sabato 2 maggio 2009

Spunta una nuova porta della città romana

Spunta una nuova porta della città romana
Camilla Bertoni
Corriere del Veneto 29/04/2009

VERONA — Riaffiorano i «segreti» storici negli scanti­nati di Casa De Stefani, sede un tempo di una casa farma­ceutica, posta tra via Leonci­no, dove dà la facciata princi­pale, e vicolo Sant’Andrea. Un palazzo-monumento, dove si racchiude una storia che va dall’età romana fino al ‘900.

Da tre anni si scava nelle cantine perché ciò che sta emergendo è una postierla ro­mana, ovvero una porta secon­daria di accesso alla città. «Ne abbiamo trovate altre tre nella cinta municipale di Verona ­spiega Giuliana Cavalieri Ma­nasse, direttore del nucleo operativo di Verona della So­printendenza Archeologica del Veneto - una in corte Fari­na, una in via Mazzini e una in via San Cosimo, ma nessuna così ben conservata».

Lo studio è ancora in corso, ma Giuliana Cavalieri Manas­se spiega l’importanza del ri­trovamento: una porta che dapprima sembrava solo un accesso pedonale alla città, ma che con l’avanzare dei lavo­ri si è rivelata ben più com­plessa, con due fornici laterali più piccoli riservati ai pedoni e un grande fornice centrale di tre metri di ampiezza adat­to al passaggio dei carri. A ba­se quadrata, si alzava come una torre tra le mura. Struttu­ra che si intravede ancora nel­la sagoma del palazzo. Il forni­ce centrale è posto a cavallo di un cardo il cui basolato è anco­ra perfettamente conservato. Lungo il perimetro murario che correva sulla traiettoria di via Leoncino, la porta era la prima uscita dalla città verso la campagna alla destra della ben più monumentale Porta Leoni.

Un ritrovamento, quello del­la porta a tre archi, che si collo­ca tra i tanti che lo Stato non riesce a finanziare e che Stato ed Enti Locali non hanno le ri­sorse per valorizzare. Dopo i primi contributi allo scavo del­lo Stato, le indagini archeolo­giche sono state finanziate dai proprietari dell’edificio, che commentano: «Se qualcuno ama definire questi resti solo quattro sassi, e preferirebbe buttarli in padella, la nostra fa­miglia, anche chi non è diret­tamente implicato nella pro­prietà, ha preferito investire, non solo economicamente, per salvaguardare questi ritro­vamenti ». Si ma poi qual è il destino per questi tesori sommersi?

Giuliana Cavalieri Manasse ha intascato quest’anno zero euro dal ministero per l’arche­ologia veronese e nutre poche speranze sui fondi richiesti per la realizzazione del Museo Archeologico a San Tomaso, nel quale dovrebbe trovare va­lorizzazione il lavoro di scavo e soprattutto di ricostruzione del Campidoglio durato più di vent’anni e presentato pro­prio ieri.

I lavori vanno avanti grazie al sostegno della Fondazione Cariverona o, in rari casi, di privati illuminati.

E il Comune, che dalla valo­rizzazione di questi tesori po­trebbe trarre grande giova­mento?

«E’ doveroso e auspicabile ­dice l’assessore ai Lavori Pub­blici Vittorio Di Dio che sostie­ne l’ipotesi di creare un mu­seo della Verona sotterranea­che il Comune recuperi risor­se e collabori in maniera conti­nuativa con la Soprintenden­za per la valorizzazione delle aree di scavo e per altri proget­ti di musealizzazione dei resti recuperati. Con quanto si è trovato sotto l’Arena, sotto corte Sgarzerie e in altre zone di Verona si può costruire un circuito di grande valore e di grande attrattiva turistica. Sa­rà mio impegno organizzare un incontro su questi temi ap­pena possibile».