mercoledì 29 ottobre 2008

«Indagare sui mosaici sotterrati a Villa Manzoni»

«Indagare sui mosaici sotterrati a Villa Manzoni»
Marco Morello
il Giornale ed. Roma, 28 ottobre 2008

Almeno non potranno appellarsi a un generico errore di vantazione. Insieme con la colpa c'è pure una punta di dolo. I kazaki, infatti, hanno capito subito l'importanza storica delle ricchezze nascoste nel sottosuolo di Villa Manzoni, diventata di loro proprietà dopo il generoso gesto di Walter Veltroni. L'ambasciatore Almaz Khamzayev, in una lettera recapitata poche settimane fa al XX municipio, scriveva: «Nel corso di scavi sono state ritrovate le nuove parti della nota villa imperiale di Lucio Vero con le pavimentazioni a mosaico». E, subito dopo, aggiungeva che quei reperti sono «di valore inestimabile per la civiltà italiana e mondiale». Nonostante questa consapevolezza, vergata nero su bianco in un documento ufficiale (protocollo 31-542), la decisione è stata quella di sotterrare tutto, anziché pensare a strategie comuni per mettere quel patrimonio a disposizione dei cittadini e degli studiosi. La giunta di centrosinistra, pe run misto di miopia e artificiosa benevolenza, non ha esercitato il diritto di prelazione su un bene che era doveroso lasciare in mani pubbliche: «La scorsa amministrazione ha condotto l'intera operazione in maniera poco trasparente, senza coinvolgerci mai nonostante le nostre insistenze», ricorda Marco Daniele Clarke, assessore ai Lavori pubblici del XX municipio, che rilancia: «Restiamo alla finestra per capire se avremo il parco pubblico che ci è stato promesso. Era la condizione inserita nell'accordo di cessione con il Kazakistan, ma al momento non abbiamo nessuna garanzia in merito». Sulla vicenda è intervenuto anche Luigi Camilloni, presidente dell'Osservatorio Sociale: «È semplicemente vergognoso - dice - il fatto che continuino gli scempi in un'area di grande interesse nazionale come quella archeologica del Parco regionale di Veio ed è per questo motivo che tutta la vicenda di Villa Manzoni, compreso il mancato esercizio del diritto di prelazione, meriterebbe l'apertura di un'indagine da parte della magistratura». Camilloni non si ferma qui: «È una situazione a dir poco scandalosa, visto che nel sottosuolo potrebbe esserci anche dell'altro ed è alla luce di questa grave e vergognosa vicenda che ho chiesto al ministro dei Beni culturali Sandro Bondi l'invio degli ispettori della Sovrintendenza». «Siamo senza parole», ripetono i residenti del quartiere Tomba di Nerone, che ieri mattina hanno commentato con amarezza la notizia. «Già mi era parso inaccettabile che la vecchia amministrazione l'avesse ceduta a un paese estero. Sapere di questi ritrovamenti e del trattamento che gli stanno riservando, mi fa sentire impotente», commenta Alessan-dra, insegnate elementare di 44 anni, mentre aspetta l'autobus proprio davanti al cancello di Villa Manzoni.

lunedì 27 ottobre 2008

PADOVA. progetto per la via Annia: restauri e accessibilità

PADOVA. progetto per la via Annia: restauri e accessibilità
Maria Pia Codato
Edizione del 26/10 - IL GAZZETTINO ONLINE

Successo senza precedenti di un ambizioso progetto: rendere l'antica via Annia, risalente al II secolo a. C., un patrimonio culturale accessibile a tutti, una realtà capace di rievocare le vicende e le trasformazioni che si sono susseguite nei secoli lungo i suoi 200 chilometri, e di veicolare, oggi come ieri, idee e culture. Con l'apertura delle sale ad essa dedicate nel Museo Archeologico di Padova, dopo indagini, scavi, restauri, campagne di telerilevamento, si è felicemente raggiunta la prima tappa di un percorso che si concluderà, entro dicembre 2009, con gli allestimenti tematici nei Musei di Adria, Altino, Concordia e Aquileia, territori attraversati dall'antico tracciato. In ogni sala è prevista l'installazione di una stazione multimediale, che permetterà all'utente di conoscere, attraverso schede testauli, immagini e ricostruzioni virtuali, quanto è noto dell'antica via. Che viene ora proposta per la prima volta nel Museo Archeologico patavino, in un nuovo e affascinante percorso.

«Tra le oltre 250 opere esposte si trovano - ha ricordato Girolamo Zampieri, conservatore del Museo - alcuni importanti pezzi che finora erano rimasti relegati nei depositi: dall'elegante statuetta di Venere che si toglie il sandalo, proveniente da Cavarzere, allo stupendo bronzetto di Zeus, dalla curiosa lucerna a forma di piede ai variopinti balsamari in vetro da Monselice, dagli elementi idraulici da Montegrotto all'astuccio con strumenti chirurgici recuperato nella zona della Mandria». Numerosi i reperti ritrovati in città, tra cui il vaso egizio risalente a una tomba romana in via Acquette, il vaso funerario in pietra rinvenuto in via Roma e l'antefissa con sfinge a due corpi in via Belzoni.«Il percorso espositivo - aggiunge il conservatore - rappresenta - grazie alla presenza di reperti attinenti la vita quotidiana (strumenti agricoli, vetri, cucchiai, utensili vari) accanto a quelli di carattere pubblico e monumentale (iscrizioni, monumenti funerari, cippi) - un'occasione per portare il visitatore a diretto contatto con le più significative testimonianze della vita dei nostri antenati».L'importante opera di recupero e di valorizzazione dell'antico tracciato romano, avviata nel 2005, è stata realizzata, come ha ricordato l'assessore alla cultura del Comune di Padova Monica Balbinot, grazie alla caparbietà dell'onorevole Andrea Colasio e all'azione sinergica di Arcus Spa, una società che sostiene iniziative e progetti innovativi nel panorama della cultura italiana, che ha stanziato 1,8 milioni di euro su proposta e con il contributo della Regione del Veneto e del Comune di Padova, ed è stata da questi attuata insieme con i Comuni di Concordia Sagittaria, Dolo, Aquilelia, Rovigo, l'Università di Padova, con la collaborazione delle Soprintendenze per i Beni Archeologici del Veneto e del Friuli Venezia Giulia.

Viva soddisfazione per i risultati raggiunti sono stati espressi anche da Davide Banzato, direttore dei Musei civici di Padova, da Francesca Ghedini dell'Ateneo patavino, e da Fausta Bressani, responsabile della direzione dei Beni culturali della Regione Veneto, regista del progetto. «L'azione congiunta di Soprintendenze, Università, ed Enti territoriali garantisce, accanto alla correttezza scientifica dell'operazione - ha sottolineato quest'ultima - l'attenzione alle necessità di sviluppo sostenibile del territorio, rendendo possibile affiancare ad un'importante azione culturale, progetti di valorizzazione ambientale e delle antiche tradizioni enogastronomiche».

Un tesoro archeologico sepolto dai kazaki

Un tesoro archeologico sepolto dai kazaki
Marco Morello
Il Giornale (Roma) 27/10/2008

Dal buonismo del benefattore, all`egoismo del beneficiario. Dal regalo di Veltroni al Kazakistan, a un`altra nazione, l`Italia, costretta a dire addio a ritrovamenti archeologici di enormevalore. Già pronti peressere ricoperti di ghiaia e di cemento in attesa
di essere restituiti, chissà tra quanti decenni, alla luce che meritano.
E' una storia ricca di colpi di scena clamorosi e insieme deludenti quella che ha perteatro Villa Manzoni, il gioiello di architettura
sulla Cassia di cui abbiamo già parlato in queste pagine alcuni giorni fa. Allora vi avevamo raccontato come il Comune di Roma non avesse esercitato il diritto di prelazione sull`acquisto dell`immobile, a dispetto dei fondi già stanziati da un decennio e con un atto di scriteriata liberalità verso l`ex repubblica dell`Unione Sovietica.
Ancora, però, non eravamo venuti a conoscenza di altri sviluppi della vicenda, di ciò che stava avvenendo all`interno di un cantiere
blindato per tutti, o meglio, quasi per tutti, in un parco privato ma all`interno di un`area protetta, come il Parco di Veio, proprio
per l`enorme valore archeologico dei ritrovamenti finora fatti nella zona.
Durante i lavori per la messa a punto dei locali e degli ingressi della futura ambasciata, ecco la novità, è saltato fuori un autentico patrimonio: mura di età repubblicana e augustea, un ninfeo, ambienti con bellissimi mosaici, cisterne con cunicoli e altri capolavori risalenti persino al III secolo avanti Cristo.
Che il terreno, nove ettari in tutto, ritagliati all`interno del quartiere «Tomba di Neronen, fosse zeppo di testimonianze storiche
lo si poteva intuire in partenza: l`architetto Brasini, infatti, aveva progettato il complesso sulle rovine della residenza favorita dell`imperatore Lucio Vero. Ma che quelle tracce fossero tanto numerose, così ben conservate e databili a epoche ancora precedenti,
è stata una sorpresa per tutti, addetti ai lavori inclusi.
In un primotempo i kazaki hanno contribuito economicamente al recupero e agli scavi di quel tesoro che si sono trovati in casa ma poi, resisi conto che le operazioni rischiavano di dilatarsi all`infinito, hanno cambiato frettolosamente idea.
L`imperativo categorico è diventato quello di completare le azioni conservative il prima possibile, chiudendo il portafoglio e costringendo la soprintendenza archeologica romana a reperire fondi propri, fondamentali per evitare che quelle bellezze fossero protette in maniera grossolana e, non è escluso, finissero schiacciate da macchine di grossa cilindrata o da interventi di edilizia invasiva.
Il fatto stesso che il denaro sia arrivato quasi subito, come assicurano fonti ben informate, è la prova più efficace dell`enorme
valore di quelle opere.
In definitiva, quanto sta accadendo oggi a via Cassia 405 ha dell`incredibile: buona parte dei reperti sono stati sotterrati insieme con una struttura che ne garantisce l`integrità, e la stessa fine faranno anche tutti gli altri. Sarebbe questa la prassi quando un privato non vuole assumersi gli oneri di manutenzione e pulizia.
I nuovi proprietari, bontà loro, si sono riservati solo un piccolo museo personale nel seminterrato come chicca da mostrare agli ospiti illustri, per il resto hanno sostituito la storia con un vialetto elegante e un giardino colorato.
In più, starebbero progettando una seconda strada di accesso alla villa dal lato sud, non curandosi dei mille vincoli imposti dall`appartenenza della loro proprietà alla zona protetta del parco di Veio. E durante le operazioni per installare le telecamere di
sicurezza sarebbero venuti alla luce altri reperti ancora in attesa di un`opportuna catalogazione.
Eccolo qui, dunque, il «prezzo doppio pagato da Roma per il buonismo di Veltroni e della sua giunta: non bastava la perdita evitabilissima di una struttura che poteva diventare una sede istituzionale di pregio per il municipio XX, circondata da una zona di verde pubblico del tutto assente nei dintorni e chiesta a gran voce in tante occasioni dai comitati di quartiere e dai semplici cittadini.
Al bilancio bisogna aggiungere, per chissà quanto tempo, pure la chiusura di un`importante area archeologica, che sarebbe potuta
diventare un museo a cielo aperto, anche questo aperto a tutti.
E a rendere ancora più desolante l`intero quadro si insinua una triste certezza: quanto è stato portato alla luce è solo una piccola
parte. Potenzialmente, nel sottosuolo del parco di Villa Manzoni c`è molto altro. E sottoterra è destinato a rimanere.

