domenica 29 giugno 2008

Prezioso rostro d’epoca romana ritrovato nelle acque delle Egadi

CAMPANIA - Prezioso rostro d’epoca romana ritrovato nelle acque delle Egadi
28/06/2008 IL MATTINO

Il rostro di una nave romana è stato riportato alla luce nei fondali di Banco dei Pesci, nelle acque delle Egadi, dalla Soprintendenza del Mare e dalla Rpm Nautical Foudation, dopo tre anni di ricerche. «È il quinto rostro esistente al mondo» dice il soprintendente Sebastiano Tusa. La Regione siciliana adesso è l’unica al mondo a possederne due. La scoperta conferma la tesi di Tusa sullo scontro avvenuto tra la flotta romana e quella cartaginese il 10 marzo 241 a.C. a nord-ovest dell’isola di Levanzo. Il rostro è lo strumento micidiale che veniva inserito sulle fiancate delle navi nemiche per affondarle.

sabato 28 giugno 2008

Aosta: ricostruiti i riti funebri dell'antica Roma

Aosta: ricostruiti i riti funebri dell'antica Roma
Aosta.Dedicata alle anime dei trapassati divinizzate, la mostra 'Agli Dei Mani. Da una necropoli di Augusta Praetoria, aspetti del rituale funerariò, indaga sul significato della morte tra i Romani a partire da alcuni eccezionali ritrovamenti. Allestito ad Aosta, nel sottosuolo del Museo Archeologico Regionale della Valle d'Aosta fino al 15 giugno 2009, il percorso di visita si sviluppa tra le vestigia dell'antica città romana, e prende spunto dal recente rinvenimento di un corredo funerario proveniente dalla necropoli di epoca romana di Saint-Martin-de-Corleans, dove sono state scoperte cinque tombe. Una di queste, ad incinerazione, è probabilmente appartenuta ad una domina, con un corredo funerario di circa una quarantina di pezzi in ottimo stato di conservazione: bottiglie, piatti, ciotole, lucerne, monete e resti metallici relativi ad una cassetta, 'antenatà dei moderni beauty cases.

dal sito:
http://unionesarda.ilsole24ore.com/unione24ore/?contentId=30332

ROMA - 'Salvate la Domus del Gianicolo'

ROMA - 'Salvate la Domus del Gianicolo'
CARLO ALBERTO BUCCI
La Repubblica 26-06-08, pagina 13 sezione ROMA

«Gli ultimi ritrovamenti nella domus del Gianicolo appaiono importanti perché costituiscono l' integrazione di quell' edificio emerso nel 1999 e noto solo in parte». Appena nominato dal Comune tra i 5 saggi che dovranno esprimersi sulla progetto del contestato parcheggio al Pincio, Adriano La Regina era soprintendente negli anni del parking per il Giubileo del 2000 e del braccio di ferro con il sindaco di allora, Francesco Rutelli, per sottopasso di Castel Sant' Angelo. L' archeologo ricorda bene gli interventi e le polemiche di allora. E guarda con attenzione ai ritrovamenti dovuti ai nuovi scavi che, secondo il Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, saranno interrotti a fine luglio. Come valuta i nuovi ritrovamenti al Gianicolo? «Era prevedibile che l' edificio ai piedi del colle sul Tevere proseguisse ben oltre il tratto attraversato dalla cosiddetta rampa Torlonia. Tanto che il decreto del consiglio dei ministri del dicembre 1999 prevedeva che si continuassero le esplorazioni archeologiche. Ma sanciva anche che, in caso di scoperte eccezionali, si tornasse, diciamo così, all' antico». Quel decreto, firmato dall' allora premier D' Alema, fu per lei un boccone amaro da buttare giù. «Certo, ero, e sono ancora, contrario alla realizzazione del parcheggio e della rampa. Eppure quel decreto che, a quanto mi risulta, è ancora valido, era ben congegnato. Nel punto che dice, ma è meglio che io legga: In caso di rinvenimenti di eccezionale rilievo dovranno essere adottate soluzioni idonee a garantire l' unitarietà del complesso, anche mediante ricollocazione in sito dei reperti attualmente collocati all' interno della galleria e ripristino dello stato dei luoghi». Si tratterebbe insomma di apportare modifiche agli accessi al parking del Gianicolo. Togliere la rampa e ricostruire la villa? «Siamo tutti consapevoli che non è questa la soluzione. Ma il decreto ministeriale del dicembre di nove anni fa lascia aperta una seconda porta: prevede infatti che, se vengono alla luce resti di particolare rilievo, dovranno essere adottate soluzioni idonee a garantire la loro conservazione, valorizzazione e fruibilità. è quindi legittimo sapere esattamente cosa è stato rinvenuto negli ultimi due anni per predisporre un piano di tutela e musealizzazione di ciò che resta della domus di Agrippina». Gli scavi e le indagini della Soprintendenza non sono ancora finiti. «Leggo però che il Provveditorato alle opere pubbliche ha predisposto la copertura dei resti rinvenuti. Mi sembra un affrettato seppellimento che sembra presentarsi nelle intenzioni del tutto definitivo». Perché è importante la domus del Gianicolo? «Fa parte di un grande possedimento della famiglia imperiale noto con il nome di horti di Agrippina maggiore. Era appartenuto al padre, Agrippa, il grande generale di Augusto e, prima ancora, almeno in parte ad Antonio. Le proprietà di Agrippa a Trastevere furono ereditate dalla figlia e poi dai due figli di questa, Caligola e Giulia Agrippina minor. Il compendio rimase nelle proprietà imperiale almeno fino ad Adriano, che vi costruì il Mausoleo. La principale sede di rappresentanza era costituita dagli splendidi edifici che costituivano la villa Farnesina alla Lungara da cui provengono gli affreschi di palazzo Massimo. La domus in corso di scavo, costruita a partire dal II secolo, è parte integrante di questo straordinario complesso imperiale».

CAMPANIA - Paternopoli. Importante rinvenimento archeologico nell’area compresa fra Paternopoli e Villamaina.

CAMPANIA - Paternopoli. Importante rinvenimento archeologico nell’area compresa fra Paternopoli e Villamaina.
27/06/2008 IL MATTINO

Paternopoli. Importante rinvenimento archeologico alla confluenza fra il fiume Fredane ed il Calore, nell’area compresa fra Paternopoli e Villamaina. Si tratta di resti di una costruzione d’epoca romana, tornati alla luce durante i lavori di completamento della strada "Fondovalle Fredane". La zona interessata dal ritrovamento è denominata Torano di Paternopoli. «Ci troviamo a meno di due chilometri dall'altare dedicato alla dea mefite - evidenzia il comunicato diffuso dalla locale sezione del Pd - e dalle sue acque termali, usate fin dall'antichità per il benessere del corpo. Il taglio del terreno eseguito dalle macchine escavatrici della ditta incaricata di eseguire i lavori stradali ha portato alla luce uno strato lungo circa 30 metri ed alto circa 3 metri, ricco di reperti che affiorano dal terreno e che possono essere raccolti anche a mani nude. Moltissimi sono i resti di anfore, tegoloni e vasi di terracotta che affiorano nello spazio delimitato dalle fondazioni in muratura dell'antico manufatto. Proprio da contrada Torano, dal luogo del ritrovamento della «dimora romana», prossimamente partirà una passeggiata culturale con lo scrittore-paesologo Franco Arminio. Per la terza domenica di luglio il tour ”taccuini di viaggio” farà tappa a Paternopoli. La mattina si parte con il treno dalla stazione ferroviaria di Paternopoli, in direzione Rocchetta Sant'Antonio, per un viaggio tra sensazioni, emozioni e colori del paesaggio irpino. Durante la passeggiata culturale, lo scrittore-paesologo Franco Arminio leggerà alcuni brani del suo nuovo libro: «Vento forte fra Lacedonia e Bisaccia».


http://www.ilmattino.it/mattino/view.php?data=20080627&ediz=AVELLINO&npag=40&file=SED.xml

TOSCANA - Etruschi e romani visti da vicino

TOSCANA - Etruschi e romani visti da vicino
MARA AMOREVOLI
VENERDÌ, 27 GIUGNO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XVI - Firenze

"In scena sull´abisso" il cartellone di Tiezzi

Apertura extra. Visite guidate. Perfino cene e trekking. Dal 5 luglio in 91 comuni toscani

"Ho voluto una stagione nel segno del contemporaneo. Il teatro deve produrre cultura" In arrivo Branciaroli, Lojodice, Castri, la novità di Chiti e Servillo


IL tema è la «Romanizzazione dell´Etruria» e ripercorrerà ancora una volta le ombre del progressivo declino della civiltà etrusca attraverso l´ingerenza di Roma tra il III e il I sec. a.C. Mostre, visite guidate, laboratori didattici, conferenze, cinema e persino trekking e cene con piatti tipici rivisiteranno Etruschi e Romani, tra le vestigia più importanti delle aree archeologiche toscane. L´ottava edizione delle "Notti dell´archeologia" rassegna realizzata dalla Regione Toscana e Amat (Associazione musei archeologici della Toscana), in collaborazione con 91 Comuni e la Soprintendenza archeologica, diventa un festa con un calendario di 300 eventi e aperture sotto le stelle in tutti i parchi e i siti regionali dal 5 al 27 luglio.
Fra i tanti appuntamenti in programma, spicca la riapertura del Museo archeologico di Castiglioncello (26 luglio, ore 18) chiuso dal 1970, dopo un lento declino che vide traslocare tutti i reperti al museo nazionale di Firenze. Dopo il restauro dell´edificio iniziato dal Comune nel 2001, in accordo con la Soprintendenza, una mostra riaprirà le sale riallestite e pronte tra due anni a riaccogliere definitivamente tutta la raccolta di 4 mila oggetti che costituivano gli arredi di 300 tombe etrusche di età ellenistica rinvenute nelle campagne di scavo condotte a Castiglioncello tra il 1903 e il 1911. da segnalare anche le aperture straordinarie con passeggiate a Cortona del Tumulo Francois, a Castiglion Fiorentino dalla Pieve di Retina a Chio lungo il fiume Vingone, a Fiesole per raccontare usi e costumi etruschi con cena etrusca nell´area archeologica. Mentre a Firenze, nel giardino di Casa Siviero si terrà uno spettacolo (5 luglio: "L´Eneide: etruschi e latini nel poema di Virgilio", ore 21) e un banchetto romano sarà allestito a Montespertoli (18 luglio ore 19.30). Mostre a Vetulonia (4 luglio-3 novembre), al Parco Minerario di Gavorrano dove si terrà una conferenza laboratorio con degustazioni, e a Massa Marittima, con l´iniziativa "Il fornaio etrusco" che coinvolgerà i bambini. E poi trekking al Tumulo di Montefortini a Prato, a Montalcino al sito di Poggio Civitella, conferenze e visite a Chiusi e a Sarteano alla bellissima Tomba delle quadriga infernale. E ancora cene etrusche a Colle Val d´Elsa e a Viareggio al Museo civico archeologico "A. C. Blanc". Info 055-5978308

giovedì 26 giugno 2008

Pompei, alle origini di un mito universale

Corriere della Sera 26.6.08
Simboli oltre la storia
Pompei, alle origini di un mito universale
di Eva Cantarella

Sono oltre due milioni e mezzo, ogni anno, i turisti che visitano Pompei. Ovviamente, le ragioni non mancano. Ma perché non ha la stessa fama la non meno straordinaria Ercolano, che ne ha condiviso il destino di morte? La risposta in un libro interessante e originale Pompei: la costruzione di un mito. Arte, letteratura, aneddotica di un'icona turistica curato da Luciana Jacobelli (Bardi editore).
Distrutta il 24 agosto del 79 d.C., Pompei scomparve sotto una valanga di pomice, ceneri e lapilli eruttati dal Vesuvio. Solo nel 1748 venne riscoperta: e subito scattò il processo di costruzione del suo mito. Artisti famosissimi, re, regine, dame, persino papi si precipitarono a visitarla. Ad alcuni di essi i Borboni regalavano addirittura l'emozione del «ritrovamento in diretta »: dalla terra vulcanica, sotto i loro occhi estasiati, si materializzavano tesori precedentemente preparati da solerti funzionari istruiti dal sovrano di turno. A Pompei, scrisse Stendhal, ci si trova «faccia a faccia con l'antichità». Le circostanze della sua distruzione annullano la distanza storica. Chi entra nelle case e nelle taverne, vede i resti del cibo, legge i graffiti sulle pareti, stabilisce un rapporto con il passato molto diverso da quello di estraneità in genere suscitato dall'antico.
La storia diventa qualcosa di personale, che fa scattare un processo di identificazione, realizzando il sogno del viaggio nel tempo. Non a caso edifici sullo stile delle case e delle ville pompeiane sono stati realizzati in tutto il mondo, dalla Casa dei Dioscuri ad Aschaffenburg in Baviera (1840-48) alla Villa di Diomede realizzata per volere di Girolamo Napoleone a Parigi. Pompei non è solo un sito archeologico, è un un mito, che il libro segue dai suoi albori all'epoca odierna del turismo di massa, in cui la città si conferma inossidabile e inarrivabile icona turistica.

