pregio, si data ai primi secoli dell'età imperiale. In epoca tardoantica gli ambienti furono ristrutturati e vi si impiantò un sepolcreto. In età bizantino-normanna, sulla collina fu costruito un piccolo monastero retto da una badessa». Un sito bellissimo ed affascinante, dunque, capace di raccontare quel pezzo di storia tuttora mancante su Canne della Battaglia in epoca romana post-annibalica, immerso nel verde di uliveti e vigneti freschi freschi di esproprio del Comune pagato con parte dei soldi del famoso finanziamento da un milione di euro girato dalla Regione a Barletta, tuttora in attesa che venga bandita la gara di appalto su scala europea ma che nel frattempo rischia di fare la stessa identica fine dell'altro fondo in località Antenisi, con accesso dalla provinciale 142 dietro i Sepolcreti, che il Comune acquistò e recintò nel 1983 (con tombe a grotticella del III-IV secolo avanti Cristo) per poi abbandonarlo anch'esso ad erbacce e rifiuti vari. Amici miei, non disperiamoci! Anzi, proprio per queste ragioni vi rinnoviamo ancora più caldamente l'invito di venire in treno a Canne della Battaglia perché quelle terme sono lì a due passi. Sarà una visita davvero ?istruttiva?, fosse solo per considerare come vanno le cose nei beni culturali e su cospicue risorse finanziarie ad essi destinate, specie poi quando questi soldi pubblici ancora ci arrivano in tempi di tagli alla Cultura. Vi aiutiamo con le due fotografie di corredo a questo articolo, la prima del 2004 con gli scavi eseguiti e poi ricoperti (che purtroppo non vedrete ma dovrete limitarvi ad immaginare), come mostra la seconda immagine scattata pochi giorni fa dalla stessa angolazione con tanto di erbacce a gogò.


Nino Vinella* presidente Comitato Italiano Pro Canne della Battaglia www.comitatoprocanne.com

Veduta del Monte Palatino dalla parte del Monte Celio

Veduta del Monte Palatino dalla parte del Monte Celio

La pace di marmo del divino Augusto

La pace di marmo del divino Augusto
il manifesto, 21/04/2006

«Quando tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia... compiute felicemente le imprese in quelle province, il Senato decretò che per il mio ritorno si dovesse consacrare l'ara della Pace Augustea presso il Campo Marzio e dispose che in essa i magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali celebrassero un sacrificio annuale» (Res gestae divi Augusti 12,2). E così fu. La costruzione dell'Ara Pacis fu votata dal Senato romano nel 13 a.C. ma la dedicatio del monumento fu celebrata il 30 gennaio del 9 a.C: il completamento dell'opera richiese dunque tre anni e mezzo. Il tempo necessario per realizzare la ricca e complessa decorazione - affidata probabilmente a scultori neoattici attivi a Roma nel I secolo a.C. - che corre sia sui lati esterni che su quelli interni del monumento e che rappresenta uno dei capolavori della scultura classica. L'Ara Pacis -che rappresenta una delle più alte espressioni dell'arte augustea -, è costituita da un recinto che contiene l'altare dove venivano compiuti i sacrifici. Sorgeva lungo la via Flaminia, alla distanza esatta di un miglio dal pomerium, limite oltre il quale decadevano i poteri militari del magistrato. Il suo declino ebbe inizio nel II secolo d.C, quando i lavori effettuati nel Campo Marzio dagli Antonini ne determinarono il progressivo, inesorabile interramento.
Il ritrovamento dell'Ara Pacis avviene per tappe, lungo un arco di tempo che abbraccia quasi quattro secoli. Nel 1568, sotto palazzo Peretti, furono ritrovati nove grandi blocchi di marmo scolpiti su entrambi i lati che furono acquistati per conto del Granduca di Toscana e quindi trasferiti a Firenze, dopo essere stati segati nel senso dello spessore per facilitarne il trasporto e l'esposizione. Un grande frammento figurato «emigrò» al museo del Louvre, dove si trova tuttora; un secondo ai Musei Vaticani. Quasi tutte le parti decorate a festoni, invece, furono murate nella facciata di Villa Medici al Pincio, dove sono ancora oggi. Durante i lavori di consolidamento del palazzo (divenuto nel frattempo proprietà del duca di Fiano), a partire dal 1859, furono ritrovati il basamento dell'altare e numerosi altri frammenti che nel 1898 furono ceduti dal duca al Museo Nazionale Romano. Nel 1896 Eugen Petersen avanzò una ipotesi di ricostruzione e nel 1903 presentò allo Stato italiano un progetto per il recupero di tutti i frammenti rimasti a palazzo Peretti-Fiano. Ma la presenza di acqua e l'instabilità
del palazzo bloccarono ogni iniziativa.
Si giunge cosi al .1937. In vista del bimillenario della nascita di Augusto, il Consiglio dei ministri del regime fascista decretò il recupero e la ricostruzione dei frammenti che compongono l'Ara, all'epoca interrata a più di sette metri sotto la sede stradale. La ricomposizione fu affidata a Giuseppe Moretti: le lastre fiorentine furono recuperate e ricomposte e si eseguirono i calchi dei frammenti del Louvre, di Villa Medici e dei Musei
Vaticani. Nel 1938 iniziarono i lavori per la costruzione della teca di vetro e cemento dell'architetto Vittorio Ballio Morpurgo che dovrà contenere l'Ara.
Per la ricostruzione e la nuova collocazione dell'Ara Pacis, Mussolini diede ampio mandato al ministero per l'educazione nazionale. La scelta cadde sull'area prospiciente il Mausoleo di Augusto, i cui scavi erano appena terminati, per farne un centro di memorie augustee. Ragioni di propaganda politica, dunque, per confezionare un «cuore» storico-mitologico della città moderna e del moderno impero in genealogia con la Roma antica. Si decise quindi di edificare un padiglione di protezione che fu ultimato nel settembre 1938.
E si arriva al 1995. L'allora sindaco di Roma, Francesco Rutelli, incarica l'architetto newyorchese Richard Meier di ideare una nuova musealizzazione in grado di integrarsi anche
con la vicina piazza Augusto Imperatore. Lo smantellamento della teca di Morpurgo e il nuovo progetto suscitano accese polemiche (di Vittorio Sgarbi, Giorgio Muratore, Federico Zeri...)- Nonostante il microclima interno al vecchio padiglione, con brusche variazioni di temperatura e di umidità, avesse causato non pochi problemi alla conservazione del monumento messo ulteriormente alla prova da altri fattori che certo non erano stati contemplati nel '38: l'inquinamento e il traffico. Il progetto di Meier prevede un livello di temperatura e di umidità costante e l'eliminazione di tutti gli agenti inquinanti, incluso il rumore. E i materiali proposti sono gli stessi suggeriti nel '37 da Morpurgo: travertino, stucco, vetro e acciaio. Nel 1998 il Consiglio comunale approva il progetto di Meier con alcurie modifiche al disegno originale, come l'eliminazione del muro che rischiava di oscurare le facciate delle chiese di San Rocco e di San Girolamo. Nel 2000 si avviano i lavori di costruzione che si allungheranno, tra polemiche, verifiche e stop, fino a oggi.