sabato 25 ottobre 2008

LA FRANCIA

LA FRANCIA
Dopo l’alta Italia e la penisola iberica, diventa baluardo della romanizzazione dell’Europa occidentale la Francia, e tale resta anche durante e dopo la conquista germanica. Augusto, che vi soggiorna nel 39-38, nel biennio 27-25, nel 16 e nel 10 a.C. organizza nel 27 la Gallia, e nel 20 costituisce la Gallia Narbonese a provincia senatoria. Poi pacifica i confini montuosi, innalzando nel 25 trofei a Lugdunum Convenarum e tra il 7 e il 6 a La Turbie. Nel 69 le Alpi Cozie sono ridotte a provincia. Nel quadriennio 21-25 insorgono Floro e Sacrovir, nel 68 Vindice, col quale i Romani combattono intorno a Besancon. Nuove lotte si scatenano nel 69 e nel 70.
La provincia della Gallia Narbonese viene sin dall’inizio romanizzata, mediante l’insediamento di colonie militari ai piedi delle cittadelle celtiche e con l’influenza esercitata sui vicini (soprattutto riguardo la forma delle abitazioni e la lavorazione della ceramica). Con la fine di Marsiglia e della sua cultura greca nel 49 a.C. l’elemento romano si rafforza. Cesare fonda le colonie di veterani: Narbonne, Arelate (Arles), Arausio (Orange), Apta (Abt), Valentia (Valence); Ottaviano fonda nel 30 Forum Julii (Fréjus), e, divenuto Augusto, Avignone, Carpentras, Vaison, Vienne e altre. Le più importanti stazioni di scambi dei Celti vengono favorite e sviluppate. Queste sono Tolosa (Toulouse) e Nemausus (Nimes), che si rende indipendente da Marsiglia ed è dotata di un tempio di Cesare (noto come La Maison Carrée) e di una cinta muraria, fatta costruire da Augusto tra il 16 e il 5. Con l’assimilazione di tutti gli espedienti della tecnica edilizia romana del tempo di Augusto e di Claudio, e con la diffusione dei metodi italici nella coltivazione della vite, dell’ulivo e della frutta e la partecipazione alla vita spirituale romana, la Gallia Narbonese (patria di Pompeo Trogo e di Antonino Pio, nativo di Nemausus), che è costituita a provincia senatoriale nel 22 a.C., diventa culturalmente la continuazione dell’Italia. L’influsso culturale della Gallia Narbonese si estende sui confinanti popoli dei Ruteni e degli Arverni e diffonde in tutta la Gallia l’imitazione della « terra sigillata » italica ossia della ceramica,
i cui centri di produzione sono Condatomagus (La Graufesenque) dal 25 al 120 e Lezoux dal 40 al 150. Gli Allobrogi, abitatori della regione intorno a Ginevra, ottengono nel 40 d.C. la cittadinanza romana.
La regione tra i Pirenei e la Gironda, sede di una popolazione iberica, mantiene fino nel II secolo i suoi contatti con la Spagna, nonostante l’ampliamento dell’Aquitania fino alla Loira avvenuto nel 16 a.C. Ai piedi dei Pirenei, presso le miniere e le sorgenti medicamentose, sorgono vere e proprie località romane, come ad esempio Dax e Saint Bertrand. Nella cittadina di Mediolanum (Saintes) e a Burdigala, l’odierna Bordeaux .

La Britannia

La Britannia
L’occupazione di tutta la Gran Bretagna si conclude nell’84 con la vittoria di Agricola a Monte Graupio. Alla fortificazione del confine settentrionale segue il consolidamento dall’interno mediante la trasformazione delle difese dei castelli e degli accampamenti in edifici di pietra.
Sotto l’imperatore Adriano (dal 117 al 119 e dal 130 al 138) si ha notizia di aspre lotte, in cui attaccanti sono sempre i Briganti. Ripercussione di esse sono la costruzione (dal 122) del limes di Adriano dal Solway al Tyne, munito di castelli a distanze regolari, e la sua fortificazione (dal 127) mediante l’aggiunta di 17 forti contro gli attacchi; inoltre la zona militare viene isolata da ogni lato mediante un vallo di terra. Sotto Antonino Pio il limes viene spostato verso nord (142-184); tra Clyde e Forth sorge il limes di Antonino, che è un semplice vallo di terra con castelli di terra e non costituisce un confine economico. Nel 184 i Romani occupano le posizioni del limes di Adriano, che nel 195 viene però distrutto in seguito al ritiro delle truppe. Nel 210 è ripristinato dai Caledoni; nuovamente distrutto nel 290, è ripristinato ancora una volta nel 296. Dietro il limes si estende la zona militare con la sua rete di strade e di stazioni di transito, fra cui ricordiamo Corstopitium (Corbridge) e Luguvallium (Carlisle), e si trova l’accampamento legionario di Eburacum (York, dove Settimio Severo muore nel 211 dopo aver fondato una colonia di veterani) e che sotto Costanzo Cloro ritorna ad essere residenza imperiale.
L’Inghilterra centrale viene occupata perché ricca di giacimenti minerari tra cui il carbon fossile. I monti del Galles sono cinti da una catena di roccheforti e difesi dai due campi legionari di Deva e Isca.
Nel sud-est dell’isola, tra gli ultimi villaggi briti sorgono le ville, che dal II al IV secolo diffondono nel paese la cultura romana. In questa regione si trovano i centri della romanizzazione, che sono le colonie di Camulodunum, di Lindum, di Glevum e il luogo climatico di Aquae Sulis (Bath). Non è chiara la posizione giurdica dell’import6ante stazione di Londinium, circondata da famose la ville di fornitori dell’esercito. I capoluoghi delle civitates, la cui aristocrazia viene almeno esteriormente romanizzata, divenuti municipi si evolvono fino ad acquistare aspetto di città, ma continuano per la maggior parte la loro funzione di empori commerciali. Essi hanno perciò delle potenti fortificazioni, come dimostrano gli esempi di Silchester e di Verulamium (St. Albans), che dalla rivolta del 61 al 79 sono difese da un vallo di terra, a cui sostituiscono nel 130 e nel 296 un vallo di pietre. Tali capoluoghi sono dotati di Fori, simili a quelli dei quartieri generali degli accampamenti. I più importanti sono Wroxeter, Cirencester, Caerwent, Leicester e Winchester. Comunità cristiane sono presenti intorno al 300 solo in tre capoluoghi. Tra il 286 e il 291 Carausio insorge nell’intento di fondare una Britannia romana autonoma.
Nel 290 sulla costa sud-orientale si rendono necessarie opere di difesa contro i Sassoni. Questo tratto di costa prende il nome di « costa sassone » (litus saxonicum). La signoria romana è consolidata ancora una volta da Costanzo Cloro fra il 297 e il 306 mediante la divisione della regione in quattro province. Giuliano cerca di respingere gli attacchi dei Pitti e degli Scoti provenienti dall’Irlanda. Durante il suo regno vediamo sorgere gli ultimi santuari pagani. Nel 367 il limes di Adriano è nuovamente sfondato. Restaurato nel 370, nel 383 (o forse nel 395) è di nuovo in mano ai Romani. Ma nel 399 Stilicone non può più reagire che con delle dimostrazioni di truppe fuori Richborough. Nel 383 e nel 407 gli usurpatori Magno e Costantino conducono via dei contingenti di truppe, cosicché la difesa della Britannia resta affidata alle singole città (410). Verulamium riceve un nuovo impulso. Londra resiste ancora nel 457, fino al trionfo dell’espansionismo e alla conquista anglosassone.

Dietro il limes

Dietro il limes
Dietro il limes si estendono i territori dei Mattiaci e dei Suebi Nicreti. Dietro il limes retico fioriscono numerosi piccoli vici; vici più grandi si trovano invece sulla sponda settentrionale del Danubio. Wiesbaden e Baden-Baden sono i centri termali delle legioni di stanza a Magonza e a Strasburgo.
L’estremo meridionale della pianura dell’alto Reno apparteneva alle legioni e veniva coltivato per esse dai Celti: non aveva perciò alcuna civitas e, dopo la limitazione dei territori legionari di Vindonissa, Argentorate e dell’area coloniale di Augusta Raurica, aveva preso il nome di agri decumates.
La pianura dell’alto Reno confina a nord-est con la regione boscosa del saltus Sumelocennensis ed è proprietà privata dell’imperatore. La denominazione di agri decumates ossia soggetti alla decima, dato a tutta la regione retrostante il limes, non è provata né documentata. Sotto Antonino Pio (dal 145 al 146) il limes dell’Odenwald è occupato dagli scozzesi Brittoni, che vi si sono trasferiti e i cui castelli-numeri prendono nomi derivati dai vicini corsi d’acqua. Dopo il 154 il confine è spostato sulla nuova linea Miltenberg-Haghof, che procede in linea retta fino a toccare il limes retico. Le guarnigioni si fanno sotto il limes, il quale viene a sua volta presidiato da « numeri ». In tutto il limes le torri di legno sono sostituite da torri di pietra. Nel 179 Castra Regina diventa sede della III legione italica, e Strasburgo dal 202 al 233 ritorna ad avere un accampamento sul confine fluviale. Caracalla rafforza il limes altotedesco con una fossa larga sei metri e munita di palizzate, e il limes retico con un muro di pietra, noto come «muro del diavolo » e lungo 166 km.
Nel 233 gli Alamanni assaltano il limes, si spingono fino a Strasburgo e scendono nell’Alta Italia; nel 258 o 259 i Romani abbandonano il limes altotedesco e il limes retico e i confini dell’impero sono d’ora in poi il Reno, l’Iller e il Danubio. Vindonissa viene nuovamente fortificata nel 260 contemporaneamente ad altri castelli, di cui una parte è travolta dall’avanzata dei Franchi nel 276. Da Diocleziano in poi sul Reno sono di stanza Otto piccole legioni e precisamente a Kaiseraugst, a Strasburgo, a Magonza, a Bonn, a Deutz, a Xanten e a Tongern, mentre il Danubio ne ha soltanto una, costituita a Ratisbona.
Alla scomparsa del tipo d’insediamento militare-civile e alla caduta del limes, Rigomagus (Remagen), Autunnacum (Andernach), Confluentes (Coblenza), Borbitomagus, Lepodunum ottengono costituzione cittadina e vengono quasi tutte cinte di mura; così Colonia, Noviomagus, Bingium (Bingen). Magonza ottiene le mura solo dopo il 300, cioè dopo che ha accettato di accogliere la legione, Aventicum non le ottiene, ed è distrutta nel 259.
Nel IV secolo la maggior parte delle località sulla riva del Reno, notevolmente rimpicciolite, vengono ridotte a castelli. Le mansiones ossia le stazioni di posta sulla strada vengono pure fortificate a mo’ di castelli. L’Alto Reno è costellato di posti di guardia.