LUCIANA JACOBELLI Pompei: la costruzione di un mito BARDI EDITORE PP. 127, e 20

mercoledì 25 giugno 2008

Roma e la sua storia nel museo "portale"

ROMA - Roma e la sua storia nel museo "portale"
Lidia Lombardi, interv. a Andrea Carandini
Il Tempo 25/06/2008

Nell'altro affaccio, i dettagli di Palazzo Rospigliosi, tra le fronde perlate di verde. Il pomeriggio è molle, rintocca l'orologio del Quirinale. Il professore che alla Sapienza ha tirato su schiere di archeologi, sorseggia il tè e carezza Puko, il giovane labrador bianco. Poi entra senza preamboli in medias res.
«Me lo devono spiegare perché in tutte le capitali sì e a Roma no. Vengo da Berlino, hanno da poco aperto nel cuore della città un museo sulla storia della Germania: dalla conquista romana alla riunificazione, al 1989. E ce n'è uno a Londra, e uno ad Amsterdam. Ma un italiano, un giapponese che volesse vedere in sintesi la storia di Roma, e d'Italia, un museo così da noi non lo trova. Niente, in tutto lo Stivale».
E invece serve, professore?
«Certo che serve, e lo vorrei vedere prima di morire, visto che ho settant'anni. E so rispondere punto per punto a chi obietta».
Chi obietta?
«Sono gelosi, i musei esistenti, di uno nuovo. Immaginano che tolga loro prestigio, pezzi, visitatori. È tutto il contrario».
Perché, come sarà il museo che ha in mente?
«Un museo di contesti. Il contrario, insomma, di quelli di collezione. Che giustappongono quadri, sculture, vasi, monete. Mi spiegate come si fa da questi pezzi in fila a ricavare un racconto? Capire che quel dipinto, quella statua, quel vaso, quella moneta stavano in una città fatta di strade, di palazzi, di acquedotti, di servizi? Se arrivi a New York, capisci subito la metropoli, l'impatto con la Grande Mela è facile grazie a una mappa ragionata che squaderna il perché e il come di una città che ha 400 anni e manca di sottosuolo. Ma Roma? Non è lineare e conta tremila anni. La sua faccia è relegata alla Forma Urbis del Lanciani, splendida raccolta di tavole, ma mai aggiornate dal 1893. Oppure a quel plastico del Gismondi, risalente agli anni Trenta, limitato alla Roma del IV secolo dopo Cristo. È confinato nel museo della Civiltà Romana dell'Eur, cattedrale decentrata e poco visitata. Ma non si pensa a quanta acqua è passata sotto i ponti? Quanto nel frattempo abbiano trovato e saputo di più di Roma?».
Beh sì, basta pensare all'ultimo scorcio aperto al pubblico, lo studio di Augusto al Palatino. Ma insomma, dove dovrebbe stare il museo di Roma?
«Perfetto è l'edificio in via dei Cerchi, quello dove si vanno a ritirare i certificati elettorali. Il Comune pensa di utilizzarlo diversamente, lo stanno già svuotando. Non c'è bisogno di tanti lavori strutturali».
Ed è nel centro di Roma.
«Già, è accanto al Circo Massimo, un'altra assurdità così com'è. Un non luogo che andrebbe scavato, restaurato, trasformato in giardino. Il Palatino, poi, proprio nel versante che guarda il Circo Massimo avrà altri ingressi. Ecco, il museo che non c'è dovrebbe spiegare e documentare, per esempio, la Casa di Augusto al Palatino. Dopodiché, il visitatore esce e se la va a vedere in loco. Capendola però, cosa che ora non accade. Insomma, il museo porta al luogo e il luogo al museo. Lo possiamo anche chiamare un Portale: da qui il turista sceglie il suo itinerario. E comprende che Roma non è solo il Colosseo e il Foro, giganti venuti dal nulla. Sa, e vede, che c'è un prima e un dopo, una Roma monarchica, repubblicana e imperiale. E anche quella medievale, che per i più resta una nebulosa».
Uno strumento anche per i romani.
«Anche per loro. Chi abita nei suburbi, nelle periferie, può scoprire che cosa esisteva nel suo territorio. Qualcuno dirà: toh, dove abito io c'era la Tomba di Livia. E un altro: vicino casa mia, sulla via Trionfale, gli antichi avevano sistemato un fontanile. E potrà viaggiare dentro e sotto la città».
Un viaggio virtuale, da avatar che cammina a ritroso.
«Un viaggio che accosta all'informatica altri strumenti. Un assaggio s'è avuto con la mostra a Palazzo Valentini, sede della Provincia, sul suo sottosuolo. Un successo di pubblico. Un altro è alla Crypta Balbi, che sarebbe meglio chiamare Museo di Campo Marzio. Ecco, quello che si fa per spicchi di città si può fare per l'intero territorio. Ovviamente su basi scientifiche, come abbiamo fatto all'Università con finanziamenti dell'ateneo e di Arcus, realizzando il Gis, il Geographical Informatic System, sistema informatico archeologico».
Un progetto articolato, che ha suscitato qualche critica. Da parte del professor Settis, per esempio.
«Qui perdura un atteggiamento aristocratico. Si obietta che Roma ha così tanto che spiega da sola, e magari bisogna solo rifare le didascalie. È vero, al Foro Romano mancano troppe delle antiche didascalie in marmo. Oppure sono sbagliate, perché nel frattempo sono sopraggiunte altre conoscenze. Ma non basta rifare le etichette, la storia va raccontata, come un fiume che scorre. Dopo Roma antica, ciò che è venuto dopo. Il museo che immagino dovrebbe essere continuamente in fieri: si realizza la prima sala e si illustra come sarà la successiva, e l'altra ancora, seguendo lo scorrere dei secoli».
Operativamente da realizzare come e con chi?
«Con la Sovrintendenza Archeologica e con quella Comunale, che si sono dette d'accordo. Ma la collaborazione può estendersi all'Università, al Ministero per i Beni Culturali. Questo museo non non dev'essere l'idea di Carandini, ma di tutti. E non è né di destra né di sinistra. Ma di chi fa».

Gianicolo, i nuovi tesori. Ancora ritrovamenti archeologici negli scavi per un parcheggio privato

ROMA - Gianicolo, i nuovi tesori. Ancora ritrovamenti archeologici negli scavi per un parcheggio privato
CARLO ALBERTO BUCCI e FRANCESCA GIULIANI
la Repubblica (Roma) 25/06/2008

Altri affreschi dalla domus imperiale del Gianicolo. E ancora un parcheggio sulla strada della storia di Roma antica. La dimora del II secolo d. C. - scoperta nel 1999 sul colle dove si trovavano gli horti di Agrippina e sacrificata per decreto del presidente del Consiglio per fare spazio al parking sotterraneo in vista del Giubileo - era caratterizzata da una lunga serie di ambienti dalle pareti affrescate. Le hanno scoperte gli archeologi che, negli ultimi due anni, hanno continuato a cercare: oltre il taglio imposto dalla benna che ha realizzato la "rampa Torlonia" e seguendo la linea dei muri che sono stati tagliati, rimossi e oggi conservati nei musei della Capitale. I lavori di ricerca non sono finiti. Ma la qualità delle pitture parietali è del tutto in linea con le figure di uccelli o con le teste di Medusa esposte nella mostra I colori del fasto allestita del 2006 a palazzo Altemps.
Gli scavi, eseguiti dalla Soprintendenza archeologica di Roma e costati circa due milioni e mezzo di euro, saranno interrotti tra una settimana. Dopodiché alla fine di luglio le pareti saranno protette con "tessuto non tessuto" e i resti coperti da pozzolana. I lavori di indagine, organizzati dal Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio, non sono finiti. Il materiale ritrovato è stato messo in sicurezza. Ma ora c´è bisogno di un momento di riflessione. Anche perché sul Gianicolo incombe il problema del parcheggio privato che andrà ad aggiungersi a quello inaugurato nel 2000. L´area dello scavo archeologico, iniziato nel 2006, non coincide con quella del progetto per il parcheggio che dovrà, comunque, tenere conto dei nuovi ritrovamenti.
Il 13 dicembre del 1999 fu un decreto del Consiglio dei ministri, firmato da Massimo D´Alema, a imporre la «rimozione dei reperti archeologici» trovati «all´interno della galleria d´accesso ... anche nota come "rampa Torlonia"». Un ordine dall´alto, visto il «dissenso manifestato dalla Soprintendenza archeologica competente». Accettato il sacrificio della domus per far entrare le auto e i torpedoni dei pellegrini, il Consiglio dei ministri disponeva però: «dev´essere consentita la continuazione dell´attività di esplorazione archeologica all´esterno della galleria» e, «in caso di rinvenimenti di eccezionale rilievo, dovranno essere adottate le soluzioni idonee a garantire l´unitarietà del complesso, anche mediante la ricollocazione in sito».

domenica 22 giugno 2008

FANO - Si inaugura l’anfiteatro romano

FANO - Si inaugura l’anfiteatro romano
Edizione del 21 giugno 2008, CORRIERE ADRIATICO

Cerimonia alle 21

Uno dei più importanti siti archeologici della città di Fano sarà finalmente aperto al pubblico. Questa sera alle 21 si svolgerà la cerimonia di apertura dell’anfiteatro romano situato nel centro della città. La serata prevede un incontro nell'ex Convento di Santa Teresa. Interverrà Gabriele Baldelli, direttore archeologo della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, che con l’ausilio di un filmato ricostruirà la storia del ritrovamento e del recupero culturale.

Cantiere Pincio, l´ora dei saggi

ROMA - Cantiere Pincio, l´ora dei saggi da Muratore a La Regina
21 giugno 2008, LA REPUBBLICA - Roma

Scelti i 5 tecnici che decideranno il futuro del maxi parking da 700 posti

Esperti con pareri discordi Alemanno: "Tutte professionalità di altissimo livello"

Parcheggio del Pincio, conto alla rovescia. Il sindaco Alemanno, su proposta degli assessori alla Cultura, Umberto Croppi, e alla Mobilità, Sergio Marchi, ha nominato i cinque membri della Commissione di saggi che avrà il compito di valutare il se o il come della prosecuzione dei lavori. Il progetto del parcheggio, osteggiato dal centrodestra per tutta la campagna elettorale, aveva già subito a metà giugno una pesante battuta d´arresto con Alemanno che annunciò che comunque il piano di realizzazione sarebbe stato ridimensionato, troppi 700 posti auto, e che il verdetto finale sarebbe stato affidato a una commissione di tecnici super partes. Ieri il Campidoglio ha reso noto i loro nomi. Sono il presidente dell´ordine degli Architetti di Roma e provincia, Amedeo Schiattarella, il presidente dell´ordine degli Ingegneri della provincia di Roma, Duilio Rossi, il presidente del Parco dell´Appia Antica, Adriano La Regina, Giorgio Muratore, docente di storia dell´Arte e dell´Architettura contemporanea, e Marina Mattei, funzionario dei Musei Capitolini.
«Abbiamo scelto personalità di altissimo profilo» ha detto Alemanno, «saranno loro ad ascoltare tutte le osservazioni al progetto del parcheggio del Pincio, anche in relazione ai nuovi ritrovamenti archeologici. Il loro parere sarà fondamentale per capire se questa è un´opera sostenibile in una zona così delicata del centro storico».
Alcuni membri della commissione, in passato avevano già espresso il loro parere. Giorgio Muratore, ad esempio, nel suo blog ha sempre usato termini a prova di fraintendimento: «quel progetto fa schifo», e anche «il Pincio sarà trasformato in una groviera di cemento e lo storico piazzale intitolato a Napoleone si trasformerà nel paradiso delle griglie Keller».
Viceversa, assai più possibilista era stato finora Adriano La Regina, l´ex severissimo soprintendente archeologico di Roma: «Per salvare il Centro storico dall´invasione delle auto e dotare il Centro di parcheggi, ricorrere alle alture è l´unica soluzione. La profanazione sarebbe costruire parcheggi alle spalle di Montecitorio, in una zona ad altissima e dimostrata densità archeologica. Cosa che peraltro si continua ad ipotizzare, con la scusa di voler trovare posto alle auto dei parlamentari» aveva dichiarato tra l´altro La Regina in un´intervista al nostro giornale. E ancora: «A Roma vi sono tante difficoltà per realizzare dei parcheggi, ma anche opportunità per costruirne e quindi assolvere ad una necessità imprescindibile per una città moderna. Quella del Pincio è una di queste». Viceversa, ieri Amedeo Schiattarella ha dichiarato di «conoscere solo parzialmente la vicenda e non poter esprimere al momento alcuna valutazione».
(s.cas.)

giovedì 19 giugno 2008

Importante scoperta archeologica a Sorrento

CAMPANIA - Importante scoperta archeologica a Sorrento
Mercoledì 18 Giugno 2008 LEGGO

Importante scoperta archeologica a Sorrento: durante i lavori di riqualificazione di piazza Veniero sono venuti alla luce alcuni ambienti che appartenevano ad un edificio (il cui impianto risale al I sec. d.C.) e che mostrano perfettamente conservati i pavimenti in signino abbelliti da piccole piastrelle di marmo a forma di rombi e pareti affrescate. Così, per la prima volta, è possibile osservare un’intera parete decorata con pitture simili a quelle delle abitazioni di Pompei ed Ercolano. Per la parte di edificio venuta alla luce, si può ipotizzare la presenza di un corridoio porticato che si apre su un salone o soggiorno.

