mercoledì 6 agosto 2008

“Salvate gli scavi del Gianicolo”. Un cantiere da riaprire. Tra fondi del Giubileo e Opere pubbliche

“Salvate gli scavi del Gianicolo”. Un cantiere da riaprire. Tra fondi del Giubileo e Opere pubbliche
ADRIANO LA REGINA
LA REPUBBLICA - Roma - MARTEDÌ, 29 LUGLIO

La vicenda dell'edificio antico del Gianicolo, che a quanto pare verrebbe ora interrato definitivamente prima della completa esplorazione, continua a presentare aspetti poco chiari tra dichiarazioni contraddittorie da parte dei Beni Culturali e, peggio ancora, silenzi imbarazzati da parte del Provveditorato alle opere pubbliche. È questo infatti l'ufficio che amministra i fondi per il Giubileo destinati allo scavo archeologico reso obbligatorio da un decreto emanato dal Presidente del Consiglio dei Ministri nel 1999 per autorizzare la costruzione di una rampa di collegamento stradale con il parcheggio gianicolense, nell'area della ex villa Barberini, poi giardino del Collegio de Propaganda Fide. L'importanza delle strutture rinvenute non fu allora messa in dubbio, e la rampa in galleria che ne comportava la rimozione fu autorizzata, in considerazione di obblighi contratti dallo Stato italiano con la Santa Sede, solo a condizione che le esplorazioni venissero successivamente completate per la piena conoscenza del monumento e per poterne decidere la sorte. La questione suscitò all'epoca notevole scalpore e divenne anche oggetto di contrasti politici. È naturale che ci si attenda ora, dopo lungaggini e ritardi, che lo scavo venga almeno completato e che si possa finalmente comprendere la natura dell'edificio, rimasta sconosciuta.
Un intervento che faccia capo a due uffici, Provveditorato e Soprintendenza, comporta ovviamente maggiori difficoltà, perché ciascuno tende a privilegiare gli aspetti di propria competenza. Ciò nonostante gli obblighi derivanti dal provvedimento del Consiglio dei Ministri riguardano chiunque sia coinvolto nell'operazione, e non ammettono comportamenti elusivi: il Provveditorato non potrebbe, ad esempio, sostenere che i lavori vengono interrotti perché la Soprintendenza non ne chiede la prosecuzione. Né la Soprintendenza può da una parte sostenere che sono esauriti i fondi e dall'altra riconoscere che nel 2003 si erano ottenuti 2 milioni e mezzo di euro, certamente non del tutto spesi: non si sono peraltro realizzate le opere previste per poter scavare in sicurezza l'intero edificio. Non è d'altra parte chiaro chi abbia deciso di modificare il progetto originario che rendeva possibile il completamento delle indagini.
Resta poi del tutto sibillina la posizione che viene ad assumere in tale contesto il parcheggio privato che dovrebbe essere costruito dalla Società S. Onofrio negli Orti Torlonia, a ridosso dell'area in cui sono stati appena sospesi gli scavi. È infatti del tutto evidente tra che se i resti antichi di nuovo rinvenimento dovessero essere sistemati in situ per la pubblica fruizione (come è peraltro considerato possibile dal decreto del 1999), non sarebbe allora facile costruire il parcheggio senza soffocare il monumento e senza ridurne le possibilità di accesso. Il buon senso vorrebbe infatti che prima si decidesse cosa fare del monumento con piena cognizione di causa, ossia a scavo completato, per poi entrare nel merito delle valutazioni relative al parcheggio privato. La sequenza inversa, ossia l'approvazione del parcheggio nell'attuale stato delle conoscenze equivale alla condanna definitiva, in violazione di una esplicita determinazione governativa, di un monumento per la cui esplorazione vi sono i mezzi e di cui sarebbe ancora possibile assicurare la pubblica fruizione.