Il Limes

Il Limes
Gli accampamenti legionari primitivi, presenti a Birten presso Xanten dal 16 a.C. al 70, a Colonia dal 9 a.C. circa fino al 35, e a Magonza, vengono intorno allo stesso anno 35 sostituiti da quelli di Bonn, di Noviomagus (Nimwegen) e di Novaesium presso Grimlingshausen a sud di Neuss (35-93), questo ultimo sorto al posto di tre stazioni di marcia augustee. L’accampamento retico di Augusta Vindelicorum nel 16 d.C. è trasferito a Vindonissa, alla confluenza della Reuss con l’Aare, e abbandonato nel 100 o 101. Ad Argentorate (Strasburgo) è di stanza una legione dal 12 al 60 e dal 69 al 97, anno in cui il campo è distrutto da un incendio doloso.
Durante la seconda fase vicino ai castelli e agli accampamenti della prima fase troviamo già degli insediamenti civili; sul Basso Reno e sul medio Danubio si mantiene la catena dei castelli del limes. Claudio sviluppa il limes. La Wetterau è fortificata da una serie di castelli fino all’altezza del Taunus e da due accampamenti cinti di un vallo di terra, a Wiesbaden e a Hofheim e forse da un terzo a Gross-Gerau. Il Baden meridionale è assicurato fino alla Wutach dagli accampamenti Juliomagus (Schleitheim) e Brigobannae (Hufingen). Sotto Vespasiano la riva orientale del Reno è coperta da castelli. Sotto Domiziano i Romani abbandonano i castelli ausiliari della sinistra del Reno e impiegano le truppe per guarnire le strade lungo la linea del Neckar e la valle di Kinzig e mantenere così il collegamento fra Strasburgo e il Danubio, e infine occupano Aquae e Arae Flaviae, Baden-Baden e Rottweil. Intorno all’80 si costituiscono castelli a nord del Danubio. Gli assalti dei Catti nel 50, nel 69 e tra l’88 e l’89 sono documentati dai ritrovamenti archeologici nei castelli. Tra l’88 e l’89, ancor prima della rivolta di Saturnino, Domiziano ha incominciato a elevare il limes con l’intento di separare l’area economica romana da quella germanica, abolendo così la fascia disabitata che era servita fino ad allora a segnare il confine. Wiesbaden diventa la stazione termale delle legioni di stanza a Magonza; nella Wetterau si costituiscono a partire dal 90 poderi di un kmq. di superficie; il vicus Taunensius di Nida (Heddernheim) acquista carattere urbano.
Dal 90 in poi i Romani completano il limes e
perfezionano le comunicazioni coi campi legionari delle retrovie e i castelli ausiliari, che come punto d’appoggio della difesa vengono rafforzati con edifici di pietra. Intorno alla conca di Neuwied, alla Wetterau e alla valle del Reno fino a Kesselstadt viene costruita una serie di castelli, davanti ai quali si stende il limes: esso si adegua alla conformazione del terreno ed è costituito da un vallo-bastione guarnito di fosse e staccionate a intreccio; al di là di questo vallo si levano torri-vedetta di legno, dalle quali si può sorvegliare il limes e tutte le sue porte. Piccoli castelli di terra sorgono a sud del Meno, nella immediata vicinanza del limes, poi sulla strada che congiunge Magonza al Danubio attraverso Gross-Gerau-Ladenburg-Neuenheim-Cannstatt; altri, eretti dietro il limes, costituiscono la linea di Muimling, che congiunge la suddetta strada con Kesselstadt. Dalla Rezia inizia una catena di castelli che arriva fino all’Alb sveva: questi castelli di pietra sono collegati tra loro da una strada. La presenza di giacimenti di ferro e di una fitta rete di vie preromane induce i Romani a occupare una lingua di terra al di là del confine settentrionale. Sotto Traiano viene costruita e fortificata una nuova strada da Magonza ad Augusta.
Adriano e i suoi successori rinnovano il limes, rafforzandolo con palizzate e rettificandolo dove formava arco, senza riguardo alla conformazione del suolo. Nella Wetterau orientale esso viene spostato in avanti, cosicché la catena di castelli di Oberflorstadt si sposta verso il Gross-Krotzenburg. Ad alcuni castelli nel Taunus, in prossimità del limes, vengono assegnate truppe indigene, provenienti dalle regioni vicine, divise in « numeri » e chiamate col nome dei rispettivi cantoni. Anche la Rezia ottiene in questo periodo un limes e una catena di castelli.
A partire da Hienheim sopra Kehl, il confine romano coincide col corso del Danubio, e come confine del Norico a est dell’Inn e della Pannonia Superiore è difeso da Adriano in poi dai castelli di Castra Regina (Regensburg, cioè Ratisbona), Castra Batava (Passau), Lauriacum (Albling, poi Lorch alla foce dell’Ennes), Aequinoctium (Fischament), Ala Nova (Schwechat), dal campo legionario di Carnuntum dal 16, dai castelli di Gerulata (Karlsberg), Ad Flexum (l’ungherese Altenburg), Arrabona (Raab), Brigetio (Komorn), Aquincum (Ofen).disegno che ci raffigura il limes.
a = vallo; b = fossato; c = palizzata; d = torre di osservazione.

L’Arabia

L’Arabia
Nel 31 ac Roma permette a Erode di Giudea di invadere l’Arabia settentrionale fino a Filadelfia (Amman) e poi di occupare Auranitis (Hauran) e Traconitis (nel 10 a.C.) e sostenere le conquiste fatte contro il re Oboda III (30-9 a.C.). Caligola e Claudio appoggiano invece i re del regno nabateo Areta IV (9 a.C.40 d.C.) e Malco II (40-75). Dal 47 in poi Malco introduce un sistema di datazione basato sugli anni di regno degli imperatori.
Alla morte di Rabio (75-105) nell’autunno del 105, discordie scoppiate per la successione al trono segnano la fine del regno dei Nabatei. Il legato Cornelio Palma lo sottomette con le truppe portate dall’Egitto e ne proclama l’annessione a Roma: l’Arabia è costituita a provincia e sulle nuove monete compare col nome di Arabia Acquisita. La nuova capitale è Bostra, che nel triennio 111-114 viene collegata al golfo di Aqaba con una via Traiana. Fino nel tardo impero questa via, chiamata successivamente « strata diocletiana », è difesa dai soldati romani dislocati in castelli di stanza nel campo di Bostra. Nel II secolo Petra ha un periodo di splendore al quale risalgono i suoi famosi sepolcri. Il centro di diffusione del Cristianesimo nel V secolo è Bostra. Nel Sud dell’Arabia i Romani apparvero soltanto prima della costituzione della provincia, e vi giunsero dall’Egitto. Elio Gallo, appoggiato dai Nabatei che gli inviano l’infido generale Silleo, guida alla volta di Marib una spedizione che riprende la via del ritorno quando si trova ormai in vista di Marib senza aver riportato nessuna vittoria (25 a.C.).
Il fiorire del commercio con l’India seguito alla conquista romana dell’Egitto favorisce lo sviluppo dell’Arabia. Alle cospicue importazioni di ceramica arretina corrisponde un forte afflusso di oro.
Intorno al 70 gli Himyariti (Omeriti) fondano a spese del Kataban il regno di Saba e di Dhu Raydan con capitali Marib e Sabbatha (Sciabvah) in stretti rapporti con l’Etiopia (Abissinia), che forse già nel 100 a.C. è il loro territorio di colonizzazione. Sorge il regno di Axum. Sotto il re Sciammar Yuharisch (forse al potere dal 310) Saba conquista l’Hadramaut e lo Yamatan, ma subisce l’invasione di Etiopi dell’Abissinia orientale, che conquistano lo Yemen e lo tengono sotto il loro giogo forse fino al 360. Intorno al 378 si compie l’unificazione dell’Arabia meridionale sotto Malikkarib Yuhamin, il cui successore Abkarib Asas, che sembra convertito al giudaismo, avanza fino nell’Arabia centrale. Intorno al 447 crolla la diga di Marib che assicurava l’irrigazione.
Dopo il 420 nel paese dei Gassanidi viene una attiva missione cristiana e a Nejran, diventata un centro del Cristianesimo, sorge una grande chiesa. Intorno al 500 abbiamo una reazione degli insediamenti agricoli ebraici sulla strada di Petra. Il martirio dell’etiope Areta a Nejran, ordinato dal proselita ebraico Dhu Nuwas, provoca l’intervento etiopico. L’Arabia meridionale è ricostruita a regno di Axum, ma nel 575 è conquistata dai Sassanidi, e così si spiega l’appoggio dato dai Bizantini alle richieste etiopiche. Il califfo Omar trapianta i cristiani di Nejran nell’Irak. Nel 630 l’Arabia meridionale diventa parte dell’impero islamico, ma la sua prosperità finisce con l’ultimo crollo della grande diga di Marib, supposto nell’anno 543.
Lo sbocco settentrionale dell’Arabia meridionale nel I secolo d.C. è Taima, posta alla diramazione delle vie commerciali verso Ctesifonte, Bostra, Ma’an, in una catena di insediamenti ebraici. Da Ma’an parte una strada per l’Egitto e per Petra.
Nel 363 l’imperatore Giuliano si vale dei Saraceni arabi come truppe ausiliarie contro i Persiani. Al loro fianco appaiono come successori del regno di Palmira da Imru-ulqais I (300-328) in poi i principi di Hira, « re di tutti gli Arabi », come sono definiti in alcune iscrizioni.
Il re Numano (378-418) rafforza una catena di castelli. Il suo successore Mundir I (Alamundaros, 430-473), circuito dai governanti della Persia e dell’Impero d’oriente, riconduce Bahram V sul trono persiano. La dinastia dei Lakhmidi si mostra tollerante nei riguardi dei Cristiani nestoriani, ma fino al tempo di Giustiniano costituisce per l’Impero d’oriente un pericolo, perché attira a sé i nomadi col pretesto di una lega difensiva. Nel 502 Numano II marcia contro Cane. Ma a difesa della « strata diocletiana » l’Impero d’oriente non può valersi che dei singoli sceicchi beduini, i cosiddetti filarchi, al margine delle province più meridionali dell’Arabia (che nel 358 è stata divisa in « Palaestina salutaris e tertia ») e dei Chinditi, che giungono dal 490 in poi dai dintorni della Mecca e sono condotti da Harith, capo della Thalaba dell’Arabia centrale.
I Chinditi s’impadroniscono di Hiras, e fanno di Mundir III (505-553) un docile strumento dei loro disegni, finché questi non viene liberato dal re dei Persiani Cosroe I e si rivolta nel 528 contro l’Impero d’oriente, organizzando una serie di razzie alla maniera beduina. A questo attacco dal deserto l’Impero d’oriente risponde con un secondo attacco e creando re e patrizio il filarco Areta (Harith) della casa sud-arabica dei Gassanidi.
Come già in Germania, (regno di Hira, che dura fino al 604), lentamente vengono civilizzati dal contatto con la cultura provinciale della Siria: tuttavia essi non si tramutano in sedentari. Le loro sedi sono città-accampamenti chiamati hira, (tra esse si ricordi Djabya a sud-ovest di Damasco) e da quelle si svilupperanno, come pure dai castelli di frontiera ancora occupati dai Romani, i centri islamici. I Gassanidi sono monofisiti, e questo è il motivo per cui sotto Giustino II si estranieranno del tutto dall’Impero d’oriente. La loro capitale è Resafa-Sergiupolis e la loro influenza raggiunge il confine dell’Arabia meridionale. Così i Gassanidi tengono a freno ancora per un secolo la spinta espansionistica degli Arabi della Mecca.

L’ARMENIA

L’ARMENIA

Dopo gli interventi romani nell’1, nel 18 e nel 36 d.C., l’Armenia è, dal 66 in poi, governata da una dinastia arsacide, contro la quale non cessano tuttavia di rivoltarsi singole regioni. La rivolta è favorita dalla configurazione del paese, frazionato da innumerevoli rilievi montuosi. La trasformazione in provincia romana, avvenuta sotto Traiano, dopo la separazione dell’Armenia Minor, nel 72, risulta poco stabile. Il giogo dei Sassanidi (238-280) è abbattuto dal re Tiridate, morto forse nel 320. Egli tollera il diffondersi del Cristianesimo nel paese mediante la predicazione di Gregorio l’illuminatore prima del 290; la distruzione dei « Templi del Fuoco » di Zoroastro, di cui ancor oggi si vedono i resti, e la costruzione di chiese sul luogo dove questi sorgevano. Viene fondata una Chiesa nazionale con 12 vescovati: fino al 438 la dignità del primate, detto Katholikos e risiedente ad Asctisctat e più tardi a Valarsciapat, è un privilegio ereditario della famiglia di Gregorio. Sotto Tigrane II si sviluppano violenti contrasti fra Stato e Chiesa, che si concludono con una separazione della Chiesa dalla metropoli madre Neocesarea del Ponto, retta dal 390 al 438 dal Katholikos Sahak. In seguito s’avranno una liturgia e una letteratura armene indipendenti. Il re Pap favorisce il paganesimo e oscilla tra Roma e la Persia; è assassinato nel 374.
Nel 387 l’Armenia è spartita tra la Persia e l’impero d’Oriente, a cui tocca la parte più grande. Intorno al 400 Mesrop inventa la scrittura armena. Si comincia a tradurre in armeno la letteratura greca, e nella seconda metà del V secolo l’Armenia ha una letteratura storica e religiosa propria: ricordiamo l’opera storica di Lazzaro di Farni che tratta il periodo 385-485.
Sotto i Sassanidi si assiste alla ascesa di case principesche locali. Nel 591 si ha una nuova spartizione. Circa 60 anni dopo (653-5) l’Armenia soggiace alla conquista araba.

Gerasa (Gerash)

Una delle porte della città romana di Gerase (Gerash) in Transgiordania.