SANNIO : teatro romano, che abbandono!!

SANNIO : teatro romano, che abbandono!!
IL SANNIO 18 GIUGNO 2008

L’unica cosa che sembra rimasta pulita e ben tenuta al Teatro Romano sono i biglietti del ministero per i Beni Culturali staccati all’ingresso: Per il resto, tutto versa in uno stato di totale abbandono che può essere solo definito pietoso e vergognoso...

L’unica cosa che sembra rimasta pulita e ben tenuta al Teatro Romano sono i biglietti del ministero per i Beni Culturali staccati all’ingresso: Per il resto, tutto versa in uno stato di totale abbandono che può essere solo definito pietoso e vergognoso. Non servono tanti aggettivi per descrivere quello che le foto in questa pagina già testimoniano in maniera chiara ed inequivocabile. Il tour parte dal cancello d’ingresso, semiaperto; al di là, il degrado salta subito agli occhi, a cominciare dalla grande targa “Soprindentenze alle Antichità e Monumenti” che è completamente coperta dai rovi. Pochi passi e si arriva dinanzi ad una transenna con un ‘cartello’ che indica la biglietteria. La struttura che ospita gli uffici dei venti e più custodi è ormai a pezzi: due finestre hanno le tapparelle divelte, una delle quali, quella che più o meno funziona, è bloccata dalla ruggine ed è assicurata da un’asse di legno che la tiene aperta parzialmente.
Ecco l’impiegato che stacca un biglietto nuovo di zecca e, poi, incuriosito, inizia a fare domande. Capisce che di fronte non ha l’ennesimo turista, magari amareggiato ed incredulo perchè ha già avuto modo di osservare lo ‘spettacolo’, ma un cronista. A quel punto si ‘spoglia’ della veste lavorativa e si ‘trasforma’ in un fiume in piena. “Noi – si sfoga - siamo costretti a lavorare in questo stato non degno di un monumento importante come il Teatro Romano. Da mesi nessuno viene a pulire, e quello che vede (con una mano punta in direzione della vegetazione che la fa da padrona della zona) è il risultato”. Il custode spiega che solo una volta all’anno, in occasione della rassegna Città Spettacolo, “viene fatta un po’ di manutenzione, per il resto...”. Camminando lungo il viale, l’unica cosa che colpisce sono le parti delle colonne romane fissate a terra da ‘corde’ di spine ed erbacce che le incatenano. Sul selciato sono stati gettati due mosaici, al al pari di altre sculture. Più avanti la scena non cambia: per salire in cima ai gradini del teatro, bisogna schivare lucertole, api ed arbusti. Quello è un punto di osservazione privilegiato, permette di osservare dall’alto l’incuria ed il degrado, fatto di rampicanti che ‘abbracciano’ tutto e fanno da sfondo alla meravigliosa struttura voluta dall’imperatore Adriano e completata da Caracalla, che tra il 200 ed il 210 d.C. ne ordinò l’ampliamento. Oggi, invece, basterebbe ‘ordinare’ semplicemente una sporadica pulizia per evitare di far diventare quel luogo così bello e misterioso un pezzo di storia di cui essere giustamente orgogliosi. Evitando così che i turisti, uscendo dal Teatro, abbiano l’espressione che quel custode conosce a menadito. Fatta di dubbi e di una semplice domanda: “Possibile che nessuno se ne occupi?”.
http://www.ilsannioquotidiano.it/article.php?sid=36688&mode=thread&order=0

Caburrum, l'epoca romana rivive nel museo

Caburrum, l'epoca romana rivive nel museo
Eco del Chisone, 18 GIUGNO 2008

Cavour: sabato 21, all'abbazia di S. Maria, inaugurazione della ricca collezione di oggetti risalenti al I secolo d.C.

Nel 1962 i primi restauri e la scoperta della cripta e dell'altare

Conclusi i lavori di restauro, durati quasi mezzo secolo, il complesso monastico dell'abbazia di S. Maria si arricchisce ora di un'altra preziosa unità: sabato 21 (alle 15,30) sarà infatti inaugurato (all'interno del chiostro) il Museo archeologico di Caburrum con la prima sezione dedicata al lapidario romano, il terzo per importanza in Piemonte.

È un'opera che il paese attendeva da anni, soprattutto per veder "ritornare" a Cavour tutti i reperti archeologici dell'antica Forum Vibii, frutto di ricerche e ritrovamenti, spesso casuali, avvenuti durante gli scavi nell'area abbaziale già ai tempi dei primi restauri, negli Anni '60, e poi spostati a Torino (dal 2000) per il loro recupero. «Ora tutto è compiuto», ci spiega l'ex-sindaco Fenoglio, pochi giorni dopo la conclusione anticipata del suo quarto mandato, ma soddisfatto per aver raggiunto il suo obiettivo: lasciare questa ricca eredità ai cavouresi, «grazie all'intervento delle Amministrazioni, delle Soprintendenze ai beni architettonici, archeologici e culturali, della Regione Piemonte e all'impegno della Compagnia di S. Paolo». Memoria storica dell'abbazia e di questo museo, Fenoglio ci mostra gli atti pubblici del 1962, un primo "mattone" da lui posto per questo museo: «Ero da poco stato nominato sindaco. Tra i tanti problemi che allora attanagliavano Cavour c'era lo stato deplorevole in cui versava l'antico complesso abbaziale e la chiesa, ormai al limite del crollo. Visto che molti enti e numerosi privati insistevano per un interessamento del Comune al recupero, mi misi al lavoro».

La prima perizia della Soprintendenza, redatta nel 1959, indicava la somma di cinque milioni di lire necessarie per i lavori di consolidamento e restauro del tetto. Fenoglio: «Il Comune stanziò un milione e mezzo del vecchio conio. Occorreva trovare il resto. E poi era necessario acquistare il chiostro, appartenente a privati». Gli appelli del ragioniere non caddero nel vuoto e, nel 1964, arrivarono sei milioni da enti vari (tra cui anche dall'allora Banca di Cavour) e 14 milioni furono stanziati dallo Stato. Fenoglio: «Potemmo così avviare i primi lavori per scongiurare il pericolo del crollo di questa chiesa, fondata nel 1037 da Landolfo, vescovo di Torino, frutto di modifiche, distruzioni e ricostruzioni sulla cripta altoromanica più importante del Piemonte, opera straordinaria a tre navate con una grande abside e con l'altare romano più antico del Piemonte». Va da sé che la prima parte del museo si aprì proprio con il recupero di questo altare e di tutto l'arredo che gli stava rinvenendo attorno: pavimenti, mura e colonne. Tutti i reperti, emersi successivamente con gli scavi, per anni furono custoditi nei locali della chiesa; poi, nel 2000, la Sovrintendenza incaricò la Docilia di Torino, ditta specializzata nel restauro, di ricomporre tutti i pezzi che sabato torneranno a "casa" (ordinati e catalogati) e dimoreranno in decine di teche allestite nei locali dell'antichissimo tinaggio.

L'arch. Gabriella Margaira della Sovrintendenza: «Sono tutti elementi che risalgono al I sec. dopo Cristo. Tra i pezzi più importanti il museo ospiterà anche il calco di Drusilla, moglie e sorella di Caligola, una donazione dell'epoca forse, mentre qui a Cavour si cercava di realizzare le terme». Troveranno suggestiva esposizione anche i resti di un "oppidum" romano, oggi visibile attraverso una teca di vetro sul pavimento del tinaggio. Margaira: «Questa sala (al piano terra) a ragione sarà dedicata al municipio romano "Forum Vibii Caburrum", che qui sorgeva, fondazione legata alla presenza nell'area di un luogotenente di Giulio Cesare, governatore della Gallia Cisalpina, tra il 45 e il 44 a.C.». Da ammirare saranno anche la stele in pietra con la lupa e i gemelli e la stele di "Quinto Magnus".

Spiega ancora l'arch. Margaira che ha curato la realizzazione del museo, suddiviso in tre parti: «Sussidi didattici accompagneranno il visitatore nella ricostruzione delle vicende storiche e nella presentazione delle testimonianze materiali ritrovate e che documentano i periodi più antichi di questo territorio, in previsione di ampliare il percorso anche nel giardino e fin sulla Rocca, per scoprire elementi di arte rupestre direttamente nell'ambiente». Nelle teche di vetro, per ora, troveranno spazio i diversi epitaffi, i corredi tombali, piccoli oggetti della quotidianità del municipio romano della Forum Vibii, comprese le anfore rinvenute durante una serie di lavori, a poche centinaia di metri dall'abbazia, e il lapidario, comprendente iscrizioni a carattere pubblico e privato dall'età romana all'alto Medioevo.

martedì 17 giugno 2008

Anzio - II porto di Nerone rischia la vita

Anzio - II porto di Nerone rischia la vita
Cosimo Bove
Il Tempo, 17 giugno 2008

II porto neroniano rischia di scomparire tra i flutti ed il degrado. L'allarme, lanciato a più riprese dall’amministrazione comunale di Anzio e dalla Sovrintendenza ai Beni archeologici, è stato ripreso in questi giorni da Fabio Desideri, coordinatore regionale della Rosa per l'Italia e consigliere della Pisana.
«È un mistero il mancato recupero del porto neroniano di Anzio. Giunto fino a noi navigando nel tempo
per duemila anni ora rischia di essere cancellato dai flutti e dall'incuria. Interrogato sulla vicenda, l'assessore all'Ambiente. Zaratti ha risposto con notevole ritardo rispetto al regolamento consiliare, senza entrare nel merito della questione e tentando di scaricare le responsabilità sulla soprintendenza». Una nota polemica, quella del coordinatore regionale della Rosa per l'Italia, che prosegue domandandosi il perché di un simile atteggiamento.
«Grazie alla disattenzione dei romani moderni appartenenti alla galassia ambientalista i; resti dì uno dei più importanti e famosi porti dei romani antichi, quello della città di Antium, rimangono esposti all'azione distruttrice dei marosi e degli agenti atmosferici. Nel 2004 -ha spiegato Desideri - la Regione stanziò un milione di euro per un progetto di tutela del litorale e del bacino dell'antico approdo neroniano. Poi, con il nuovo esecutivo di centrosinistra, tutto s'è bloccato».
Immediata è arrivata la risposta dell'assessore Filiberto Zaratti. «II progetto di difesa di cui si parla non riguardava l'antico porto - spiega - bensì avrebbe difeso un tratto di costa rocciosa per poi provvedere a un rinascimento di sabbia. Peraltro le dighe in muratura sarebbero in parte state costruite proprio sui ruderi sommersi e ciò richiedeva un più ampio progetto autorizzativo da parte degli enti competenti in materia archeologica, che non è mai stato presentato. Sono convinto che sia necessario difendere gli antichi resti, ed auspico che il Ministero e la Soprintendenza Archeologica elaborino un progetto scientifico di tutela dei resti dell'antico porto, sulla base del quale saremo pronti ad offrire il nostro contributo».

In età imperiale, la pratica della medicina è promossa a scienza vera e propria: nasce una figura professionale riconosciuta

La Repubblica 17.6.08
Il termine "medico" deriverebbe dal verbo latino "medeor" che significa "rimediare". In età imperiale, la pratica della medicina è promossa a scienza vera e propria: nasce una figura professionale riconosciuta
La lunga storia delle critiche a una professione necessaria
Amati e odiati già nell´antica Roma
di Giorgio Cosmacini

