sabato 10 maggio 2008

Pompei ritrova il porto di Venere

Pompei ritrova il porto di Venere
Carlo Avvisati
31/01/2007 , il Mattino

La notizia arriva proprio alla vigilia del convegno che farà il punto su quattro anni di scavi. A Pompei c’era un porto, duemila anni fa, proprio a ridosso delle mura di cinta e occupava tutta l’area dell’attuale piazza Esedra. Vale a dire che nella zona sottostante il tempio di Venere, sul lato Sud degli scavi, a pochi metri dall’ingresso di Porta Marina, si trovava una rada dove attraccavano barche di piccolo cabotaggio il cui compito era quello di trasbordare le merci dalle più grosse navi commerciali, costrette dalla stazza a fermarsi al largo della «Petra Herculis», la pietra di Ercole, l’odierno scoglio di Rovigliano. La scoperta è stata fatta da Emmanuele Curti, docente di Archeologia e Storia dell’arte romana all’Università di Matera, confrontando i dati emersi dalle indagini (carotaggi e analisi geofisiche) compiute a circa otto metri di profondità dall’attuale livello stradale. Le analisi effettuate dagli specialisti sui materiali trivellati hanno evidenziato le tracce di un antico letto di fiume. «Evidentemente - sottolinea Curti - il Sarno, venti secoli fa, lambiva la città». E proprio per sfruttare quella opportunità i pompeiani avevano deciso di attrezzare uno scalo. Ecco spiegato il tempio di Venere, protettrice dei marinai, i magazzini nell’area inferiore dell’edificio sacro, il Foro Triangolare e il mercato del pesce. Di questa scoperta, e non solo, si discuterà durante il convegno internazionale «Nuove ricerche archeologiche nell’area vesuviana (scavi 2003- 2006)» che si aprirà domani a Roma per continuare fino a sabato, nella Sala del Mappamondo di Palazzo Venezia. Tre giorni in cui il gotha dell’archeologia internazionale sarà chiamato a illustrare scoperte, rinvenimenti, metodologie di lavoro utilizzati a Pompei, Ercolano, Stabiae, Oplontis, Terzigno, Boscoreale. Nell’area di pertinenza della Soprintendenza archeologica gli istituti archeologici di mezzo mondo: dagli inglesi ai francesi, dai tedeschi agli svedesi, agli americani, ai giapponesi, hanno difatti sviluppato indagini e fatto ipotesi ardite, ottenendo risultati eccellenti. «L’importanza di questo convegno - sottolinea con soddisfazione il soprintendente Piero Giovanni Guzzo che introdurrà i lavori subito dopo il saluto di Claudio Strinati, soprintendete del Polo Museale romano - sta in prima battuta sul livello raggiunto nella conoscenza storica e archeologica delle aree vesuviane. La soddisfazione è quella di aver potuto organizzare e coordinare un lavoro così esteso che ha portato a importanti nuove acquisizioni storiche». Così al tavolo dei relatori si alterneranno, tra gli altri, studiosi e ricercatori di prestigiosi istituti universitari, come Henrik Boman, Margareta Staub, dell’Università di Stoccolma e Istituto d’Archeologia svedese di Roma; Fabrizio Pesando dell’Orientale di Napoli; Ann Laidlaw e Marco Salvatore Stella, dell’Accademia Americana di Roma e Università di Perugia. Ancora: Filippo Coarelli, Albert Ribera da Valencia, José Uroz Saez dell’Università di Alicante, Umberto Pappalardo e Antonio De Simone del Suor Orsola Benincasa di Napoli, Satoshi Sakai e Vincenza Iorio dell’Istituto paleologico di Kyoto. E Andrew Wallace-Hadrill della Scuola Britannica di Roma, Maria Paola Guidobaldi della Soprintendenza pompeiana, Domenico Camardo dell’Herculaneum Project, il piano finanziato da David Packard attraverso il Packard Umanities Institute che sta permettendo salvaguardia e recupero degli scavi di Ercolano. «Le ultime indagini fatte nel vicolo meridionale - rivela difatti Camardo - ci hanno permesso di recuperare l’antica pendenza della città ricavando un quadro prospettico simile a quello della costiera sorrentina. In uno scavo nell’area meridionale della Casa di Telefo abbiamo intercettato, poi, un piano della domus volontariamente interrato dai romani e abbiamo riaperto i cunicoli borbonici puntellando percorsi e colonne delle case ancora interrate». Insomma, un convegno con enormi possibilità di ricaduta scientifica e culturale per Pompei e gli altri siti vesuviani. «In effetti - sottolinea Guzzo - la ricaduta c’è già, considerato che l’apertura delle aree archeologiche alla collaborazione internazionale ha fatto sì che i siti vesuviani diventassero il centro delle attività archeologiche internazionali».