83-81 - SECONDA GUERRA MITRIDATICA

83-81 - SECONDA GUERRA MITRIDATICA

La seconda Guerra Mitridatica è condotta dal Propretore L. Licinio Murena per costringere Mitridate all’osservanza delle condizioni di pace stipulate a Dardano. Nell’81 si ha il trionfo di Silla che si fa eleggere Console per l’80. Rinuncia alla dittatura nel 79 e si ritira dalla vita politica. Muore presso Pozzuoli nel 78. Il suo funerale è splendidamente apprestato da Pompeo e da 120.000 veterani di Silla diventati coloni.
Nel 78 si ha il tentativo rivoluzionario del Console M. Emilio Lepido, che termina con la sua disfatta a Ponte Milvio nel 77. Sommosse in Etruria e in Alta Italia sono domate da Pompeo al quale è poi conferito, contro Sertorio, l’Imperium Proconsulare.
P. Servilio (detto poi l’Isaurico) conduce la guerra ai pirati lungo la costa meridionale dell’Asia Minore (78-75). Nel 74 si ha l’ordinamento a provincia della Cirenaica, dopo l’acquisto, per successione ereditaria, avvenuto nel
96. Il mandato illimitato (Imperium infinitum) per le operazioni militari conferito a M. Antonio per la lotta contro i pirati di Creta non dà alcun risultato fino al 71. Creta è sottomessa nel 69-67 da Q. Cecilio Metello Cretico, e diventa provincia dal 64.
Nel 74 Nicomede IV re di Bitinia lascia il suo regno in eredità a Roma. Scoppiano insurrezioni in tutta l’Asia Minore.
Nel 74-64 Mitridate, con la vittoria di Calcedonia, avanza fino a Cizico.

104-101 - SECONDA GUERRA SERVILE

104-101 - SECONDA GUERRA SERVILE

Gli schiavi in Sicilia si ribellano a Trifone e Atenione (104-101).
Ritornato a Roma trionfante, Mario ottiene nell’anno 100 la distribuzione di terre ai suoi veterani per mezzo del Tribuno L. Apuleio Saturnino, ma come console si schiera, nelle battaglie politiche cittadine, contro di lui.
Nel 95 viene emanata la Lex Licinia Mucia contro l’usurpazione, da parte di Italici, del diritto di cittadinanza romana.
Nel 91 proposte di riforme sono avanzate dal Tribuno della plebe M. Livio Druso per esaudire i desideri degli alleati che chiedono un indennizzo in seguito alla perdita del godimento dei terreni pubblici distribuiti ai veterani. Si rimettono in vigore le leggi agrarie dei Gracchi; si riduce il prezzo dei cereali; si stabilisce la partecipazione, in parità, del Senato e della classe dei Cavalieri ai Tribunali Giurati.
Il preannuncio dato da M. L. Druso del conferimento della cittadinanza romana agli alleati italici viene respinto a Roma.
Da ciò scaturisce la Guerra Marsica, o Sociale, in Italia (9 1-89). Chi dà maggior prova d’energia contro gli alleati è Cn. Pompeo Strabone, proprietario di terre nel Piceno, il quale, peraltro, riporta soltanto un meschino successo ad Ascoli Piceno di cui riesce ad impadronirsi, da Console, nel novembre 89. A Sud Silla, legato del console Lucio Giulio Cesare, deve riconquistare la Campania e il Sannio meridionale fino a Boiano (90-89).

113-101 - GUERRA CONTRO I CIMBRI E I TEUTONI

113-101 - GUERRA CONTRO I CIMBRI E I TEUTONI

Il 113 segna la disfatta di Cneo Papirio Carbone contro i Cimbri, i Teutoni e gli Ambroni a Noreia in Carinzia. M. Giunio Silano, nel 109, è sconfitto al confine settentrionale della Gallia Narbonense; L. Cassio Longino è sconfitto ad Agen (Media Garonna) nel 107 contro i Tigurini; M. Aurelio Scauro è battuto nel 105 a Vienna (in Gallia) e C. Servilio Cepione, pure nel 105, è vinto ad Arausio (Orange).
Ritorna a Roma il terrore gallico. Quelle stirpi germaniche sono reputate celtiche. Mario, creato console cinque volte dal 104 al 100, attua una riforma dell’esercito suddividendo la legione, che ora è di 5-6000 uomini, in 10 coorti di 6 centurie o 3 manipoli; l’armamento diventa uniforme con i pila; la cavalleria continua ad essere composta soltanto di alleati. Alla leva dei cittadini si sostituisce, a causa della lunga durata delle guerre, un esercito professionale di unità autonome (legioni la cui forza è stabilita dal Comandante in capo: essa sarà poi, con Cesare, di 3600-4200 uomini) costituite con l’arruolamento di cittadini senza patrimonio. Soltanto ora il proletariato è chiamato a prestar servizio militare. Questi soldati, che restano lungamente sotto le armi, dipendono dal loro Comandante, gli sono totalmente devoti, ma aspettano da lui una sistemazione al termine della ferma (che è di 16 anni, come, del resto, nell’esercito cittadino). La sistemazione si attua mediante la distribuzione di terre e con la occupazione di colonie. Viene così soddisfatta l’aspirazione del proletariato ad un’assegnazione di terre, quando ne acquisti il diritto con la volontaria prestazione del servizio militare.
I Cimbri vanno intanto in Spagna e poi nel Belgio (dove lasciano degli Aduatuci).
Il 102 vede la vittoria di Mario sui Teutoni, Ambroni, Arudi, Ingeni, presso Aquae Sextiae (Aix-en-Provence) e sui Cimbri presso Vercelli, a settentrione dell’alto Po. I Tigurini rimangono nell’Elvezia occidentale.

120-70 - MARIO E SILLA

120-70 - MARIO E SILLA

Nel 115 e nel 114-112 viene condotta la guerra contro i Taurisci e i Carni e contro gli Scordisci nelle Alpi Orientali. Nel 113-109 la guerra contro i Traci. Il regno numidico di Micipsa, per intervento di Roma, viene diviso tra Aderbale e Giugurta (116). Con la Guerra Giugurtina (111-105) continua la minaccia all’Impero dalle sue regioni periferiche. Giugurta, nipote di Massinissa, s’impossessa da solo, nel 112, di tutta la Numidia, prende Cirta (112) e si compra la pace da Lucio Calpurnio Bestia; riesce a crearsi un ambiente favorevole, nel 109, è sconfitto da Quinto Cecilio Metello (detto perciò Numidico) sul Muthul e ripara (108) presso Bocco di Mauritania, suo suocero. Un altro esercito romano è fatto passare sotto il giogo nel 107. Caio Mario, figlio di un pubblicano (cavaliere) d’Arpino, eletto console per le sue imprese di guerra, respinge Giugurta, ma la consegna del fuggiasco da Bocco è ottenuta nel 105, dopo una avventurosa cavalcata nel deserto, dall’ottimate antagonista di Mario, il Questore Lucio Cornelio Silla. La Numidia viene spartita. Dopo il trionfo del vincitore, Giugurta è ucciso a Roma nel 104.

La Curia


La Curia. Luogo di riunione del Senato Romano, come fu ricostruita dall'Imperatore Diocleziano.

Pietra tombale

Pietra tombale di Publio Longidieno, costruttore di navi a Ravenna.

Lanx


Il Lanx di Corbridge. Vassoio d'argento per usi rituali. Il vassoio venne ritrovato nel fiume Tyne. In esso vi è raffigurato Apollo con altre divinità. Risale con propabilita al regno dell'imperatore Giuliano, imperatore conosciuto con l'appellativo di apostata. 363 circa.

Rituale


Una Sacerdotessa nell'atto di compiere un sacrificio. Particolare dek dittico, in avorio, dei Simmaci. Tardo IV secolo.

Il declino dell’Impero Romano

Michael Grant
Il declino dell’Impero Romano
Arnoldo Mondadori Editore, 1976, Milano

Questo libro è una nuova interpretazione difatti sconvolgenti alla luce della più recente critica storica, e non una ripetizione dell’opera immortale di Edward Gibbon.
La caduta dell’Impero Romano d’Occidente
— afferma tra l’altro l’Autore — è sempre stata annoverata tra i mutamenti più signiflcativi nella storia dell’umanità. Un secolo prima che ciò avvenisse, Roma era potente e l’impero era difeso da un immenso esercito.
Cento anni bastarono perché potenza ed esercito andassero in sfacelo. L’importanza di quel lontano rivolgimento non si è affievolita con il passare del tempo, anzi ha acquistato nuovi significati sempre più inquietanti e drammatici per il mondo occidentale, di là da ogni possibile previsione del Gibbon che pur visse in tempi forse non meno decisivi per l’Occidente. Michael Grant esplora il passato con una profondità di vedute che illumina i problemi e le prospettive della nostra epoca, riallacciandosi idealmente al suo grande predecessore e dimostrando non in senso retorico, ma con rigore scientifìco che oggi, come non mai, la Storia è maestra di vita nell’accezione più ampia del termine:
per gli individui, per le nazioni e per l’intera comunità umana.
Il volume ha inizio con una introduzione, un panorama storico dell’Impero Romano, dalla sua fondazione alla deposizione di Romolo Augustolo, e si articola successivamente in sei parti suddivise in tredici capitoli, corrispondenti alle tredici cause principali, che, secondo l’Autore, determinarono il declino e il crollo del più grande impero della Storia. Seguono due appendici — che riprendono e approfondiscono alcuni dei temi precedentemente trattati —~ due liste rispettivamente di imperatori e di papi, brevi biografie di scrittori antichi, un apparato bibliografico essenziale e un indice analitico. Corredano il testo splendide illustrazioni che aiutano a meglio comprendere alcuni punti della trattazione, nonché una serie di diagrammi e cartine appositamente disegnate.
Il declino dell’Impero Romano di Michael Grant è insieme libro di studio e di consultazione.
Dal risvolto di copertina

giovedì 23 ottobre 2008

Roma Vetus

Roma Vetus
1. Horti Domitiorum. - 2. Templum Veneris Erycinae. - 3. Domus Pinciana. - 4.
Nymphaeum. - 5. Templum Fortunae. - 6. Horti Sallustiani. - 7. Porticus Milliarensis. - 8, Campus Virninalis sub aggere. - 9. Horti Aciliorum. - 10. Domus Postumiorum. - 11. Thertnae Diocletiani. - 12. Campus Viminalis super aggerem. - 13. Capitounni Vetus. - 14. Horti Luculliani. - 15. Mausoleum Divi Augusti. - 16. Ustrinum
Domus Augustae. - 17. Horti Lolliani. - 18. Horf i Tauriani. - 19. Horti Calyclani. -
20. Horti Epaphroditiani. - 21. Nymphaeum. - 22. Horti Liciniani. - 23. Horti Pallantiani. - 24. Campus Esquilinus. - 25. Macellum Liviae. - 26. Basilica lunii Bassi. - 27.
Forum Suarium. - 28. Templum Solis. - 29. Arti Pacis. - 30. Solarium Angusti. -
31. Porticus Vipsania. - 32. Campus Agrippae. - 33. Circus Varianus. - 34. Horti Spei
Veteris. - 35. Palatium Sessorianum. - 36. Thermae Helenianae. - 37. Horti Torquatiani. - 38. Horti Lamiani Ct Maiani. - 39. Arcus Gallieni. - 40. Porticus Liviae. -
41. Thermae Constantini. - 42. Templum Serapidis. - 43. Columna M. Aurelii.
44. Ustrinum Divi Marci. - 45. Columna Antonini Pii. - 46. Ustrinum Divi Antonini.
47. Templum Dici Hadriani. - 48. Templum Matidiae. - 49. Thermae Neronianae Alexandrinae. . 50. Pantheon. - 51. Saepta lulia. - 52. Serapeum. - 53. Arcus Novus. -
54. Horrea. . 55. Sepuicra antiquissima. - 56. Piscina Domus Aureae. - 57. Thermae
Traianae. - 58. Horti Maecenatis. - 59. Castra Priora Equitum Singularium. - 60. Amphifheatrum Castrense. - 61. Lacus Pastorum. - 62. Ludus Magnus. - 63. Domus Aurea.
64. Thermae Titi. - 65. Praefectura Urbana. - 66. Templum Traiani. - 67. Stadium. -
68. Arcus Gratiani. - 69. Pons Aelius. - 70. Hort i Domitiae. - 71. Mausoleum Hadriani.
72. Pons Neronianus. - 73. Ara Ditis. - 74. Odeon Domitiani. - 75. Thermae Agrippae.
76. Theairum Pompei. - 77. Porticus Pompeiana. - 78. Aedes Bellonae. - 79. Circus
Flaminius. - 80. Porticus Octavia. - 81. Forum. - 82. Colossus. - 83. Amphitheatrum Flavium. - 84. Ludus Matutinus. - 85. Lupanaria. - 86. Praedia Lateranorum.
87. Porta Querquetulana. - 88. Aedes Caesarum. - 89. Templum Magnae Matris. -
90. Templum Apollinis. - 91. Theatrum Marcelli. - 92. Forum Holitorium. - 93. Porticus Philippi. . 94. Theatrum Balbi. - 95. Crypta Balbi. - 96. Pons Agrippae. - 97. Pons
Aurelius. - 98. Insula inter dos pontes. – 99. Pons Fabricius. - 100. Pons Cestius.
101. Templum Aesculapii. - 102. Pons Aemilius. - 103. Forum Boarium. - 104. Circus
Maximus. . 105. Excubitorium Vigilum. - 106. Pons Probi. - 107. Thermae Decianae. -
108. Thermae Antoninianae. - 109. Thermae Commodianae. - 110. Sepulcrum Sciptonum.
111. Thermae Severianae. - 112. Horrea Galbana. - 113. Porticus Aemelia. - 114. Lucus
Furrinae. - 115. Pyramis C. Cestii. - 116. Privata Hadriani.
A. Basilica Ulpia. - B. Forum Traiani. - C. Forum Augusti. - D. Forum Iulii. - E. Forum
Nervae. - F. Comitium. - G. Templum Pacis. - H. Basilica Constantini. - I. Templum
Veneris et Romae. - L. Domus Tiberiana. - M. Domus Augustana. - N, Domus Severiana.