Medicus, la parola e la storia: il configurarsi della parola nello svolgersi della storia, non è univoco. Medico dal latino medeor, mederi, «rimediare», ma in senso più stretto «medicare»: è una prima ipotesi, forse la più attendibile. Fin dall´antichità romana il termine si è, per così dire, specializzato, assumendo un significato terapeutico vero e proprio: «risanare, curare, aver cura».
Medico come «curante». Nella Roma repubblicana, Plauto (254 - 184 a.C.), nella commedia intitolata La corda grossa (Rudens) fa dialogare così due dei suoi personaggi: «Sei medico?». «No, non sono medico, ho una lettera in più».
«Sei dunque mendìco?». Tra mendicus e medico c´era il divario di una lettera, ma nella vita sociale del tempo non c´era una grande differenza tra i due. Il medico era un uomo che aveva come sola risorsa quella di aver cura di altri uomini, ricevendone in cambio un obolo di riconoscenza. Senza lucrare, forniva egli stesso il medicamentum. Chiunque avesse avuto bisogno del suo aiuto, poteva trovarlo, a ogni ora del giorno e della notte, nella taberna medica, una bottega a metà strada tra l´ambulatorio e il dispensario.
Però Platone, con la sapienza espressa nelle Leggi, aveva riconosciuto che nella Grecia post-ippocratica c´erano già «due specie di quelli che si chiamano medici»: i medici degli schiavi e i medici degli uomini liberi. I primi «fanno come un tiranno superbo e tosto si scostano» dallo schiavo malato. I secondi «danno informazioni allo stesso ammalato» e «non prescrivono nulla prima di aver persuaso per qualche via il paziente, preparandolo docile all´opera loro».
Torniamo alla parola, che – come si vede – è un guscio lessicale dai vari significati. Nella Roma cesarea, Marco Terenzio Varrone (116-27 a.C.) nell´opera De lingua latina dedicata a Cicerone convalida l´ipotesi che fa derivare medicus da medeor. Però nella Roma imperiale, quando Aulo Cornelio Celso (I secolo d.C.) scrive il trattato De medicina, il termine "medico" ricorre nello scritto con relativa minor frequenza di altri vocaboli che pur riconoscono la medesima radice linguistica. In compenso chi esercita la cura è passato di grado: ora è colui che possiede la scientia medendi.
La pratica è stata promossa a scienza, il mestiere a professione. Nella bassa latinità, o nell´alto Medioevo, Isidoro di Siviglia (560-636), nella parte propriamente medica dell´opera enciclopedica intitolata Etymologiae od Origines e comprendente tutto quanto lo scibile, fa risalire l´etimologia di medicina a modus, cioè alla "giusta misura" che deve guidare chi la professa. «Per questo» scrive Isidoro, «la medicina è chiamata seconda filosofia, poiché entrambe le discipline sono complementari all´uomo». In tal senso si può ribadire ciò che aveva già detto Claudio Galeno (130-200 d.C.), medico dell´imperatore Marco Aurelio e dei suoi figli: «Il migliore dei medici sia anche filosofo».
Dopo Isidoro, è il medico ebreo Mosè Maimonide (1135-1204) a far risalire il termine medicina a medietas, o "arte del giusto mezzo", lontana da difetti ed eccessi, da penuria od opulenza, ed esercitata da chi cura non solo con "giustezza", cioè con misura, ma anche con "giustizia", cioè con equità. Siamo nel basso Medioevo, quando a Salerno nasce e fiorisce la prima Scuola di medicina, i cui docenti sono chiamati magistri, "maestri salernitani". L´arte medica, professata al suo maggior livello, è un´"arte magistrale".
Peraltro, nello stesso periodo storico, i licenziati dalle neonate Università – a Bologna come a Padova, a Parigi come a Montpellier – sono detti physici piuttosto che medici, sia perché la "fisica" era la scienza della natura (ivi compresa la natura umana), sia perché era opportuna una distinzione – di ruolo, di classe, di censo – dai chirurghi, lavoratori manuali bassolocati e meno retribuiti. La distinzione era recepita dai primi regolamenti ospedalieri, in età rinascimentale. Nel 1508 il primo documento a stampa sull´ordinamento di un grande ospedale – il milanese Ospedale Maggiore – fissava la dotazione di personale medico in «quattro physici, uno per braccio de la crocera, et altri tanti chirurghi similmente distribuiti».
Facoltà e collegi, corporazioni e consuetudini fissavano i cardini di una tradizione durevole, che peraltro ammetteva il formarsi, in antitesi, di una controtradizione iatrocritica o addirittura iatrofobica. Non aveva scritto Pindaro, in una delle sue Odi pitiche, che lo stesso semidio della medicina, Asclepio (l´Esculapio dei latini), «era stato messo in catene dal guadagno»? E l´usignolo di Valchiusa, Francesco Petrarca, nelle sue Invectivae contra medicum, non aveva definito «colore di medico» il giallore riflesso sul volto di chi scrutava l´urina nel bicchiere e nel contempo pensava in cuor suo al denaro da lucrare? «Il tuo pallore è dovuto alla tua cupidità», aveva scritto Petrarca: «Tu ragguardi l´urina e il tuo pensiero è nell´oro».
Il filone storiografico di critica della medicina ha anch´esso una tradizione di lunga durata, che va da Catone il Censore a Ivan Illich (Nemesi medica, 1977) passando attraverso molti altri esponenti tra cui Bernardino Ramazzini (1633-1714), assai più noto, giustamente, come autore del magistrale trattato Sulle malattie dei lavoratori (contemplante anche il primo caso noto d´inquinamento industriale dell´aere padano) che per aver descritto, degli appartenenti alla propria categoria professorale, «il buon umore, quando tornano a casa ben carichi di denaro». «Io ho osservato - scrive Ramazzini - che i medici non stanno mai tanto male quando nessuno sta male».
Qualunquismo denigratore o coscienza autocritica? Il medico ippocratico delle origini – in Grecia era detto iatròs – è nato con una propria tèchne peculiare, comprendente il buon metodo (il metodo clinico) e la giusta morale (l´etica del "giuramento d´Ippocrate"). Se il metodo è buono e l´etica non è un´etichetta, adesa in modo posticcio alla professione per tacitarne la cattiva coscienza, il medicus, il "curante" d´ogni tempo e d´ogni luogo, non ha da temere critiche di sorta. Da curante competente e disponibile, egli resta il punto di forza e di resistenza che regge tutto quanto il sistema.

domenica 15 giugno 2008

QUEI MUSEI DELLE CITTÀ CHE IN ITALIA MANCANO

QUEI MUSEI DELLE CITTÀ CHE IN ITALIA MANCANO
ANDREA CARANDINI
la Repubblica 09/06/2008

Il Bel Paese è sciupato, ma i centri urbani sono salvi e per fortuna anche tratti di campagna, per cui abbiamo la storia recente davanti a noi. Si tratta, in realtà, di un´illusione, ché i paesaggi si trasformano e vanno interpretati, ma il risultato cumulativo permane ed è leggibile. Gli studi sulle nostre città dal tardo Medioevo dovrebbero essere più precisi nello spazio e nel tempo, e soprattutto essere mostrati. Tendiamo a pensare che le cose si spiegano da sole; in Europa la pensano diversamente e per questo hanno i musei delle città. Le metropoli sono labirinti difficilmente penetrabili: questo Oltralpe si sa; ma noi, sempre i più bravi, di spiegazioni facciamo a meno.
Ma l´Italia di epoca romana e dell´alto Medioevo sono finiti sotto terra, né li abbiamo davanti agli occhi se non a sprazzi. Il sommerso, prima di essere tutelato, deve essere individuato, altrimenti l´aratro prosegue nell´erosione. Le informazioni sui paesaggi invisibili si trovano tra i solchi dei campi, indagabili solamente da gruppi di giovani; per questo un grande giacimento di conoscenze si trova nei computer delle università italiane, sconosciuto al ministero per i Beni culturali, e si trovano anche negli archivi delle soprintendenze, irraggiungibili dagli stessi funzionari, condannati a scavare tra le carte. Di questo problema si è occupata una commissione paritetica istituita dal passato governo che ha portato a norme circa i "sistemi informativi archeologici", già comunicate alle soprintendenze, ma il lavoro dovrebbe proseguire. Questi uffici hanno bisogno urgente di nuove leve, ma anche della digitalizzazione degli archivi e di nuovi dati sul territorio, per cui andrebbero intensificate le collaborazioni con le università: dove si conoscono dieci insediamenti ce ne sono cento.
Perfino Roma non è ricostruibile dai colossi che emergono, perché le rovine sono per lo più di età imperiale - per cui restano nel buio secoli di storia regia, repubblicana, alto-medievale - e perché nonostante la magniloquenza dei monumenti si tratta di apparizioni scucite, che invocano una costellazione di indizi per essere capite. Ciò spiega perché tra il tardo Medioevo e gli inizi dell´800 si integravano le lacune fra i grandi monumenti in maniera fantastica... Solo le ricerche topografiche e gli scavi dalla seconda metà dell´800 hanno portato alla Forma Urbis di Lanciani, glorioso monumento scientifico, ormai superato e comunque mai tradotto in racconto per comuni mortali, a cui in una democrazia bisognerebbe pensare. Comunicare: una colpa? Salvo i musei della Cripta di Balbo, dei Mercati di Traiano e della Civiltà romana, abbiamo a Roma collezioni di oggetti mobili, per lo più sculture (manca un museo della vita quotidiana). Queste raccolte sono di grande importanza per intendere la cultura figurativa antica, ma Vaticani, Capitolini e Museo Nazionale non mostrano l´oggetto principale: Roma e il suburbio. Se quindi un museo della città è importante per i paesaggi urbani tardo-medievali e moderni, per quelli proto-storici, antichi ed alto-medievali si rivela indispensabile.
Nel caso di Roma sarebbe affascinante trasformare il Circo Massimo in un edificio in parte esposto e in parte reso ameno, e anche utilizzare l´edificio in fondo al Circo - come era intenzione della passata amministrazione - per accogliere il museo dell´impero, togliendolo all´isolamento dell´Eur e aggiornandolo, il museo della città interamente da attuare e possibilmente anche il museo della vita quotidiana. L´assessore della nuova amministrazione, Umberto Croppi, si è mostrato in una dichiarazione favorevole ad un museo della città e non va intimidito. Ogni colle di Roma merita un racconto per periodi, illustrato da frammenti architettonici, da reperti di scavo, da documentazione iconografica e scritta pertinente. Non è questione di depredare altri musei; qui al centro dell´attenzione è ciò che in quelli viene ignorato: i contesti, le architetture... Hegel pose l´architettura in coda alle altre arti, ma alla coscienza nostra essa appare invece arte fondamentale, perché le altre ricomprende ed accoglie (nelle Facoltà di Lettere la storia dell´architettura viene ignorata!). Interessano le grandi architetture ma anche le costruzioni tutte, considerate nel tessuto continuo e cangiante dell´abitato. Inoltre gli edifici andrebbero spiegati non solo in planimetria ma in ricostruzioni tridimensionali, grazie alla multimedialità (si veda la sperimentazione riuscita sotto Palazzo Valentini).
Sostenere che «basta Roma a raccontare se stessa»(Salvatore Settis, Il Sole 24 Ore, 25 maggio) significa non aver interrogato i turisti al Foro (come mi capita di fare mentre scavo), assetati di informazioni che mai trovano (mancano didascalie anche ai principali monumenti). Roma è ricchissima, complicatissima e neppure un archeologo che non sia specialista in materia arriva a intenderla anche per grandi linee, figuriamoci gli altri. Che un museo di introduzione alla conoscenza della città possa mortificare Roma o sia foglia di fico per coprire scempi edilizi non pare credibile (cercherò di informare e convincere Settis). Un buon servizio è sempre vanto per la città e gli scempi del territorio rimangono inespiabili. Musei della città vanno sorgendo in Italia: a Brescia, dove è trasparente il passaggio dalla città romana al comune medievale e tra i due un terra nera di coltivazione; a Ravenna-Classe, dove si potrebbe raccontare la capitale imperiale tardo-antica. Museificare implica sempre "confinare" la grandiosa totalità del reale. Che altro strumento abbiamo?

sabato 14 giugno 2008

Viaggio nel passato remoto aspettando la furia del vulcano

CAMPANIA - Viaggio nel passato remoto aspettando la furia del vulcano
TIZIANA COZZI
12 giugno 2008, La Repubblica - Napoli

Passeggiata lungo cardi e decumani tutti i fine settimana fino a novembre
Dall´ingresso di Porta Marina alla Basilica, passando per il Tempio di Apollo

Entrare nell´antica Pompei un attimo prima del boato del vulcano. Addentrarsi per le vie della città romana, ancora intatte, da Porta Marina fino al Tempio di Apollo e più giù dentro la Basilica. Restare lì, spiando i rumori dei pompeiani al lavoro, nel silenzio che precede certe sciagure, prima che i lapilli e il fumo riempissero le strade, prima di camminare su pavimenti di cenere, prima che l´aria finisse. Anche quest´anno Pompei notturna apre ai turisti i suoi percorsi spettacolari: settanta minuti alla scoperta di una città fotografata nelle ore che precedono l´eruzione del 79 d.C., sito archeologico tra i più visitati, conservato intatto per secoli sotto sei metri di cenere e lapilli.
Da domani (e per tutti i fine settimana d´estate fino a novembre) si entra nella città vecchia e si passeggia nelle strade. Ascoltando le voci degli abitanti, i rumori e i suoni delle interminabili ore prima della fine del mondo che si abbattè su Pompei la sera del 25 agosto di duemila anni fa. Un impianto multimediale riprodurrà tutto questo, seguendo passo dopo passo le fasi del percorso guidato.
Orario obbligato, un´ora dopo il tramonto, perché si possa godere dello spettacolo alla luce fioca dei bracieri accesi lungo le strade lastricate, fuori dalle antiche botteghe. Ad accompagnare i visitatori durante la visita notturna agli Scavi, uno spettacolo itinerante che riprodurrà le abitudini di vita quotidiana dei cittadini, assieme ad un cast di attori condotti dalla voce narrante di Luca Ward, uno dei più famosi doppiatori italiani (voce italiana di Keanu Reeves, Antonio Banderas, Pierce Brosnan, Russell Crowe e Hugh Grant) e attore di fiction televisive.
Una immersione in una giornata qualunque della Pompei di allora, riprodotta nei racconti di chi recita e nelle immagini proiettate durante la visita. Dalle prime ore dell´alba ai momenti del lavoro (in bottega o nei campi), dagli svaghi alle terme fino all´ora della cena, scandita da banchetti lussuosi a base di gàrum (la salamoia di pesce fermentata al sole preparata solo per le mense nobili sopravvissuta nella colatura di alici della Costiera) e dalle cene frugali dei più poveri.
"Sognopompei" accompagnerà i visitatori dall´ingresso a porta Marina fino alla Basilica, passando per le botteghe e il Tempio di Apollo, il santuario più antico di Pompei allungandosi verso il Foro dove si trova il Tempio di Vespasiano, luogo di culto imperiale, gli edifici pubblici e il Macellum, grande mercato coperto dei commestibili del II secolo a.C.
Una visita insolita negli scavi di Pompei, città un tempo gloriosa che ospitava residenze di imperatori e patrizi e che ancora conserva case con affreschi che non hanno precedenti (sebbene molti siano stati trasferiti all´Archeologico). Un luogo che ancora oggi è considerato una delle massime espressioni urbanistiche e architettoniche dell´epoca ma che porta i segni di una fine disastrosa difficile da dimenticare.
Il progetto, nato dall´idea di Francesco Capotorto, è realizzato dalla Azienda Autonoma di Cura, Soggiorno e Turismo di Pompei, in collaborazione con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei e finanziato dalla Regione Campania.