Terme

Terme
C. = cella (per bagno separato). - FR. = frigidarium. - HYP. = hypocausis. - L. = latrina.

1. Ingresso al bagno (Sezione maschile).
2. Probabilmente, piccolo apodyterium. -
3. Piccolo bacino (profondo m. 0,65).
4. Bacino in origine simile al 3, ma in aeguito colmato e adibito ad altro uso.
5-6. Luogo di riunione per i giocatori.-
7. Entrata laterale.
8. Passaggio dalla sezione femminile al porticato dello sphaeristerium.
9. Passaggio dallo sphaeristerium all’apodyterium (Sezione maschile). 10-12. Stanze di aspetto (probabilmente per gli schiavi).
13. Entrata laterale.
14. Ingresso al bagno (Sezione femminile).

L’approvvigionamento idrico



L’approvvigionamento idrico di Roma era dato inizialmente dai pozzi, costruiti fino da età arcaica, dalle cisterne che raccoglievano acqua piovana e da qualche sorgente. Appio Claudio, il censore, alla fine del IV secolo, risolse il problema costruendo il primo acquedotto, cui ne successero numerosi altri che fecero di Roma una città ricchissima di acque. Nonostante le diversità tecniche che i vari acquedotti presentavano, il principio informativo è sempre lo stesso: le acque, prelevate da una sorgente, vengono convogliate in cunicoli sotterranei, dove il terreno è accidentato, in cunicoli sopraelevati su archi dove il terreno è pianeggiante e dove vi è da superare un avvallamento. Alle porte della città si trovava il castello distributore, che provvedeva ai vari quartieri, mentre in ciascun quartiere le condutture di piombo provvedevano a distribuire l’acqua a/le fontane pubbliche e agli edifici privati.
Un elegante monumento architettonico che ancora resiste ai tempi è l’acquedotto di Nimes in Provenza, costruito da Agrippa verso la fine del I secolo a. C. Esso attraversava il fiume con due ordini di arcate, delle quali la prima fungeva anche da ponte e la seconda sosteneva una serie di arcatelle che a loro volta sostenevano il condotto dell’acqua

La Via Appia

La Via Appia

Costruita dal censore Appio Claudio nel 312 pev nel tratto da Roma a Capua, segui l’espansione romana nell’italia meridionale e, dopo che i Romani giusero fino a Benevento, nel 268 pev. la Via Appia fu prolungata fino a Venosa. Non si sa con precisione quando fu compiuto l’ultimo tratto fino a Brindisi. Fu più volte restaurata e, in maniera sostanziale, in età imperiale da Traiano, che celebrò quest’opera con l’arco onorario ancora esistente a Benevento.
La via aveva stazioni per il cambio dei cavalli e per il pernottamento ogni dieci miglia circa. Nella zona delle paludi pontine era fiancheggiata per 19 miglia da un canale, che permetteva di andare per via d’acqua oltre che per terra. In alcuni tratti si resero necessari tagli di picchi rocciosi, ponti e opere di terrazzamento per sostenerla e renderne più agevole il percorso. Lungo quasi tutto il percorso era fiancheggiata da monumenti sepolcrali, più numerosi nelle vicinanze delle città, e specialmente nel tratto appena fuori Roma.

Ciste

Le « ciste» servivano per contenere oggetti per la toeletta femminile; questa è così chiamata perché già appartenente alla collezione Ficoroni. Come si apprende dall’iscrizione incisa alla base del manico che sormonta il coperchio, si tratta di un’opera eseguita a Roma da un certo Novios Plautios: è questa la prima testimonianza sicura di un’opera d’arte eseguita in questa città. Tuttavia il tipo della cista, tipico della città etrusca di Preneste (Palestrina), il nome dell’artista che sembra piuttosto campano, la decorazione figurata eseguita con incisioni a bulino, ma che riproduce una scena mitologica (il viaggio degli Argonauti alla ricerca del vello d’oro) secondo schemi tipici della pittura greca classica.

Castello di Saalburg


Castello di Saalburg
Ricostruzione

Vita Romana (recensione)

Ugo Enrico Paoli,
Vita Romana
Usi, costumi, istituzioni, tradizioni.
Oscar Mondadori, 1990.

Mentre sono generalmente conosciuti gli aspetti “pubblici” di una antica civiltà, le sue vicende militari e politiche, istituzionali e sociali, meno
note, benché estremamente interessanti e curiose, sono le abitudini di vita in un popolo scomparso VITA ROMANA ci presenta il volto concreto della città eterna, dalla sua topografia alle consuetudini quotidiane, dalla casa ai cibi, agli indumenti, dalla presenza della donna e degli schiavi alle attività economiche, ai divertimenti, alle superstizioni, per concludersi con un profilo delle vicende edilizie dell’antica Roma. E’ un quadro vivo della grande metropoli, disegnato da un profondo conoscitore della materia, che conduce il lettore nell’intrico di strade e vicoli di Roma, con la sua folla, le sue case d’affitto, le sue terme, le sue taverne.
dalla quarta di copertina

Chiavenna. Mura, probabilmente di epoca romana, sono state ricoperte

Chiavenna. Mura, probabilmente di epoca romana, sono state ricoperte
Daniele Prati
22/10/2008 - LA PROVINCIA

ChiavennaUn manto nero, uno strato di ghiaia e uno di terra. Chiavenna dice addio, anche se forse non definitivamente, ai resti di mura antiche ritrovate nell'area dell'ex tennis di via Picchi.

Nei giorni scorsi è avvenuto quanto i cittadini che avevano lanciato una raccolta di firme temevano. Le mura, probabilmente di epoca romana, sono state ricoperte. Non si tratta di una soluzione drastica, quantomeno. I resti non sono stati rimossi ma solamente ricoperti, anche per proteggerli dalle intemperie.
Come sempre i primi ad accorgersi delle novità in corso nel cantiere sono stati i visitatori del parco del Paradiso, che sovrasta un'area altrimenti difficilmente visibile a causa delle mura perimetrali abbastanza alte. Le ruspe sono entrate in azione nei giorni scorsi e nel giro di poco hanno completato i lavori. Prima un manto nero probabilmente protettivo e quindi il materiale meno pregiato. Cosa succederà ora rimane un mistero. E' possibile che la copertura dei reperti sia solo temporanea, in attesa che vengano realizzati gli interventi della realizzazione dell'unità abitativa del proprietario dell'area previsti nel piano di intervento approvato dal comune negli anni scorsi. Altrettanto è possibile, però, che la soluzione si definitiva.
Una strada che permetterebbe la conservazione per il futuro delle mura, ma che ne impedirebbe la fruizione per il pubblico nel breve periodo. Proprio quello che vorrebbero, invece, i promotori della petizione avviata la scorsa settimana.
Un'idea lanciata dopo che gli scavi completi nell'area avevano portato alla luce un vero e proprio angolo di città ottimamente conservato. Tutto, ovviamente, è in mano alla Sovrintendenza ai Beni Archeologici di Milano, che in queste settimane è ormai di casa in riva al Mera. All'organismo di tutela spetta decidere cosa fare delle mura chiavennasche.
Una prerogativa sottolineata la scorsa settimana anche dall'amministrazione comunale di Chiavenna, che ha ribadito la massima fiducia nelle decisioni degli esperti. L'unica notizia che appare certa finora è che i reperti rimuovibili ritrovati nell'area, come monete e parti di vasi e anfore, rimarranno in valle e andranno a rimpinguare gli spazi espositivi del Museo della Valchiavenna.
Scongiurato il rischio, insomma, che tutto finisse dimenticato in qualche polveroso magazzino milanese. Si parla, in questo caso, di una quantità di materiale considerevole. Una ventina di casse di reperti che sicuramente andranno a modificare in modo sensibile la proposta culturale del museo.

mercoledì 22 ottobre 2008

Una casa romana affiora nella campagna di Ruda

Una casa romana affiora nella campagna di Ruda
Gessica Mattalone
Messaggero Veneto 21/10/ 2008

RUDA. Bilancio estremamente positivo per la terza campagna di scavo messa in atto dall’amministrazione comunale, assieme al gruppo archeologico Natiso Cum Turro supervisionato dall’archeologo Cristiano Tiussi in località La Fredda. Ieri mattina, alla presenza della Soprintendente reggente per i beni archeologici del Fvg Franca Maselli Scotti e dell’assessore regionale Roberto Molinaro, sono stati presentati i risultati della campagna di scavo appena conclusa. Nelle due precedenti campagne i volontari, guidati da Tiussi scoprirono tracce relative a una conduttura idrica, larga internamente all'incirca 60 centimetri, sicuramente di età romana e significativi piani di ghiaia che fanno supporre ad un’antica strada che correva vicine all’antico acquedotto trasportava l’acqua dalla vicina zona delle risorgive ad Aquileia poco distanti, rifornendo Aquileia. La campagna del 2008 ha confermato quanto si era supposto. «Sono state rinvenute tracce della strada romana che congiungeva Aquileia a Cividale, dalla larghezza di una decina di metri – ha spiegato Tiussi – e sono state trovate prosecuzioni della condotta idrica segnalate da due blocchi di pietra calcarea. Tra i reperti – ha proseguito il ricercatore – sono stati rinvenuti un anello di bronzo con un sigillo raffigurante un cervo con un serpente in bocca, due fibule e dieci monete databili al 4° secolo dopo Cristo». Il ritrovamento delle monete e quello di cornici di pietra con l’incisione “R. I.” fanno pensare all’esistenza di un edificio di una certa importanza nella zona oggetto di scavo. Da qui l’appello del sindaco di Ruda, Palmina Mian, di concerto con la Soprintendente Maselli Scotti, alla Regione affinché metta a disposizione dei fondi necessari all’acquisto del fondo. «Si tratta di un ettaro di terreno agricolo – ha spiegato il sindaco – e il nostro bilancio non ci permette di investire così tanto in cultura. Ci troviamo in questo momento ad un giro di boa». Il proprietario del fondo, che lo aveva messo a disposizione degli archeologi, è deceduto quest’anno e si ipotizza l’alienazione del terreno ad un imprenditore agricolo che vi pianterebbe degli alberi, coltura con compatibile, come quella attuale, con l’attività di scavo. La Soprintendenza è in procinto di vincolare l’area ma l’acquisto da parte dell’amministrazione pubblica metterebbe a disposizione il fondo ai ricercatori, attuando sinergie tra Comune, Soprintendenza, volontariato e Università.

martedì 21 ottobre 2008

Trovati nuovi tesori della Roma repubblicana e imperiale

ILSOLE24ORE.COM
Trovati nuovi tesori della Roma repubblicana e imperiale
Donata Marrazzo

16 ottobre 2008
Roma conserva la memoria del proprio passato e periodicamente restituisce tesori inattesi. Il ministero per i Beni culturali e la Soprintendenza per i beni archeologici hanno presentato quattro eccezionali rinvenimenti, alcuni imprevisti, che arricchiscono la lettura della Roma repubblicana e imperiale: scavi e restauri sul fronte occidentale del Palatino, una necropoli con colombari presso lo stadio Flaminio, un monumento funerario sulla via Flaminia nell'area vicina a via Vitorchiano e ulteriori ricerche topografiche nella zona di Castel di Guido sulla via Aurelia per lo studio di un territorio che corrisponde all'antica Lorium dove nacque Antonino Pio. Per il sottosegretario per i Beni culturali Francesco Giro e il Soprintendente Angelo Bottini si aggiunge una pagina nuova alla storia della città.

La Domus Tiberiana che copre quasi interamente il Colle Palatino, poggiando su un banco di tufo profondamente lesionato, è da anni oggetto di consolidamenti: gli attuali scavi sugli Orti farnesiani e nell'area del criptoportico - la galleria sotterranea dove con molta probabilità fu ucciso l'imperatore Caligola - delineano meglio la planimetria centrale del colle e accertano che fu l'imperatore Claudio a dotare il piano nobile della domus di un portico colonnato, di giardini e di una grande vasca. Gli scavi, da cui sono emersi importanti ritrovamenti scultorei, tagli finanziari permettendo, dovrebbero essere completati. Come quelli del cantiere aperto verso il Velabro che hanno portato alla luce pitture riconducibili al primo stile pompeiano (80 a.C.) e pavimenti in mosaico bianco-nero. Con molta probabilità la domus apparteneva in origine a un ricco patrizio di età repubblicana, ma fu acquistata in seguito e ristrutturata da Augusto.

Lo stadio Flaminio, che a Roma è stadio del rugby, in via di adeguamento e ristrutturazione, ha fatto riemergere dal sottosuolo, proprio dove dovevano essere realizzate rampe di scale esterne, parte di un intero quartiere sepolcrale della via Flaminia, forse «il più significativo esempio di città dei morti», sottolinea l'archeologa Marina Piranomonte, dove venivano deposti liberti di origine greca, come risulta dal ritrovamento di un'urna cineraria e due frammenti di iscrizione.


Intercettato un tracciato antico sempre sulla via Flaminia, vicino via Vitorchiano all'interno di un'area industriale abbandonata. Si tratta di un grandioso monumento funebre: blocchi marmorei, parti di colonne, capitelli, timpani, lastre decorate, iscrizioni, emergono sensazionalmente in gruppi monumentali scomposti ma di facile connessione. L'epigrafe dedicatoria consente di attribuire il mausoleo a Marco Nonio Macrino, esponente di una famosa famiglia bresciana, forse il soldato-gladiatore interpretato da Russel Crowe. Per l'archeologa della Soprintendenza speciale di Roma DanielaRossi si tratta di un ritrovamento eccezionale, come non accadeva da decenni. Il progetto di ricerca prevede la totale demolizione degli edifici presenti, il recupero totale dei resti e la musealizzazione del sito.

Sommerso dalla vegetazione e danneggiato negli anni da ladri e da vandali, l'antico borgo romano di Lorium, sede di residenze e villeggiature imperiali, all'interno dell'azienda agricola comunale di Castel di Guido, stupisce per la quantità e la ricchezza dei ritrovamenti: tre i cantieri aperti dalla Soprintendenza per studi e ricerche sulla Villa delle Colonnacce, divisa in tre livelli, che sta rivelando un particolare apparato murario esterno in opus reticolatum in calcare bianco, con cornici scenografiche a prua di nave. Gli scavi nella Villa di Olivella, condotti in collaborazione con la scuola di specializzazione di Topografia antica dell'Università di Roma e quella di Foggia, hanno portato alla luce nuovi ambienti dell'impianto termale e nuove pavimentazioni con tappeti a tessere bianco-nero. Ritrovate anche tessere colorate in pasta vitrea e lastrine di rivestimento con foglia d'oro.

Recuperato, scavato e parzialmente documentato anche l'insediamento Monte Aurelio, in prossimità del fiume Arrone, antico confine tra il territorio etrusco e Roma: il complesso si sviluppa intorno a una cisterna ipogea con copertura a botte. Considerate le diverse epoche dei reperti, la continuità di vita del complesso insediamentale coprirebbe un lunghissimo arco di tempo, dalla protostoria alla Roma repubblicana.

Per il completamento dei lavori e la chiusura degli scavi si rinvia alla "rimodulazioni" ministeriali che dovrebbero riordinare la qualità della spesa pubblica senza però intaccare settori nevralgici, assicura il sottosegretario del ministro Bondi, come l'archeologia e architettura. «Nei prossimi giorni – conclude Francesco Giro – verrà organizzato un tavolo stabile fra questo ministero e il Comune di Roma per pianificare strategie comuni relative sia al patrimonio archeologico sia alla piattaforma per l'arte contemporanea».

MONTEBELLUNA - Sotto via Mandria il «palasport» degli antichi romani

MONTEBELLUNA - Sotto via Mandria il «palasport» degli antichi romani
Enzo Favero
La Tribuna di Treviso 20/10/2008

MONTEBELLUNA. Archeogeo ha svelato i tesori archeologici della città, persino attrezzi per gli sportivi dell’antica Roma. Zona di collegamento e di transito nell’antichità, continua a riportare alla luce nuovi reperti. Importantissimi quelli scoperti in via Cima Mandria e mentre ancora si sta progettando il parco archeologico in quella zona, già si pensa a una campagna di scavi in via Mercato Vecchio per portare alla luce quelli che potrebbero essere i resti di una villa o delle terme. Non è una novità in assoluto: risalgono a 6-7 anni fa i sondaggi effettuati durante la realizzazione del marciapiede di via Mercato Vecchio che hanno rivelato l’esistenza di importanti resti di epoca romana che potrebbero corrispondere a quelli di una villa o di terme. In attesa di scavare anche in quel sito, l’attenzione si è concentrata sabato mattina, con gli esperti della soprintendenza e col presidente di Fondazione Cassamarca, Dino De Poli, che ha finanziato Archeogeo, sul sito di via Cima Mandria e sull’edificio produttivo venuto alla luce in un lotto edificabile nella zona delle Rive di Posmon e diventato di proprietà del Comune grazie a una permuta con conguaglio con l’ex asilo di Mercato Vecchio. L’ultima ipotesi, dato che sono stati ritrovati focolari appartenenti a epoche diverse, è di ricostruirne anche una parte in modo da dare un’idea concreta di ciò che era in origine. Lì sorgerà un’aula didattica a completamento del futuro parco archeologico. Altra novità emersa dal convegno di Archeogeo riguarda il museo di Montebelluna: diventerà la scuola museale di riferimento regionale e avrà un ruolo di formazione fondamentale per gli operatori del settore. Un ruolo e un riconoscimento frutto dell’importanza raggiunta e del lavoro fatto dal museo civico cittadino, bisognoso di nuovi spazi. I primi dei quali dovrebbero essere i locali dell’ex comando dei vigili urbani di via Piave, giusto di fianco al museo. In municipio parlavano di una manutenzione minima per rendere utilizzabili per il museo alcuni locali al piano terra, in attesa di fare un intervento radicale quando il liceo si trasferirà nella nuova sede di via Vivaldi e anche la palestra della scuola diventerà una dependance del museo. Tempi troppo lunghi però e perciò l’assessore alla cultura, Lucio De Bortoli, spinge per intervenire subito sulle’ex sede della polizia municipale per trasformarla tutto in museo. «Gli spazi del liceo saranno disponibili tra alcuni anni - dice - Nel 2009 è obbligatorio ristrutturare almeno la palazzina che ospitava il comando dei vigili. Anche perchè la palestra del liceo è destinata a sala espositiva dei molti reperti confinati nei depositi».

lunedì 20 ottobre 2008

282-272 LA GUERRA TARANTINA

282-272 LA GUERRA TARANTINA

L’aver ottenuto Turi, Locri e Reggio la protezione romana contro i Lucani e i Bruzi, provoca, violando la sfera d’interessi di Taranto, la guerra con Taranto, che ha per causa occasionale la comparsa di una flotta da guerra romana, diretta sulla costa umbra, nel porto di Taranto, contrariamente agli accordi presi nel 303. I Tarantini l’assalgono, s’impadroniscono di 5 navi, e cacciano la guarnigione romana da Turi. Gli ambasciatori romani, inviati a Taranto a chiedere soddisfazione, vengono ingiuriati.
Alle richieste dei Tarantini aderisce (281) nel quadro della sua politica siciliana Pirro re d’Epiro, erede di Agatocle, il quale sbarca a Taranto con 20.000 mercenari e 20 elefanti da guerra. Egli vince presso Eraclea sul golfo di Taranto (280), conquista alla sua causa tutte le vicine città greche fino a Locri, i Bruzi, i Lucani, i Sanniti, invadendo la Campania e il Lazio fino ad Anagni, ma si arresta davanti ai Latini. Il suo ambasciatore Cinea è, su proposta di Appio Claudio Cieco, espulso dal senato, che egli definirà « un consesso di re ».
Pirro vince ancora ad Ascoli in Apulia (279) pare con enormi perdite (ed a questo si riferisce l’espressione « vittoria di Pirro ») e risponde all’invocazione dei Siracusani, assaliti dai Cartaginesi: allora Roma stringe un patto con Cartagine. Nel biennio 278-276 Pirro conquista quasi tutta la Sicilia e progetta uno sbarco in Africa, ma a questo punto le città siciliane lo abbandonano. Ritiratosi a Taranto, chiama in aiuto i Sanniti, ma viene battuto da M. Curio Dentato nella battaglia di Benevento (275). Un attacco macedone all’Epiro lo costringe ad una precipitosa ritirata, e di li a tre anni a richiamare anche suo figlio Eleno. Nel 272, morto Pirro, Taranto, consegnata dal suo generale Milone ai Romani, è disarmata e spogliata di tutte le fortificazioni. Nel 270 viene occupata Reggio. La guerra finisce con la ritirata delle tribù sannite meridionali, dei Lucani e dei Bruzi e con la fondazione delle colonie di Paestum nel 270, di Benevento nel 268, di Brindisi nel 267 e di Isernia nel 263. La via Appia viene prolungata da Capua fino a Brindisi attraverso i centri di Venosa e Taranto. I Picenti nel 268, e i Salentini nel 266, entrano a far parte del sistema romano. Nel 268 sorge per iniziativa di Roma la Lega romano-italica.
Roma con l’assorbimento della nobiltà provinciale italica in quella romana rinvigorisce la vita cittadina, e l’assunzione dei capi tribù italici tra i cives Romani favorisce la romanizzazione della penisola. Inoltre l’elemento greco che si trovava finora entro l’area d’espansione sannitica offre a Roma la possibilità di un nuovo contatto col mondo greco, dapprima con quello dell’Italia meridionale, poi l’accedere al traffico commerciale ellenistico: ciò è comprovato dal fatto che ad ornare il tempio di Cerere furono chiamati artisti greci e che la costruzione dei templi, anche se dedicati a divinità prettamente romane, ricevette un nuovo impulso.
Solo nel 291 Roma assunse il culto di Asclepio di Epidauro, mutando Asclepio in Esculapio, nel 300 Ogulnio Gallo fissò in una sua opera il simbolo di Romolo e Remo con la lupa, e nel 269 fu introdotto il conio delle monete d’argento dette victoriati, tra cui ricordiamo la cosiddetta serie romano-campana, che in questo periodo reca appunto l’immagine della lupa. Il tempio della Salute è ornato dai dipinti di Fabio Pittore. Nel 295 sorge il tempio di Venere e Jupiter Victor, nel 294 quello di Jupiter Stator e Vittoria, nel
293 di Quirino e Fortuna, e più tardi i templi di alcune divinità locali, cioè di Summanus ossia del fulmine nel 278, di Consus ossia del raccolto nel 272, di Tellus ossia della terra nel 268, di Pales protettrice dei pastori nel 267. La figura di maggior rilievo nella seconda metà del IV secolo, una figura che fa epoca nella storia di Roma, è Appio Claudio, detto Appio Cieco. Durante la sua censura si traccia la prima strada romana, che prende da lui il nome di Appia, e si costruisce il primo acquedotto romano, l’acqua Appia. (Il secondo, l’acqua Curia, sarà costruito solo nel 272). Sue sono le Sententiae, prima traduzione latina di un testo greco, scritte in forma gnomica e nel metro liturgico dei Romani, il Saturnio, e sua è la massima presaga: « Roma non trattare, finché sul suolo italico ci sono truppe
straniere ». Con questo egli postula l’unificazione dell’Italia sotto Roma e delimita l’imperium, ossia la sfera d’influenza romana, come sino allora avevano fatto soltanto Cartagine, nei riguardi di Roma, di Marsiglia e degli Etruschi, e dall’altra parte Taranto.