Sono i turchi gli eredi di Roma

La Stampa Tuttolibri 14.6.08
L'impero ottomano. Un'organizzazione multietnica e multireligiosa che fondò il suo successo sull'inclusione
Sono i turchi gli eredi di Roma
di Silvia Ronchey

Nel XVI secolo, quando l'età moderna iniziò la sua corsa, il mondo era dominato da quattro imperi. Il più ricco e potente era la Cina, governata dai Ming. Gli altri erano l'impero safavide in Iran, l'impero moghul in India e l'impero ottomano a cavallo tra i confini orientali dell'Anatolia e le sponde occidentali del Mediterraneo. Complessivamente, gli ultimi tre imperi amministravano la parte del mondo che si estendeva da Vienna a Pechino, arricchendosi con il commercio tra Asia e Europa. A presidiare la cruciale area geopolitica che faceva da ponte verso le grandi vie dei traffici orientali alle discordi potenze europee, proprio nel momento in cui Spagna e Portogallo conquistavano il Nuovo Mondo e i suoi tesori, era un unico, fondamentale interlocutore: l'impero ottomano.
Non lo si poteva definire un impero orientale. Nel 1453, con la conquista di Costantinopoli, la città nella quale mille e cento anni prima Costantino aveva trasferito l'eredità dei cesari, il sultano turco era diventato un cesare lui stesso, erede dichiarato della successione dinastica romano-bizantina. Per gli oltre quattrocento anni successivi, come ricorda Donald Quataert nel suo Impero ottomano, «i dominatori ottomani onorarono il fondatore romano ricordandolo nel nome della capitale», che sino al crollo dell'impero, al principio del XX secolo, rimase Kostantiniyye/Costantinopoli nella corrispondenza ufficiale, sulle monete e, dall'Ottocento, sui francobolli.
Mentre all'estremo Ovest del continente europeo l'Inghilterra elisabettiana, la Spagna imperiale, la Francia dei Valois e la repubblica olandese andavano costruendo la loro potenza e la loro futura identità nazionale attraverso sanguinose guerre di religione, l'impero che dominava il centro di quella medesima Europa, oltre che nella sua parte orientale il crocevia stesso tra Europa, Asia e Africa, imponeva un modello di amministrazione basato sulla tolleranza.
Dalla seconda Roma, di cui era diventato successore, lo stato turco aveva infatti ereditato non solo le forme di gestione della terra, il sistema fiscale, il dinamismo verticale delle élites, ma anche il cosiddetto cesaropapismo: «un sistema in cui lo stato controllava il clero» e dove era prescritto che «amministratori e ufficiali proteggessero i sudditi nella pratica della loro religione, che fosse l'islam, l'ebraismo o il cristianesimo, in qualsiasi loro versione (sunnita, sciita, greca, armena, siro-ortodossa o cattolica) ».
Nell'Europa occidentale, al tempo delle guerre di religione, le confessioni cristiane antagoniste facevano a gara nel demonizzare gli «abominevoli turchi»: Lutero li considerava una punizione divina per la corruzione del papato, i cattolici un castigo all'Europa per l'eresia protestante. Eppure gli ottomani, di recente islamizzati ma impregnati della spiritualità sciamanica delle loro radici turcomanne, non avevano creato uno stato confessionale islamico bensì, come scrive Quaetert, «un'organizzazione multietnica e multireligiosa che fondò il suo successo sull'inclusione», sulla capacità, già bizantina, di «incorporare le energie della vasta e variegata moltitudine di popoli che incontrava» e inglobava.
Quando nell'occidente europeo le madri minacciavano i bambini disobbedienti che i «turchi» sarebbero venuti a mangiarli, con quel nome evocavano una realtà complessa. Gli eserciti con cui i sultani avevano conquistato il loro impero erano composti tanto di musulmani quanto di cristiani. La trasversalità nella composizione etnica dei fronti era evidente fin dal grande assedio del 1453, quando sotto le insegne turche combattevano molte milizie cristiane e sotto quelle bizantine molti turchi. Una secolare politica matrimoniale aveva del resto ibridato di sangue bizantino la stessa dinastia regnante ottomana, come racconta limpidamente Bernard Lewis nel suo classico La Sublime Porta. Istanbul e la civiltà ottomana. E una parte consistente della sua élite era tanto contraria all'offensiva militare quanto l'ala turcofila della corte bizantina era pronta a una coesistenza pacifica con gli eredi di Osman: preferiva «il turbante turco alla tiara latina».
Se Mehmet II si considerava imperatore romano per avere conquistato la seconda Roma, Süleyman il Magnifico puntava alla prima. Non fu la battaglia di Lepanto, ora ricostruita e attualizzata da Niccolò Capponi nel suo Lepanto 1571. La Lega Santa contro l'impero ottomano, a cambiare le sorti della storia d'Europa. Né Venezia né Genova, le repubbliche che con la loro guerra commerciale avevano consentito la caduta di Bisanzio, potevano realmente arginare la potenza turca, che si riprese presto dalla distruzione della sua flotta e non solo continuò la sua espansione nel Mediterraneo, ma intervenne sempre più spesso e più a fondo nello scacchiere occidentale, per inserirsi a pieno titolo nel sistema politico europeo.
Se c'è una data che segna il tramonto definitivo della minaccia turca alla prima Roma, che già Isidoro di Kiev aveva predetto, non è il 1571 ma il 1683: quando l'impero ottomano arrivò per la seconda volta sotto le mura di Vienna e venne definitivamente sconfitto. Da allora non fu più questo esotico impero a incarnare l'eredità di quello romano, ma un altro, nato sul Danubio proprio con la missione di arginare l'espansione turca. Dopo che i regni balcanici avevano fallito, fu l'Austria ad acquistare, come scrive Quataert, «il ruolo e l'identità di prima linea di difesa per l'Europa». Da allora in poi gli Asburgo mobilitarono sotto le insegne imperiali le risorse di tedeschi, ungheresi, cèchi, croati, slovacchi e italiani, associando veneziani e polacchi, costruendo un impero multietnico e multireligioso, che durerà fino al 1918. Sarà così l'impero asburgico il vero continuatore di quello bizantino: crinale tra oriente e occidente, difensore e insieme ibridatore di popoli e culture, mediatore di forme d'arte, di musica, di letteratura. Erede, nell'era degli stati nazionali, di quella Sehnsucht imperiale, di quel nostalgico, malinconico senso di un dovere storico sempre venato dal presagio di una fine, che aveva pervaso per secoli la civiltà di Bisanzio

venerdì 13 giugno 2008

PINCIO: Il sopralluogo Giornalisti tenuti a distanza dall'impresa. II sindaco: entro un mese sapremo se andare avanti

ROMA - PINCIO: Il sopralluogo Giornalisti tenuti a distanza dall'impresa. II sindaco: entro un mese sapremo se andare avanti
CORRIERE DELLA SERA, giovedì 12.06.2008, ROMA

«Capiremo se è sostenibile in una zona così delicata»

E nel cantiere del Pincio venne il giorno del sopralluogo del sindaco Alemanno, che ieri ha voluto rendersi conto in prima persona dello stato dei lavori, ritrovamenti archeologici compresi. In un cantiere che però è rimasto rigorosamente off limits per giornalisti, fotografi e telecamere, tenuti ad almeno cento metri di distanza dai ritrovamenti (nonostante vibrate proteste).
Una decisione non degli amministratori comunali (con Alemanno c'erano anche gli assessori Umberto Groppi, Cultura, e Sergio Marchi, Mobilità e delega ai parcheggi) bensì dei rappresentanti di ente appaltante e impresa: «Per motivi di sicurezza esca fuori, questa è un'area di proprietà privata», veniva intimato a chi, con un pizzico di intraprendenza, era riuscito di buon ora al mattino a guadagnare l'interno del blindatissimo cantiere (si sta scavando sotto al Pincio, ma le palizzate delimitano l'area già a partire dal lontano piazzale delle Canestre e lungo tutto il viale delle Magnolie).
I motivi di sicurezza ieri sono apparsi più che altro una scusa (all'interno, per più di un'ora, hanno stazionato una trentina di persone, uomini in giacca e cravatta e donne in gonna e tacchi). Ma tant'è. Dopo una lunga riunione sul campo, con dispiegamento di carte, planimetrie, indicazioni di luoghi ecc. (il tutto seguito grazie all'ausilio di teleobiettivi o da dietro una griglia, grazie a una delle due grate aperte successivamente a proteste di cittadini
sul cantiere) il sindaco — che al parking di sette piani all'interno della collina del Pincio si è sempre opposto, come d'altronde tutta An e Forza Italia — è uscito per parlare con la stampa. Spiegando che entro un mese si decideranno le sorti del parking del Pincio fortemente voluto dall'ex sindaco Veltroni e dalla sua giunta nonostante una fortissima opposizione, trasversale anche politicamente (Italia Nostra, intellettuali, storici dell'arte, Verdi, Sinistra...).
«Entro trenta giorni», ha detto Alemanno, la già annunciata commissione di saggi (ieri è stato specificato che sarà composta da 5 persone «di altissimo livello») stabilirà se il progetto è sostenibile, anche se «sia sul versante storico architettonico, sia su quello tecnico, si dovrà fare una rapida revisione del progetto». Quantomeno una revisione è dunque certa. «In un mese — ha proseguito il sindaco — ascolteranno tutte le critiche, anche in relazione ai nuovi ritrovamenti, per capire se l'opera è sostenibile in una zona così delicata del centro storico».
Nel frattempo «i lavori continueranno e non ci saranno sospensioni». Dal responso della commissione «verrà poi la decisione di ridefinire il progetto o bloccarlo, o darne il totale e definitivo via libera. Intanto, non c'è nessuna incompatibilità tra il lavoro della commissione e gli scavi, che porteranno, però, sicuramente alla modifica del progetto».
Edoardo Sassi

giovedì 12 giugno 2008

Pincio: «Ci sono resti per 11 metri di profondità»

ROMA - Pincio Bottini: «Ci sono resti per 11 metri di profondità»
Sa.
Corriere della Sera (Roma) 12/06/2008

«Un intrico di muri diversificati e orientati diversamente, quel che resta, per ora, dell`impianto di una villa, primo secolo avanti Cristo, su un colle dove si sa che esistevano grandi proprietà che passavano di mano in mano...». Ieri, sul contestatissimo cantiere del (futuro?) parking del Pincio è arrivato anche il soprintendente di Stato ai beni archeologici
di Roma, Angelo Bottini. Da qualche settimana non si recava direttamente sullo scavo, diretto dalla «sua» funzionaria Maria Antonietta Tornei, presente anche lei.
Entrambi, nei giorni scorsi, avevano spiegato che l`attuale stato dei ritrovamenti superava comunque, per estensione, le previsioni fatte durante i sondaggi del 2004. Ieri, Bottini se ne è reso conto in prima persona. E in serata ha spiegato «che questa prima fase di studi, terminata, ci ha permesso di conoscere la planimetria della villa. Il 40 per cento della zona interessata al parcheggio è impegnato da resti archeologici».
Il problema, per, estensione a parte, resta soprattutto quello di una «profondità ancora tutta da capire e scoprire» (fondamentale,
oltretutto, per procedere con evenutali paratie). Lo scavo
prosegue. «Di certo, per ora, si può affermare che sulla sinistra,
zona degli ultimi ritrovamenti, dove era previsto in origine uno spazio tecnico e non dei posti auto, questo spazio non è realizzabile».
Ecco dunque la modifica del progetto (riduzione?) ormai data, almeno quella, per certa.
Bottini spiega anche altro: «Mentre si discute anche di altre altri problemi, opportunità dell`opera in generale, aspetti
architettonici, politici, noi scaviamo. Da dove ci troviamo ora manca poco per raggiungere la zona del pendio che affaccia sul Muro Torto, dove i sondaggi ci danno resti profondi a ii metri. Si tratta della parte principale della villa, come credo? Di macerie dovute a demolizioni? Ancora non possiamo dirlo» (da qui, l`incertezza sul futuro dell`opera, tra adeguamento, salvando il trovato, o blocco se si troverà altro di «profondo»).
Domanda chiave al soprintendente: resti per i i metri di profondità sono compatibili con i lavori? «No. Ma va detto che quanto trovato finora, avendo già individuato piani pavimentali, compreso un mosaico di due metri quadrati, non pare profondissimo. Mentre la zona degli i i metri, per ora, è esclusa dal perimetro dell`opera».