I CONSOLI ORGANI ESECUTIVI DELLO STATO

I CONSOLI ORGANI ESECUTIVI DELLO STATO

Organo esecutivo dello Stato sono dal 367 in poi (secondo la tradizione dal 509) i due consoli, eletti dai comizi centuriati su proposta del console in carica. Essi hanno uguale potestà (pan potestas), ma l’uno può invalidare i provvedimenti dell’altro mediante il ius intercedendi. Le insegne della loro autorità sono, oltre che il seguito di 12 littoni recanti i ‘fasci, la sella curulis e la toga praetexta. In campo di battaglia hanno poteri illimitati, ma, trascorso l’anno di carica, sono tenuti a render conto dell’operato. Ai loro comandi sono le due legioni originarie, addette al servizio in campo e composte di 84 centuriae iuniorum, in tutto 8400 uomini, a cui solo più tardi si aggiungono altre due legioni (le legiones seniorum) addette alla difesa della città. La cavalleria è costituita dai membri del ceto senatorio: secondo Polibio, la cavalleria romana ha, rispetto a quella greca, lo svantaggio di portare solo uno schermo sui lombi e un corto mantello rosso, detto trabea, e di non avere corazza, come del resto anche la fanteria, che però è riparata da uno scudo oblungo. Tuttavia presso gli antichi l’esito della battaglia è spesso deciso dalla cavalleria. Magistrati ausiliari dei consoli sono i quaestores, dapprima 2, saliti a 4 forse nell’anno 447. In caso di pericolo viene dichiarato lo stato d’assedio. Sull’esempio del duce delle popolazioni latine viene nominato dai consoli un dittatore, che dal 356 in poi può essere anche un plebeo. Egli non è tenuto a render conto dell’operato, è superiore ai consoli, è per la durata di 6 mesi capo supremo dello Stato: durante questi sei mesi lo stato viene considerato, come era in antico, un esercito. Aiutante del dittatore e nominato dal medesimo è il magister equitum (celerum).
Nonostante la limitazione del potere penale mediante il giudizio d’appello ai comizi centuriati, sancito dalla lex Valeria de provocatione, l’alta magistratura romana mantiene, con l’accentrare il potere (imperium) nelle proprie mani, il carattere militare dello Stato, rendendo possibili i suoi successi in guerra. La scienza militare si tramanda dalle gentes maiores ai nuovi membri della nobiltà. La storiografia del 2° e del 1° secolo, rappresentata per noi da Livio, e in greco da Dionigi di Alicarnasso, ci ha dato del 5° e del 4° secolo una visione unilaterale, definendoli « epoca delle lotte di classe ». Essa ha attribuito alla plebe di allora degli ideali politici ed economici, lo sgravio dei debiti, la divisione della terra, la limitazione delle assegnazioni di ager publicus, che nella sana società dei piccoli agricoltori di quest’epoca non avevano ancora nessuna attualità. Nel 342 la lex Genucia proibisce ancora di prestare a interesse. Sempre la storiografia del 2° e del 1° secolo ha mischiato l’ordo equester, il secondo ceto del 2° secolo, con l’alta nobiltà originaria.

IL POPOLO DETENTORE DELLA SOVRANITÀ

IL POPOLO DETENTORE DELLA SOVRANITÀ

Detentore della sovranità non è il senato, ma il populus Romanus Quiritium. Il senato ha soltanto l’auctoritas, che si esplica nel senatus consultum, che è il diritto riconosciuto ai senatori per la loro competenza di consigliare i magistrati nei provvedimenti da prendere e nelle proposte da fare al popolo. Al popolo tocca di decidere della guerra e della pace, e nella procedura d’appello tra la condanna a morte e la condanna a pene corporali. Ma quel che più importa, il popolo può scegliere i magistrati e con ciò determinare la composizione del senato, giacché il senato è composto di ex-magistrati, successivamente anche di membri della bassa magistratura fino ai questori compresi.
In occasione delle elezioni il popolo si riunisce nella sede dell’esercito sul Campo Marzio. Come l’esercito, anche il corpo elettorale è diviso in centurie dette comitia centuriata. Ogni centuria dispone di un voto, di modo che la I classe, costituita da coloro che possono accedere al consolato, coi suoi 98 voti contro 95, ha un vantaggio iniziale sulla massa dei votanti, rendendo spesso superflue le votazioni. Per l’elezione dei suoi tribuni la plebe, secondo le disposizioni della lex Publiha, che si suppone promulgata nel 471, si reca suddivisa per rione (detto tribus) ai comitia tributa. Dapprima ci sono solo 4 rioni cittadini, in seguito anche 17 provinciali detti tribus rusticae, e infine, a partire dal 241, 35 tribù, ognuna con un voto. Il compito dei tribuni della plebe, che all’inizio sono 2, dal 241 in poi pare salgano a 5, infine a 10, è proteggere ogni plebeo dagli arbitri dei magistrati. Tale diritto, detto ius intercedendi ovverosia ius auxilii, non si estende però al campo di battaglia. Più ampio è il diritto di veto, che concede di appellarsi contro le risoluzioni del senato e gli ordini dei magistrati, e d’imporre le risoluzioni del popolo, cioè i plebiscita attraverso assemblee popolari convocate in forza del ius agendi cum plebe. Questo diritto si fonda sulla priorità della plebe, o, come dice la tradizione, su una ulteriore organizzazione della plebe a « stato dentro lo stato ». Il suo rapporto con le risoluzioni della totalità del popolo ossia con le leges rimane in discussione fino al 287, quando la lex Hortensia sancisce la piena uguaglianza dei diritti. Magistrati ausiliari dei tribuni sono gli aediles piebis, eletti anch’essi durante i comizi tributi; essi esercitano la giurisdizione del mercato e, in forza del ius prensionis, cioè del diritto dei tribuni di arrestare i renitenti, anche il potere di polizia. Al loro fianco stanno gli aediles curules, nel cui ufficio dal 338 in poi si alternano regolarmente plebei e patrizi: ai curules spetta di organizzare gli spettacoli in occasione delle feste. La giurisdizione superiore sta nelle mani del praetor urbanus. Dal 241 in poi al suo fianco sta un pretore, qui inter peregrinos ius dicit e al quale durante le campagne militari spetta di sostituire il console; a questo scopo gli vengono assegnati 6 littori. Gli edicfa praetorum, pubblicati anno per anno, ci rendono noti i princìpi legali seguiti.

DE IMMORTALITATE: L’Immortalità

DE IMMORTALITATE: L’Immortalità

L’entrata in Roma dalla via Appia fiancheggiata da tombe monumentali. L’uomo di fronte all’idea della morte: ritualizzazione del congiungimento fra vita e morte, come momento decisivo della vita umana.
Implicazioni nel concetto di morte, e di anima, per i Greci, gli Etruschi e i Romani. Le necropoli come consapevolezza di appartenere alla stessa comunità. Gli Etruschi. Amore per la vita e costante sentimento della morte. Le tombe, le suppellettili e gli affreschi.
I regni sotterranei. Le divinità della morte. Cuma, il lago d’Averno. Valore delle esequie. Combattimenti gladiatori.
Cosmologia dello spazio romano: il «mundus», porta simbolica degli inferi nel foro. Le feste dei morti. Dai «Fasti» di Ovidio: i Lari, i Penati, i Mani, i Lemuri.
I funerali romani nella descrizione di Polibio: le maschere e la processione degli antenati. Il ricordo lasciato ai vivi.
Invocazioni delle anime dei morti per maledizioni e scongiuri. Le anime buone e malvage in Cicerone e Virgilio.
Afflusso in Roma di ricchezze ed estensione del privilegio della tomba di famiglia: Eurisace, Caio Cestio.
Selezione di iscrizioni funerarie lette con voci diverse. Lunga sequenza con suggestione di immagini scultoree e paesistiche, rapide sintesi di vita.
Culti orientali: Cibele, Osiride, Orfeo, Mitra. I grandi mausolei imperiali: L’Augusteo, la Mole Adriana.
Con il Cristianesimo nasce il cimitero, il dormitorio dei morti. Crescente prevalenza dell’inumazione. I sarcofagi. Coincidenza di sepolcro e luogo di culto. Le catacombe di S. Sebastiano, S. Callisto, S. Domitilla. San Pietro come massima espressione del tempio sepolcro. Il Pantheon.

AQUAE: Gli Acquedotti

AQUAE: Gli Acquedotti
In principio era l’acqua. Il dio Tevere avrebbe benignamente preservato la cesta coi gemelli fondatori. Il secondo re, Numa Pompilio, fu ispirato dalla ninfa Egeria, cui era consacrata una fonte.
Fino dai primi secoli della Repubblica, i romani attingevano acqua dal Tevere, dai pozzi, dalle sorgenti. Fra il 312 a. C. e il 226 d.C., a partire dall’Aqua Appia, fu realizzata la grandiosa rete degli undici acquedotti, uno dei segni più visibili della civilizzazione romana nella città e nel territorio.
I percorsi degli acquedotti, erano in parte sotterranei e in parte fuori terra, con ponti e arcate imponenti.
Frontino e la Magistratura delle Acque. A Roma si contavano 1212 fontane pubbliche, 11 Terme maggiori e 926 bagni pubblici.
Le Terme imperiali, aperte a tutti, erano insieme Cattedrali delle acque, Templi e Musei della cultura, Cittadelle del tempo libero. Con un flusso d’acque mai visto nell’antichità gli acquedotti alimentavano le domus e le ville urbane e suburbane. Il taglio degli acquedotti per mano degli Ostrogoti (537 d.C.) sancisce la fine della civiltà romana e l’immersione nel tunnel dei «secoli bui». Ai Romani restava soltanto l’acqua del Tevere e l’Acqua Vergine, unico acquedotto preservato.
Mille anni dopo, con la costruzione dell’acquedotto Felice, l’acqua tornò finalmente sui colli di Roma, rimasti a lungo disabitati. Le grandi Mostre barocche degli acquedotti (Fontane del Mosè e del Gianicolo, di Trevi) emulano gli antichi «Trofei di Mario».

Bronzo Romano

Bronzo Romano
L'iscrizione è:
Optime maxime (Juppiter) con(serva) numerum omnium militantium.