ROMA - "Trovati i resti di una villa romana importanti, ma non da fermare i lavori"

ROMA - "Trovati i resti di una villa romana importanti, ma non da fermare i lavori"
GIOVEDÌ, 12 GIUGNO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XI - Roma

Soprintendente Bottini, in cosa consistono i ritrovamenti archeologici del Pincio?
«Si tratta di una villa romana iniziata a costruire dal I secolo avanti Cristo. I resti occupano il 40% dell´area interessata al parcheggio. Quello che abbiamo scavato corrisponde ad un lembo di tutto l´impianto, che si estende verso il Muro Torto».
E´ un ritrovamento importante?
«E´ senz´altro significativo perché rappresenta una porzione superstite della grandi ville realizzate dai ricchi romani sulla collina e ci restituisce una parte della toponomastica della città antica».
Potrà causare il blocco dei lavori?
«Allo stato attuale no. Bisogna però rivedere il progetto, che ora prevede di consolidare il perimetro del parcheggio con paratie di cemento. Questo non si può fare, perché le paratie taglierebbero i resti romani. Dobbiamo allora scavare più in profondità per vedere fin dove arriva lo strato archeologico e studiare un altro sistema di perimetrazione, che dovrebbe partire da sotto lo strato archeologico ed essere composto da micropali in metallo».
(ce.ge.)

mercoledì 11 giugno 2008

Ponte Galeria, nelle tombe trovati 270 corpi degli antichi "camalli"

Ponte Galeria, nelle tombe trovati 270 corpi degli antichi "camalli"
CARLO ALBERTO BUCCI
MARTEDÌ, 10 GIUGNO 2008 LA REPUBBLICA Pagina XIX - Roma

Scoperta la collina degli schiavi nel porto

Scheletri di uomini segnati dal lavoro nella necropoli tolta dalle mani dei tombaroli

Dormivano sulla collina l´uomo con la schiena rotta dalla fatica che gli archeologi hanno trovato con il sesterzio stretto ancora tra i denti per il pedaggio a Caronte, la donna sepolta con un piccolo specchio e qualche altra gioia della sua povera trousse, il bambino affidato alla terra con un braccialetto variopinto come portafortuna verso i Campi Elisi, il trentenne nato con i denti serrati per una rara malattia alla bocca cui una mano pietosa strappò gli incisivi per permettergli di mangiare, respirare, lavorare come uno schiavo. Dormivano da quasi 2000 anni vicino al mare. Ma ora le loro storie sono riemerse dalla sabbia e dal ghiaia in cui erano state sepolte.
È uno struggente Spoon River d´età imperiale il cimitero di 270 scheletri perfettamente conservati trovato nella tenuta agricola di Castel Malnome, a Ponte Galleria, vicino al porto e a due passi dalle saline dei romani. La necropoli è venuta alla luce grazie alle indagini dei finanzieri di Fiumicino che, guidati dal capitano Marco La Malfa, nell´estate del 2006 hanno trovato in casa di un trafficante italiano una lucerna funeraria, arrivando da lì ai tombaroli e, quindi, al tesoro ancora intatto, o quasi, sulla Portuense. Ora, finiti gli scavi e portati via i reperti, il cimitero sarà ricoperto e torneranno i campi.
«La necropoli misura tremila metri quadri, un tempo però prendeva tutta la collina che si trova al centro di una pianura alluvionale» spiega Laura Cianfriglia, della Soprintendenza archeologica di Roma, che ha diretto gli scavi eseguiti dai giovani della Lateres Arc. Ter. Le tombe sono umili, quasi tutte a fossa con i defunti stesi supini (solo quello di una donna era a pancia sotto) e appena due urne cinerarie. Dei corpi affidati alla terra, solo uno su tre ha uno straccio di corredo funerario; il 63% presenta una forte compressione dello scheletro, segno che erano avvolti in fasciature o sudari; e la copertura nel 43% dei casi era fittile, con le tegole messe "cappuccina", negli altri casi però di semplice, deperibile legno.
«In questo scavo appena portato a termine e iniziato nel marzo 2007 - ha sottolineato ieri a Palazzo Altemps il soprintendente Angelo Bottini presentando la ricerca - i pezzi di pregio non sono le statue o i mosaici. Ma sono le povere ossa che ci permetteranno di sapere come viveva una piccola comunità operaia nella capitale dell´Impero al momento del massimo fulgore, tra primo e secondo secolo dopo Cristo».
La necropoli «era servita da una strada cui oggi si sovrappone, almeno in parte, via della Muratella, e che passava accanto alla collina - sottolinea la Cianfriglia - ma dove abitasse questa gente non lo sappiamo, probabilmente in uno degli insediamenti verso il porto». La tesi degli archeologi è che nella necropoli sulla collina sia diventata l´ultima casa di un gruppo di portatori di sale, di facchini impegnati sui moli, di gente di fatica insomma, "camalli" (schiavi o liberti) impegnati nel porto che fu ingrandito e arricchito, anche di collegamenti con l´Urbe, proprio sotto Claudio e Traiano (bellissima la moneta con l´effigie dell´imperatore che sconfisse i Traci). E a parlare di una "Cittadella" operaia sono proprio i miseri resti rinvenuti. Spiega l´archeologa della Soprintendenza Paola Catalano: «Il 72 per cento degli individui è composto da maschi adulti, tra i venti e i quarant´anni mentre nell´altra grande necropoli che abbiamo analizzato, quella sulla Collatina, su 2200 corpi la metà erano donne. Evidentemente, a Malnome riposa una comunità di lavoratori».
Lo testimoniano anche, ad abundantiam, i segni della fatica impressi nelle ossa. Gli antropologi devono ancora sottoporre tutti gli scheletri alle analisi scientifiche, ma già hanno potuto notare numerose fratture lungo gli arti e lesioni alla colonna vertebrale «appropriate al corpo di un facchino». Per un teschio però è stata scomodata la tac del professor Paolo Preziosi del Policlinico Casilino. È quella di uomo sui 30-35 anni che era affetto da una rarissima malattia congenita, la signazia, che oggi conta non più di cinque casi, «ma nessuna testimonianza nell´antichità» precisa la Catalano: la mandibola rimane serrata all´osso temporale. «Gli antichi - spiega Bottini - non avevano simpatia per le anomalie. Qui invece assistiamo a una comunità povera che si dà da fare per salvare la vita a una persona, strappandogli i denti e permettendogli di respirare e mangiare».
Lavorava forse nella salina anche il bambino di otto anni che è stato sepolto con una collana di pendagli di ambra, osso, conchiglie. La sua tomba è la più piccola ma la più ricca, di monili e di affetti. Ha quello che serve per il prematuro viaggio nell´aldilà.

martedì 10 giugno 2008

British Museum, è falsa la statua di Adriano

Il Giornale di Vicenza, Martedì 10 Giugno 2008
ARCHEOLOGIA. IL PEZZO FORTE DELLA MOSTRA SULL’IMPERATORE È DI EPOCA VITTORIANA
British Museum, è falsa la statua di Adriano

L’imperatore Adriano, celebre architetto della villa Adriana di Tivoli, è passato anche alla storia per il suo spassionato amore per la cultura greca - e l’iconica statua in esposizione al British Museum che lo ritrae con indosso una tunica drappeggiata alla moda greca pareva la prova provata. Peccato che la statua, dopo attente analisi, è risultata un falso di epoca vittoriana.
È toccato a Tracey Sweek, ex scultore e ora restauratore, svelare l’arcano quando, ripulendo l’opera - che doveva far parte dei pezzi forti della grande mostra «Adriano: Impero e Conflitto» in preparazione al British Museum -, ha scoperto il filo di gesso che nascondeva la posticcia sutura tra il capo di Adriano e il resto della statua.
Thorsten Opper, curatore della mostra, si è detto «devastato» quando ha visto i drappeggi del busto continuare sotto la sezione del capo: i due frammenti non avrebbero mai potuto far parte di un unico pezzo.
«Mi sono sentito malissimo per una ventina di minuti», ha detto al Guardian Opper, «poichè stavamo distruggendo una tra le opere più amate: ma è per questo che esistono i musei, per raccontare le cose come stanno».
L’esposizione dedicata al regno di Adriano e alla sua personalità, sarà inaugurata il 24 luglio e includerà circa 200 opere prestate da 31 paesi per la maggior parte soggetti un tempo al dominio di Roma. Tra queste, ha annunciato il museo, «sculture drammatiche, bronzi e frammenti architettonici» che potranno essere ammirate nel Regno Unito per la prima volta.
«Abbiamo fatto una figuraccia con il mondo intero» ha ammesso Thorsten Opper. «Me ne assumo la responsabilità anche se l’opera era inventariata come autentica anche in base a perizie stese a fine Ottocento e ai primi del Novecento. Non riesco a capacitarmi di quanto è successo».

lunedì 9 giugno 2008

La villa della Valdonega fa il pieno di visitatori

L'Arena, Lunedì 9 Giugno 2008
VERONA ROMANA. Molte famiglie hanno approfittato del servizio reso dalle guide del Centro turistico giovanile, che hanno illustrato i resti della casa di via Marsala
La villa della Valdonega fa il pieno di visitatori
Fu scoperta nel 1957 per la costruzione di un condominio
È l’unico esempio noto di villa suburbana e risale alla prima metà del I secolo dopo Cristo
La parte conservata è minima rispetto al complesso originario, molto signorile

Alessandra Galetto
E' un'occasione da non perdere quella offerta dall'operosità delle guide del Ctg ogni primo sabato e domenica del mese: e molti veronesi, nonostante il tempo capriccioso, in questo primo fine settimana di giugno non si sono fatti scappare l'opportunità e hanno fatto una passeggiata in Valdonega per ammirare i resti della villa romana che si trova alla fine della salita di via Marsala, subito sulla destra.
Un viavai continuo di appassionati di archeologia, ma anche di molte famiglie, dato che le visite guidate proposte dalle guide sanno essere accattivanti anche per i più piccoli, grazie alla suggestiva spiegazione di come poteva svolgersi la vita domestica nelle stanze di cui resta traccia e delle belle immagini floreali conservate nei mosaici.
La villa venne scoperta nel 1957, in occasione della costruzione di un condominio. Qualche anziano del quartiere va ancora oggi dicendo che nei dintorni altri resti significativi dovrebbero esserci, ma «nascosti» da altre moderne costruzioni. Del resto, tutta l’area ai piedi di Castel San Pietro è stata la prima ad essere abitata in epoca romana e la presenza del Teatro Romano ne è una conferma.
Questo riportato alla luce in Valdonega è un edificio particolarmente importante in quanto costituisce ad oggi l'unico esempio noto di villa suburbana veronese, databile, per le caratteristiche formali e stilistiche delle decorazioni (mosaici, pitture, capitelli), nell'ambito dell'età Giulio-Claudia, cioè la prima metà del I secolo d.C..
LA VISITA. La parte conservata appare minima rispetto al complesso originario: quanto si può visitare oggi è costituito da un portico, da tre vani e da una vasta intercapedine.
Il portico, documentato da una serie di basi, una delle quali reca ancora l'impronta della colonna, delimita il padiglione lungo i lati sud ed est affacciati su un giardino, in questi giorni fiorito di bellissime rose, e si conclude all'estremità nord est con una scala.
L'impianto è invece occupato per la maggior parte da una vasta sala con colonnato interno su tutti i lati, salvo che su quello sud, dove si trova l'accesso principale, inquadrato da due finestroni. L'ambiente presenta anche due passaggi, uno a sud-est, che immette all'esterno, ed uno all'angolo nord-est, mentre più a nord sta un piccolo vano di servizio suddiviso in due parti da una soglia.
LA SALA. La grande sala, per le sue caratteristiche planimetriche (peristasi interna su tra lati, lato frontale con larghe aperture verso l'area antistante, lunghezza doppia della larghezza) è stata interpretata come "Oecus corinthius", cioè un tipo di ambiente a colonne, con apertura a volta nella parte centrale e piana sopra l'ambulacro perimetrale, ricordato da Vitruvio e documentato da testimonianze architettoniche (come la casa del labirinto e la casa Melagro a Pompei) e pittoriche (come la casa dei Grifi o la villa dei misteri a Roma). Queste sale erano proprie delle case signorili e servivano a festini e banchetti, più sontuose ed ampie dei triclini.
SCALA E TERRAZZA. La presenza della scala suggerisce l'esistenza almeno parziale di un secondo piano: per questo è stata fatta l'ipotesi che l'edificio fosse distribuito su terrazze, situato su un declivio: da qui si doveva godere di una vista eccezionale sulla città.

Ecco le tombe dei poveri della Roma imperiale

Ecco le tombe dei poveri della Roma imperiale

un articolo lo trovate su sito del La Repubblica, a questo link

sempre il quotidiano La Repubblica ha pubblicato delle foto della scoperta.
questo è il link

da "Il Messaggero", 9 Giugno 2008

Ponte Galeria, scoperta necropoli di età imperiale
Arrestati due tombaroli

ROMA (9 giugno) - Una vasta necropoli di età imperiale risalente al I-II secolo d.C. è stata scoperta su una collina in località Ponte Galeria, nei pressi della via Portuense, a pochi chilometri da Roma. Nell'area, tremila metri quadrati circa, sono state individuate oltre 320 sepolture, per la maggior parte uomini, tumulati individualmente, probabilmente appartenenti a classi sociali umili. Di particolare rilievo la tomba di un bambino con lo scheletro perfettamente conservato e, vicino al suo braccio destro, una straordinaria collana-amuleto, con pendagli d'ambra, osso e conchiglie che aveva lo scopo di proteggerlo nell'esistenza ultra-terrena. È forse il reperto più commovente che ha restituito la necropoli di Castel Malnone, a Ponte Galeria, dove, nella Roma imperiale, si seppellivano gli operai e le persone delle classi sociali più povere. Di particolare interesse - secondo l'antropologa Paola Catalano- anche il ritrovamento del cranio di un uomo di 35 anni, affetto da una rara malattia congenita, che gli aveva bloccato la mandibola, a cui sono stati asportati i quattro incisivi centrali. L'area è stata fotografata e documentata i reperti saranno probabilmente oggetto di mostre itineranti.

La scoperta. Determinante, ai fini della scoperta, è stata un'indagine della guardia di finanza di Fiumicino, che ha portato al successivo arresto di due noti tombaroli italiani di 45 e 60 anni per detenzione illecita di materiale archeologico. I militari, durante la perquisizione delle abitazioni dei due uomini, hanno rinvenuto numeroso materiale archeologico, chiaro frutto di uno scavo clandestino. Dopo poco si è giunti all'individuazione della nuova area. Una terza persona è tutt'ora ricercata.

La campagna di scavo, iniziata nel marzo del 2007 e conlusa da poco, ha portato tra l'altro alla scoperta di 70 monete con l'effigie di Traiano o di Faustina che si usava mettere in bocca ai defunti come «oboli» per Caronte, boccali e oliette in ceramica; lucerne, chiodi in ferro che sembra avessero un uso scaramantico, e quanto rimane di antiche calzature.Tra i reperti ritrovati ci sono orecchini d'oro, urne e lucerne funerarie; chiodi, olette e boccali. Almeno settanta monete imperiali utilizzate come «obolo di Caronte» pedaggio per "l'ultimo trasferimento", nonché una collana di ambra, che decorava la tomba di un bambino.

Una testimonianza della vita dell'Impero. «L 'aspetto prevalente - ha spiegato il soprintendente archeologico di Roma, Angelo Bottini- non è il recupero di opere d'arte, ma la possibilità di conoscere la vita quotidiana di un piccolo campione di cittadini dell'impero dei livelli sociali più bassi(probabilmente lavoratori delle vicine saline). Ci consente di collegare le testimonianze storiche con la realtà concreta di come si viveva nella capitale nel periodo di massimo splendore dell'impero, capire come si organizzava una piccola comunità marginale nell'affrontare la morte».

Le difficoltà. «Abbiamo avuto difficoltà ad indagare sulla necropoli - ha detto l'archeologa della soprintendenza Laura Cianfriglia - per l'esistenza di molte sepolture su più livelli e per il coesistere di sepolture singole con altre contenenti più gruppi familiari: ora stiamo predisponendo un database per circoscrivere le successive deposizioni». Con gli archeologi hanno lavorato anche gli antropologi che stanno studiando lo stato degli scheletri.

domenica 8 giugno 2008

Appia antica, nuovo scempio

ROMA. Appia antica, nuovo scempio
Carlo Alberto Bucci
La Repubblica – ed. Cronaca di Roma, 7.6.2008

Appia Antica, scempio. Sigilli alle piscine di due centri sportivi nell’area archeologica. L’ente Parco e la Soprintendenza avevano negato i permessi edilizi. "Sbancamenti folli, qui è pieno di reperti antichi"

NUOVO, devastante attacco dell’abusivismo al parco dell’Appia antica. Il Circolo del tennis all’Acquasanta e lo Sporting Palace sono stati dotati di altrettante piscine, e di annessi muri in cemento armato, nonostante sia il Parco regionale sia la Soprintendenza archeologica statale avessero negato le autorizzazioni.
Mai lavori illegali sono stati scoperti prima della fine. E, nel giro di una decina di giorni, sono stati sequestrati il cantiere del circolo tennistico di via dell’Almone 49 e, l’altro ieri, quello del complesso di viaAppia Nuova 700 che, come reclamizzano i poster in tutta la città, sarà inaugurato il 18 giugno.
Durante la ricognizione per il piano anticendio, i guardiaparco coordinati da Guido Cubeddu hanno scoperto che all’Acquasanta era stato realizzato un colossale sbancamento per una piscina da 25 metri per 20 e profonda 4, come l’altezza dei locali. «Non avevano il nostro nulla osta - spiega la direttrice del Parco, Alma Rossi-. Hanno presentato una dichiarazione d’inizio attività al IX Municipio. Ecco il risultato: un cantiere di 70 metri per 50. E siamo nella zona più vincolata al mondo. Ma senza l’approvazione del piano e del regolamento del Parco, è una lotta impari».
Incalza Rita Paris, responsabile dell’Appia per la Soprintendenza. «Già nel 1994 ci esprimemmo contro il condono dell’intero impianto... e sono tre anni che riceviamo pressioni per autorizzare questa piscina. Abbiamo detto sempre no. Poi hanno presentato una perizia geologica per pericolo di frana. Abbiamo dato l’ok a una vasca per l’acqua piovana. Serviva per l’irrigazione e in caso di incendi. Invece hanno fatto tutt’altro. È una zona archeologica, piena di reperti: che fine h afatto tutta quella terra sbancata?».
L’archeologa è indignata anche per lo Sporting Palace: «Si trova nella valle della Caffarella. Nacque nel 1956 come impianto per l’imbottigliamento dell’acqua. Io avevo già proposto la demolizione. E ora torno a chiederla dopo questo ulteriore abuso. Mi chiedo: quale istituzione ha autorizzato un tale scempio?». L’anno scorso l’ente Parco non è stato neanche invitato alla conferenza dei servizi sullo Sporting. A maggio 2007 aveva rilasciato un nulla osta solo per lavori di manutenzione ordinaria. Il 3 ottobre ha negato il permesso al cambio di destinazione d’uso e alla piscina interrata. Invece, una l’hanno realizzata sul tetto. Sopraelevando l’edificio: due metri in più di cemento armato che si frappone tra le meraviglie di Cecilia Metella e delle Tombe Latine.

venerdì 6 giugno 2008

FANO - Dimenticate le fornaci romane

FANO - Dimenticate le fornaci romane
Edizione del 5 giugno 2008, corriere adriatico

Furono scoperte vicino al Metauro. Non utilizzati i fondi stanziati

Che fine hanno fatto le fornaci che furono scoperte tre anni fa tra Tombaccia e Caminate, a poca distanza dal fiume Metauro?

Erano fornaci di epoca romana, che erano state studiate dal dirigente della Soprintendenza ai beni archeologici delle Marche Gabriele Baldelli, con l’intento di musealizzarne, delle tre tornate alla luce, almeno una. I fondi come al solito erano e sono scarsi e piuttosto che scavarle tutte, si era deciso di impiegare le risorse economiche a disposizione per fornire un adeguata copertura del nuovo sito. I soldi a disposizione, tra il contributo della amministrazione provinciale e quello messo a disposizione dai proprietari della fornace Solazzi, erano di 27.000 euro. In realtà non si è fatto nulla. Le fornaci sono state scoperte, sono rimaste visibili per alcuni mesi e sono state ricoperte, vanificando almeno per il momento ogni prospettiva di valorizzazione, comprensiva della realizzazione di un piccolo antiquarium nel paese di san Costanzo.

Eppure Fano, come centro di realizzazione di manufatti in terracotta e ceramica, è stata posta alla ribalta da una interessante mostra organizzata all’interno della pinacoteca civica, mentre due pubblicazioni, una sulla maiolica a cura di Claudio Giardini e una sulla terracotta a cura di Gianni Volpe, hanno approfondito gli studi nel settore. Fano romana è una delle principali mete turistiche dei visitatori della nostra città e le fornaci del Metauro potrebbero costituire un’interessante cerniera tra costa ed entroterra. Perché sono state dimenticate?

La forza degli istituti repubblicani e imperiali ha lasciato un segno indelebile nelle idee, nella letteratura e nell´arte

La Repubblica 6.6.08
Il fascino eterno dell’antico"
Scoprire le Civiltà" è la nuova collana di "Repubblica" e "L´Espresso". Da oggi in edicola il volume "Roma"
di Lucio Villari

Per i romani la parola "civilitas" indicava semplicemente lo stato di cittadino, in qualche caso il governo politico
La forza degli istituti repubblicani e imperiali ha lasciato un segno indelebile nelle idee, nella letteratura e nell´arte

È strano che la parola "civiltà", il cui senso appare comprensibile e indiscutibile e che riceve luce e spiegazione dalla storia, cioè dallo svolgersi della vita degli esseri umani come individui e come popoli, sia in realtà un termine di cui, nel succedersi degli eventi storici, non sempre si ha consapevolezza. Talvolta gli eventi stessi si incaricano di smentirlo o di metterlo in discussione rovesciandolo nel suo contrario. La civiltà è un concetto pensato e usato soltanto dopo che il suo oggetto, cioè l´insieme delle attività spirituali e materiali delle società umane che hanno raggiunto una condizione elevata, si è dispiegato nel tempo e nello spazio senza che i protagonisti e i partecipi di quelle civiltà fossero in grado di definirle tali. I romani, ad esempio, non ne possedevano la parola; per loro civilitas era lo stato di cittadino (in qualche caso si intendeva anche il governo politico) ma non quel livello complessivo, alto, prezioso che poi è stato, ed è, indicato come "civiltà romana" nella quale normalmente includiamo le cose belle, raffinate lasciate a noi da arte, letteratura, poesia, architettura, strumenti di vita quotidiana, gusto, mode.
Una analoga riflessione si può fare per la civiltà egiziana, assiro-babilonese, mesopotamica, greca, cinese, e così via. Perfino quando i romani, Cicerone tra gli altri, usavano l´aggettivo o il sostantivo cultus si riferivano generalmente alle colture agricole più che al significato, per noi scontato, di coltivato, elegante, curato (nel vestire, nel parlare, nel fare ginnastica, eccetera) intuito da qualche poeta dell´età imperiale.
La difficoltà di una percezione precisa nel mondo antico dell´idea di civiltà si è prolungata per secoli fino alla netta distinzione che, nel linguaggio filosofico e scientifico di fine Ottocento, in pieno trionfo della rivoluzione industriale, si è dovuta fare, soprattutto in Germania, tra la "civilizzazione" (materiale) e la "cultura" (i prodotti dello spirito). Una distinzione sempre più valida (un esempio per tutti: la "civiltà dell´automobile" - e di qualsiasi altro consumo invadente - non è più compatibile con la cultura della città e con il vivere "civile") e con la quale ora si fanno i conti nella maggior parte del mondo sviluppato.
Questa premessa è necessaria per rendere il senso dell´iniziativa della Repubblica e dell´Espresso, per sottolinearne, appunto, l´idea ispiratrice: «scoprire le civiltà» del passato senza darle, come è consuetudine, per scontate (spaziando dal Mediterraneo e dal Vicino e Medio Oriente - Madri che hanno generato noi occidentali - all´Estremo Oriente, ai Vichinghi, all´Islam, all´Africa, alla Mesoamerica). Renderle vive, queste civiltà, descrivendole con bellissime immagini scultoree, pittoriche architettoniche, ambientali e riproponendone, per puntuali accenni, il vissuto: dunque, le civiltà mentre si formano. L´intenzione è di riproporre, in una efficace sintesi divulgativa, per i monumenti fisici la stessa attenzione che si presta da più di mille anni ai monumenti della parola salvati dai monaci e amanuensi medievali: i lasciti eterni della letteratura, della poesia, della filosofia, della drammaturgia, del pensiero del mondo antico. L´attenzione di un ammiratore della classicità come Petrarca che teneva religiosamente sul suo tavolo l´opera di Omero in greco pur senza conoscerne la lingua. L´attenzione che spinse Boccaccio a tradurre in latino l´Iliade e l´Odissea con l´aiuto di un greco originario della Calabria. Ammirare ma anche conoscere, dunque, le antiche civiltà.
Il progetto editoriale comprenderà diversi volumi. Il primo ad apparire è Roma. Un compendio di testi, di commenti, di immagini e di brani di autori latini che scorrono come epigrafi all´inizio di ogni capitolo (il volume è di 382 pagine). Ne è curatrice Ada Gabucci che ha scelto il metodo di svolgere la storia di Roma dalla fondazione della città nel 754 a. C. alla caduta politica e istituzionale dell´impero romano d´Occidente nel 476 d. C. senza occuparsi della regolarità cronologica e seguendo piuttosto una scansione tematica (Personaggi, Divinità, Città, Vita quotidiana, Mondo dei morti, Potere e vita pubblica) al cui interno c´è di tutto, dalle strade, alle acconciature, ai teatri e circhi, ai giocattoli, alle ville, agli antenati, ai trionfi militari, alle tecnologie, ai capi politici, agli imperatori, eccetera. La stessa scansione sarà adottata, con variazioni, per tutti gli altri volumi.
Al concludersi di Roma il lettore si porrà certamente la tormentata domanda: nel 476 è caduta anche la "civiltà romana" insieme all´ultimo, fragile imperatore e ai segni visibilmente svuotati di un potere politico durato quasi mezzo millennio?
L´interrogativo è, come si sa, antico, e proprio rispondendo negativamente ad esso è stato elaborato, a partire dal Medio Evo e soprattutto nel Rinascimento, il concetto che oggi possediamo di "civiltà". Cioè la potenza politica di Roma, la religione pagana, la forza giuridica e "civile" degli istituti repubblicani e imperiali hanno sempre suscitato il rispetto culturale anche se crollati quasi improvvisamente con la spallata dei barbari e per malattia interna (complicata dai germi del Cristianesimo): soprattutto perché hanno lasciato un segno indelebile nelle idee, nelle immagini letterarie e nei monumenti che le hanno rappresentate, combattute o esaltate. Dante lo dirà esplicitamente in un passo del Convito dedicato alle vestigia di Roma: «Le pietre che nelle mura sue stanno sono degne di reverenzia e ´l suolo dov´ella siede è degno oltre quello che per gli uomini è predicato e provato». Dante voleva così dire che la civiltà romana è degna anche di più (oltre) di quanto è stato testimoniato da coloro che l´hanno prodotta e da quanti l´hanno ereditata. È l´intuizione, con due secoli di anticipo, del Rinascimento o (avrebbe detto a metà Ottocento lo storico Jacob Burckhardt) del «risorgimento dell´antichità» e quindi della prima, compiuta elaborazione del concetto di civiltà occidentale.
Della dignità richiamata da Dante si farà interprete autorevolissimo Raffaello che in una celebre lettera a lui attribuita e inviata a Leone X protestava per le distruzioni dei resti storici romani invitando il papa a proteggere quel che rimaneva del mondo classico sia per confermarne la grandezza e bellezza, sia perché la loro «presenza» avrebbe acceso sentimenti sublimi.