600-510 - Vari elementi di storia Romana

600-510 - Vari elementi di storia Romana

La signoria degli Etruschi durò dal 600 al 510. Alla sua fine, che non coincidette con la fine dell’influenza etrusca, protrattasi invece fino al 475, fu edificato il tempio di Giove sul Campidoglio e adornato con statue di Vulca di Veio. Il giorno e l’anno della sua consacrazione (509) ci sono tramandati nella cronaca del tempio e all’avvenimento è legato il nome di M. Orazio, che è la prima autorità eponima (che dà il nome all’anno) che troviamo. Il suo titolo di praetor maximus è
conservato nella sua traduzione greca. L’istituzione di una magistratura eponima, eletta ogni anno, coincide col decadere della signoria etrusca e l’inizio della repubblica (510). Dapprima legata, secondo il principio primitivo etrusco, con Giunone e Minerva, la nuova divinità titolare del tempio è originaria del culto laziale dei Monti Albani e testimonia del rafforzamento dell’elemento latino-indogermanico in Roma. Il re conserva l’autorità sacerdotale (egli è rex sacrorum, cioè colui che guida i sacrifici), e tutti gli attributi etruschi, tra cui il rapporto con il culto lunare, mentre gli attributi preetruschi-italici si raccolgono nella persona del praetor e ancor più chiaramente in quella del dictator. Reliquie della monarchia sono la dignità senatoria, la gerarchia dei magistrati (soprattutto la sella curulis) e il carro da guerra del trionfatore. Inoltre la più antica nobiltà di Roma deriva dalla cavalleria regia. Questi cosiddetti celeres ottengono in seguito un cavallo chiamato equus publicus, mantenuto a spese dello Stato, e conservano la foggia e i distintivi del grado, cioè l’anello d’oro, le borchie d’argento del cavallo, la trabea o mantello da cavaliere col bordo rosso, la scarpa rossa detta calceus patricius e il bordo rosso (clavus) alla toga e alla tunica: tutti distintivi che passeranno al patriziato romano. Contemporaneamente viene istituito il cognome o nome della gente, cioè nomen gentile.
Cartagine stringe il primo patto della sua storia (509?), riconoscendo come alleati di Roma nel Lazio Ardea, Anzio, Laurento, Circeo e Terracina.
Le date e le cause dei primi sviluppi di Roma sono nella tradizione degli antichi resi irriconoscibili da sovrastrutture dotte posteriori: è caratteristico dei Romani vedere nelle origini di Roma prefigurazioni di avvenimenti posteriori. L’identificazione del fondatore della città con Enea, il suo rapporto con Romolo, o, più anticamente, con Romos o Tarchon o Tarkynios a fianco di Roma dimostra un legame col mito greco, e l’istituzione dei più antichi re di Alba Longa un legame temporale con la fuga di Enea da Troia. Leggendaria è anche la serie dei sette re: Romolo, Numa Pompilio, Tullio Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo. Ma l’alternarsi di Latini e Sabini sul trono e forse anche la doppia denominazione populus Romanus Quiritium e
il culto di due anziché di una divinità della guerra, cioè di Marte e di Quirino, comprovano l’esistenza di due centri. L’avvento della gens Tarquinia (in Vulci troviamo raffigurato un Cneve Tarchnu) determinò la frattura. All’inizio Roma era uno dei membri della Lega religiosa di Alba e Lavinio stretta intorno a Diana Nemorense di Nemi-Ariccia, e non godeva di alcun privilegio. Sui primi secoli della repubblica grava l’oscurità. D’altra parte la leggenda autentica ha il merito di esprimere la ineluttabilità storica di alcuni fatti. Così nello sbarco del troiano Enea c’è chi vi intravede l’immigrazione etrusca dall’Egeo del Nord, nella provenienza di Romolo da Alba Longa la sua appartenenza al popolo dei Latini e il suo seguito di pastori, secondo alcuni, alluderebbe alla priorità della plebe sui gruppi di nobili sopraggiunti. L’origine latina del secondo, del terzo e del sesto re, e di tutta la gens Claudia attesta le saltuarie immigrazioni dai Monti Sabini, mentre il nome di Tarquini viene collegato agli etruschi. Dal rapporto dei Tarquini con Demarato di Corinto si deduce il loro elemento greco, dalla distinzione tra Palatium ed Esquilino si deduce il legame esistente fra l’antico insediamento e il recente ai due lati della valle del Foro. Soltanto il legame di Evandro e Pallantion in Arcadia, legame che dalla poesia pastorale di Virgilio trovò la sua collocazione nel mito della patria Arcadia. Vi sono alcuni riconducono l’etimologia di Palatium al ricordo di una colonizzazione micenea nell’Italia centrale. Antichissime e diffusissime miti si riconoscono nella leggenda dei due gemelli Romolo e Remo, nel loro rapporto con la lupa e col fico (ficus ruminalis) sulla riva del Tevere e nel rito dei corridori-lupi della festa dei Lupercali. La prima tradizione storica si ha invece nella cronologia della successione dei magistrati sul calendario ovverosia sui «fasti », e nella cronaca del sommo sacerdote, il pontifex maximus, che abitava nella cosiddetta « reggia » e annotava anno per anno tutti gli avvenimenti importanti, dalle ricorrenze religiose alle epidemie, su rotoli di tela di lino, chiamati libri lintei, che sono il tipo di narrazione che precede gli annali.

L’ETÀ DEI RE FINO AL 510 pev

L’ETÀ DEI RE FINO AL 510 pev

A causa della sua posizione allo sbocco della valle navigabile del Tevere al margine della campagna di fronte alle lagune e alle saline costiere, fin dal tempo delle immigrazioni etrusche, al confine del Lazio e dell’Etruria, Roma è il punto d’intersezione di tutti gli spostamenti che avvengono nell’Italia centrale. Mancandole quei rilievi montuosi che gli Etruschi e gli Osco-Umbri sceglievano per farne le loro sedi, Roma si trova esposta alla loro influenza. Il pericolo fece la grandezza di Roma come fece quella di Sparta: dalla situazione limite di un piccolo stato costretto a difendersi usci la potenza militare e politica che diede a Roma il primato sull’Italia.
Il centro d’irradiazione della storia romana è la regione del Lazio, un bassopiano collinoso senza precisi confini ai piedi del vulcanico Monte Albano, oggi Monte Cavo. Un gruppo di villaggi posti tra il corso dell’Aniene e quello del Tevere e collegati fra loro costituirono i cosiddetti villaggi prisci latini. Le Leghe religiose di Giove Laziale sul Monte Albano e di Diana del Lucus Ferentinae presso Ariccia abbracciarono una cerchia più vasta di comunità, che nel 6° secolo si evolsero in città, e alle quali si aggiunse Suessa Pometia. Al gomito del Tevere, al di sopra dell’isola Tiberina, sul Palatium, ovvero colle del Palatino, sorse il più antico insediamento di capanne circolari per una estensione di 10 ettari. Nella valle dove più tardi fu costruito il Foro e che allora era paludosa, sono state ritrovate le tombe più antiche, risalenti all’età del ferro, e cioè i « pozzi » degli « Italici crematori » e le fosse degli « Italici inumatori ». Le popolazioni rurali dell’insediamento, presenti già prima del 900, ma in ogni caso contemporanee degli Ausoni di Cuma, sono discese dai Monti Albani. Più tardi approdarono alle foci del Tevere genti dell’Egeo settentrionale, che si possono identificare coi leggendari Eneadi. Dal punto di vista del culto e
del diritto il loro avvento è l’inizio stesso della storia della città: il loro nome, quello del fondatore Romolo, quello dei più antichi gruppi di cittadini, cioè delle tribù dei Ramni, Tizii e Luceri, le insegne e il potere dei magistrati (detti magistratus), il vestito del re e della divinità suprema venerata sul Campidoglio, cioè sulla nuova cittadella, sono di chiara origine etrusca. Agli Etruschi è del resto dovuto anche il prosciugamento della valle del Foro, e sono i rapporti con l’Etruria che fanno di Roma la più antica città-mercato europea, contrapposta alle città-fortezza degli Etruschi e degli Osco-Umbri. L’insediamento detto Septimontium abbraccia ora il Palatium, il Velia, il Germalus, l’Oppius, il Fagutal, il Cispius e il Coelius. Sotto il cosiddetto lapis niger del Foro è stata scoperta una tomba etrusca. Dall’Etruria nel sesto secolo si trasferisce a Roma la gens Tarquinia. La migrazione della gens Claudia dai Monti Sabini in Roma e l’avanzamento dei Greci di Cuma contribuiscono ad abbattere il giogo straniero. La popolazione era divisa allora in 3 tribù, ognuna di 100 cavalieri e di 1000 fanti, e politicamente in 30 curie. Come sempre presso gli indoeuropei, le curie rappresentano il popolo presso il re, mentre il popolo dispone del diritto di veto, che più tardi evolverà nel diritto di eleggere magistrati, formulato nella lex curiata de imperio.
Un computo del tempo, esatto con approssimazione, è possibile per Roma soltanto dalla calata dei Galli, cioè dall’anno 387, mentre una precisa cronologia si ha soltanto dallo sbarco di Pirro, cioè dall’anno 280. Il 753, l’anno della fondazione di Roma, che costituisce il punto di riferimento nel computo ah Urbe condita, si trova per la prima volta in Varrone.

Negozio

Bassorilievo raffigurante con estremo dettaglio e cura dei particolari l'interno di una bottega di salumiere. La matrona seduta, che è una aristocratica, come si comprende dalla pettinatura elaborata, mentre aspetta che il bottegaio la serva, fai suoi conti su una tavoletta di cerca. Appesi ai ganci: una testa di suino, due zamponi, un mezzo prosciutto, una costata, una mannaia e una bilancia.

Matrona Romana

Matrona Romana provvede alla propria toilette, aiutata da quattro ancelle.

A rischio il cantiere delle antiche navi romane

A rischio il cantiere delle antiche navi romane
VENERDÌ, 17 OTTOBRE 2008 IL TIRRENO - Pisa

Ma è in forse anche l’Anno galileiano. E il campanile di San Piero non si farà

Il responsabile dei lavori: potremmo anche chiudere tutto

PISA. Un museo delle navi antiche ridotto in lotti, il teatro Rossi senza soldi, l’anno galileiano in forse, la ricostruzione del campanile della chiesa di San Piero a Grado senza fondi. Ma la cosa più preoccupante sono i tagli al cantiere delle navi romane per 200mila euro. «Siamo a serio rischio di chiusura»: dice Andrea Camilli responsabile del cantiere. Così la scure della finanziaria si abbatte sulle già esangui casse del Comune, messe a dura prova dall’abolizione dell’Ici.

IL MUSEO DELLE NAVI. Dal 2001, se ne parla in ogni occasione, elettorale e no. La vicenda è complessa perché coinvolge ministeri, soprintendenze ed enti locali. Inoltre, questo progetto è inserito in un piano urbanistico suggestivo ma macchinoso. Il museo doveva sorgere in grande stile agli arsenali medicei che sono ancora da restaurare. Ma di fondi neppure a parlarne.

Accanto c’è il complesso di San Vito attualmente occupato dalla guardia di finanza e poco più in là c’è la Cittadella, che avrebbe dovuto subire un forte cambiamento che la sottraesse al degrado. Stessa cosa dicasi per i Vecchi Macelli, a 500 metri dal nascituro museo ed oggi praticamente lasciati a sé stessi.

Tutto questo doveva essere un tassello fondamentale dell’asse museale pisano.

«La situazione economica è sotto gli occhi di tutti - dice il sindaco Marco Filippeschi -, ma nonostante questo noi sul museo delle Navi antiche non recediamo di un passo visto che è in previsione la realizzazzione per lotti».

La strategia ora è chiara. Non si avrà l’inaugurazione di un blocco museale tout court, bensì si procederà per gradi, un lotto alla volta. «La buona notizia - dice Filippeschi - in questa serie di tagli della finanziaria è che la nuova caserma della finanza a Pisa Nova sarà pronta ad prile e quindi noi recuperemo tutto il complesso per fare un museo delle tradizioni marinare pisane».

IL CANTIERE DELLE NAVI. I tagli per il prossimo anno ammontano a 200mila euro ma per essere bipartisan, il governo precedente aveva tagliato 80mila euro dei fondi del gioco del Lotto destinati per legge alla tutela dei beni culturali. E il prossimo anno sarà ancora peggio. «Ho già sospeso i lavori di restauro - dice con amarezza Camilli - e sto mantenendo gli interventi solo sulla nave B». Far venire meno i fondi in corso di restauro è come togliere la spina ad una lavatrice che non ha finito il lavaggio. «Temo - continua Camilli - che con questo nuovo taglio di 200mila euro, il prossimo anno non avrò i soldi per pagare le bollette dell’energia elettrica». Allo stato dei fatti dunque, il problema del museo delle navi appare secondario visto che se si ferma il cantiere, non ci sarebbe materiale sufficiente.

IL TEATRO ROSSI. Sembra ormai ridotto ad un “brutto anatroccolo”. Ogni volta che sta per essere restaurato ed abbellito, ecco che ripiomba nella sua natura di chi lo vuole figlio di un dio minore. «I fondi per il restauro - dice Filippeschi - sono stati totalmente azzerati ed ammontavano a circa 1.850.000 euro».
L’ANNO GALILEIANO. Se piove di quel che tuona, il nostro concittadino Galileo Galilei sarà celebrato in tono minore. «Stiamo ancora aspettando - spiega il primo cittadino - la risposta del ministro Bondi circa i finanziamenti per l’anno galileiano. Non sappiamo ancora di preciso quanti fondi sono destinati alle celebrazioni»
SAN PIERO A GRADO. Era stato avviato un difficile ma ben accorto percorso di avvicinamento della chiesa al patrimonio Unesco. «Era prevista la ricostruzione del campanile della chiesa ma allo stato dell’arte, le promesse non hanno ancora trovato nessun risvolto economico».
Carlo Venturini