giovedì 5 giugno 2008

L’eredità misteriosa di Piumana

La Nuova Ferrara, 19 settembre 2007
I segni del passato
L’eredità misteriosa di Piumana
Preistoria ed età romana nel mirino degli archeologi
di Marco de’ Francesco
PIUMANA (COPPARO) Un rustico romano e un sito dell'età del bronzo. E' quanto hanno portato alla luce gli archeologi, che sono intervenuti sugli scavi del metanodotto Edison all'altezza di Piumana (Copparo). Alla Sovraintendenza ancora non si sbilanciano: si attende la relazione degli esperti inviati in loco. Grande, invece, è la curiosità delle autorità locali, che, ai fini di una valorizzazione del territorio, attendono di capire cosa si celi sotto i loro piedi. E' nell'interesse di tutti gli attori divulgare le notizie sui reperimenti, perchè l'appartenenza ad un territorio non può prescindere dalla conoscenza della storia.

Da quelle parti i ritrovamenti romani, e i resti archeologici in genere, sembrano allineati sulle sponde dei fiumi del tempo, oggi scomparsi. Nell'antichità era il territorio a dettare legge e a stabilire, con precetti inesorabili, dove ci si potesse stanziare. Il tentativo, più volte fallito ed infine realizzato dalla seconda metà dell'Ottocento, di porre fine al dominio della natura, rappresenta di certo l'esito di una grande avventura. Ed è solo a seguito della grande bonificazione che il paesaggio ferrarese si è fatto simile a quello che oggi possiamo ammirare. Per secoli, si può parlare di egemonia delle acque.

La vita non doveva essere semplice per gli antichi abitanti della zona. Alla fine dell'età del bronzo, così come durante l'età etrusca, il Po seguiva altri corsi e il paesaggio era dominato da paludi, boschi e torbiere. Verso la fascia litoranea erano presenti estese lagune, e l'inesistenza di argini dovette condizionare non poco la vita dei popoli stanziati sul territorio. In età romana, il clima si fece più mite, l'agricoltura venne incentivata e aumentarono gli scambi commerciali. In quest'epoca il ramo principale del Po era il Po di Ferrara, che rappresentava la diretta continuazione del nuovo corso del fiume apertosi per Sermide, Ficarolo e Bondeno. E' probabile l'esistenza di un ramo confluente nel Po di Ferrara presso Cassana. Ma soprattutto esisteva un tracciato del fiume che comprendeva Copparo, Berra, Ariano e Mesola. A nord di Berra un ramo del Po passava per Ficarolo, Polesella, Crespino per poi perdersi nelle paludi a nord-est.


Benchè si tratti di località ancora poco conosciute dagli archeologi, le recenti scoperte non devono sorprendere. Infatti, già in epoca repubblicana il territorio cominciò ad essere valorizzato, soprattutto nelle sue risorse vallive, cioè con l'itticultura, i traffici commerciali e "industriali" lungo i vari rami dei fiumi e i canali, e con le regioni contigue. L'età romana era ancora funestata da esondazioni, che colpivano spesso il Ferrarese; ma gli insediamenti si fecero più stabili e si sviluppò una considerevole rete viaria. Dall'itinerario di Antonino e dalla tavola Peutingeriana (già, però, di età imperiale) emergono i principali assi che attraversavano il ferrarese: la vie emilia altinate (tra Bologna e Padova), popilia (tra Rimini ed Adria), la ab Hostilia per padum (tra il basso ferrarese e Ostiglia).

Nella prima metà dello scorso secolo Ercole Padovani compì alcuni scavi proprio nei pressi di Piumana; alcuni reperti furono poi donati al museo di Spina, dove sono ancora conservati. Si tratta di oggetti di uso comune, di età imperiale: piatti e anfore di terracotta, un cratere, dei manufatti in vetro e dei cucchiai di bronzo. Nulla di speciale, nulla che abbia un qualche valore artistico. Ma oggetti preziosi per altri versi, perchè aprono uno scorcio sul genere e sulla qualità della vita dei pionieri romani.

Gli agricoltori raccontano di fortuiti ritrovamenti, avvenuti in passato nel corso delle attività di campagna, e non denunciati un po' a causa dell'incapacità di riconoscere l'importanza storica dei reperti, e un po' per una scarsa conoscenza della legge italiana in materia, in realtà assai liberale. Si tratta, adesso, di procedere ad una valorizzazione complessiva del territorio. La base, non c'è dubbio, è conoscerlo. Poi la palla tornerà nelle mani delle autorità locali, che dovranno decidere cosa fare della ritrovata passione per le antichità.
(19 settembre 2007)

mercoledì 4 giugno 2008

DALL’UNIVERSITÀ "LA SAPIENZA" DI ROMA A BERLINO: LE CONFERENZE DI ANDREA CARANDINI E TULLIO DE MAURO SU "LA CASA DI AUGUSTO" E "LA LINGUA ITALIANA OGG

DALL’UNIVERSITÀ "LA SAPIENZA" DI ROMA A BERLINO: LE CONFERENZE DI ANDREA CARANDINI E TULLIO DE MAURO SU "LA CASA DI AUGUSTO" E "LA LINGUA ITALIANA OGGI E (FORSE) DOMANI"
(...)
Tornando alla conferenza del 4 giugno, questa si concentrerà sulla figura dell’imperatore Augusto che decise di andare ad abitare nell'epicentro mitico e sacrale di Roma, sul Palatino rivolto all'Aventino, dove erano situati il santuario di Fauno, dove Remo e Romolo erano stati salvati, la casa di Romolo e l'altare dove la città era stata fondata. Augusto voleva infatti rifondare la città e l'impero su un'altra ara all'interno di casa sua. Da giovane - siamo alla fine degli anni 40 a.C. - creò una pretenziosa reggia ellenistica a due peristili, con un atrio romano fra i due, ma nel 36 a.C. un fulmine la colpì e il principe augure così interpretò il prodigio: è Apollo che la reclama. Augusto interruppe dunque i lavori della dimora, la seppellì e vi costruì sopra una casa completamente diversa, relativamente più modesta, ma entro un enorme santuario di Apollo di 24mila metriquadri.
"Fino ad ora", sono le parole di Carandini, "le case non erano state distinte fra loro e risultava arduo effettuare una lettura corretta delle fasi e delle strategie di edificazione. Oggi abbiamo la chiave per sciogliere l'enigma: seguendo l'evolversi dei progetti impariamo a conoscere il principe committente più da vicino e per un aspetto fino ad ora non bene inteso. Questo nuovo centro abitativo, sacrale, cerimoniale, giudiziario, di governo e amministrativo rivolto al Circo è il primo nucleo dei palazzi imperiali".
"Il fatto che nella casa-santuario di Augusto", aggiunge il professore, "sia stato probabilmente celebrato il primo Natale al tempo di Costantino, entro la basilica di Anastasia, la sorella di questo imperatore, consente infine di comparare l'epifania ai pastori dei gemelli al Lupercale con l'epifania ai pastori di Cristo nella grotta di Betlemme".

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Realizzate dai Romani per proteggere la costa dai marosi, Dighe antierosione scoperte a Nora

Realizzate dai Romani per proteggere la costa dai marosi
ANDREA PIRAS
L'UNIONE SARDA - Dighe antierosione scoperte a Nora 03.06.2008

Scoperte nel mare di Nora, dagli archeologi subacquei, due dighe sommerse per fermare l’impeto delle onde e bloccare l’erosione. L’erosione costiera non è solo un’emergenza di oggi. L’avevano già individuata, tentando di porvi rimedio, gli antichi Romani. Almeno dalle parti di Nora, davanti alla città fondata dai Fenici, passata nelle mani dei Punici e che i discendenti di Romolo avevano poi conquistato, il mare ruggiva con forza, ingoiandosi spiagge e scogliere, minacciando l’ urbe. Ed è qui, a poca distanza dal litorale, che gli archeologi hanno scoperto una diga sommersa, grosse pietre non regolari ma chiaramente sistemate dall’uomo per smorzare le onde di duemila anni fa. Una vera massicciata non diversa da quelle erette a Perd’e Sali e che ora anche Capoterra vuole innalzare a Frutti d’Oro. «Sono blocchi di arenaria ricavata nelle cave della vicinissima penisola di Fradis Minoris, opere di rinforzo della costa», racconta l’archeologo della Soprintendenza di Cagliari, Ignazio Sanna, che nelle acque di Nora ha, insieme alla collega Manuela Solinas e ai sommozzatori della Guardia di Finanza, svolto una serie di indagini subacquee per mettere in evidenza le emergenze celate sul fondo del mare. «Uno studio cominciato nel 1996 e che ancora prosegue», racconta il ricercatore. «Siano intervenuti in maniera sistematica dai zero ai 15- 16 metri, per poi portarci fino ad una profondità di 28 e trenta metri, ed è proprio qui che ci siamo avvalsi della professionalità delle Fiamme Gialle». È proprio durante questa lunga prospezione subacquea che l’équipe della Soprintendenza archeologica ha scoperto le barriere frangiflutto. Una all’altezza dell’isolotto del Coltellazzo e Capo Pula, simile a quelle individuate nel recente passato a Malfatano. L’altra, più spostata verso la zona delle terme. Ma il mare di Nora ha restituito anche due importanti relitti sommersi. Una nave fenicia, adagiata su un fondale di 28 metri che aspetta soltanto di essere scavato. Si tratta di una nave da trasporto che custodisce anfore resinate, dunque utilizzate per il trasporto del vino. «Anche se questa tecnica di costruzione veniva sfruttata per conservare anche altri tipi di alimenti come per esempio le carni, come abbiano avuto modo di constatarlo in altri importanti rinvenimenti e ricerche a Santa Giusta e nella stessa Nora», ricorda Sanna. «Le anfore recuperate nel relitto dell’ottavo secolo avanti Cristo a Nora provengono dalla zona meridionale della Spagna dove si trovavano le prime colonie fenicie, e questo conferma quanto era stato ipotizzato: cioè la relazione tra Nora e le colonie iberiche ». La costa sud occidentale continua dunque a restituire testimonianze antiche, “pezzi” del passato che di volta in volta consentono di scrivere (a volte riscrivere o almeno correggere) la storia della Sardegna. E proprio nella baia di Agumu a saltar fuori dal fondale roccioso è stato anche un altro scheletro ligneo di una nave di epoca ben più recente di quella fenicio-punico-romana. «È un relitto del settecento », dice ancora l’archeologo subacqueo, «ma tutta la baia di Agumu come quella più estesa verso Nora conserva parecchio materiale che per ora abbiano censito e il cui lavoro di indagine consentirà, in futuro, di programmare eventuali interventi di recupero». Anfore, ancore, magari l’intero scafo di una bellissima nave da esporre nei locali del futuro Parco archeologico di Nora, Sant’Efisio e dei Quattro mari.