sabato 10 maggio 2008

L'impronta dei Romani in Sicilia

L'impronta dei Romani in Sicilia
MARTEDÌ, 02 GENNAIO 2007 La Repubblica Palermo

Un volume ricostruisce il patrimonio di arte e cultura di una civiltà: dalla villa patrizia di Piazza Armerina ai teatri fino all´acquedotto di Termini Imerese
Le residenze aristocratiche erano un corpo estraneo rispetto al tessuto urbano
La dominazione fu segnata da un intreccio di scambi e influenze

La romanizzazione del territorio comportò la riorganizzazione per grandi latifondi, assegnati ai ceti dominanti della capitale.
È l´inizio di quella cultura delle grandi estensioni agrarie che ha caratterizzato il paesaggio siciliano almeno sino al recente passato, e che in età imperiale e tardoimperiale trova la sua splendida espressione architettonica nelle grandi ville nobiliari extraurbane di cui la più celebre è naturalmente quella sorta in contrada Philosophiana, a Piazza Armerina.
Alla Sicilia romana e alla lunga, complessa e stratificata vicenda romana in tutta l´Italia meridionale è ora dedicato il volume "I Romani in Sicilia. Arte, storia e civiltà", edito da Banca Nuova e curato da Filippo Coarelli con il contributo di Emidio De Albentiis e Simone Sisani (pagine 300, riccamente illustrato), concepito come un itinerario tematico divulgativo attraverso un fitto corpus fotografico di siti archeologici e repertorio museale - monete, ceramiche, iscrizioni, corredi tombali - che illustrano quel grande intreccio di culture che la dominazione romana, in Sicilia come altrove del resto, seppe coordinare in quel fitto gioco di scambi e di influenze che rimane il carattere peculiare della sua civilizzazione. Un mosaico grandioso, duttile nei suoi meccanismi ma sempre attento a imporre il marchio inconfondibile della romanità - i segni dell´impero - come sigillo di una forte identità giuridica e amministrativa. L´ampia circolazione di beni, manufatti e maestranze - dalla penisola ma anche dall´Africa settentrionale, da dove giungono tra l´altro i mosaicisti che lavorano nella Villa del Casale - disegnava insomma la fisionomia articolata del potere.
Un sincretismo necessario, oltre che consapevolmente perseguito come un metodo, anche per il confronto e la sovrapposizione con la fiorente cultura greca da cui i Romani accolsero modelli urbanistici, edifici monumentali, officine e botteghe, al punto che, per alcune opere, è ancora oggi assai arduo individuare con esattezza periodo e contesto di realizzazione: come nel caso del magnifico Ariete bronzeo (l´unico sopravvissuto di una coppia) oggi al Museo Salinas di Palermo, la cui datazione oscilla tra l´ultimo periodo greco e l´età repubblicana, o come l´eccezionale raffigurazione di un astrolabio - la Terra al centro, tutt´intorno le orbite ellittiche - di un mosaico pavimentale di una casa di Solunto, attribuito a maestranze alessandrine e dubitativamente datato alla fine del II secolo avanti Cristo. Quando, cioé, l´occupazione romana nell´isola era avvenuta da tempo, e i canali commerciali e culturali propri dell´ellenismo rimanevano quindi aperti e ben battuti. Anche se è probabile (la questione è comunque incerta) che agli artefici locali si sia sostituita, in età imperiale e soprattutto da quando la romanizzazione aveva assunto caratteri maggiormente coercitivi, l´importazione massiccia di statue, ritratti e sarcofagi destinati a segnare luoghi pubblici e residenze private secondo i modelli e il gusto ufficiale delle diverse epoche.
E tuttavia, nonostante il riordino delle città (una geografia urbana che annoverava tra i centri maggiori Siracusa, Catania, Palermo, Lilibeo, Solunto, Tindari, Taormina), gli interventi sugli edifici monumentali (la costruzione della scena architettonica nei teatri di Taormina e Catania), la realizzazione di notevoli infrastrutture come strade e acquedotti - la testimonianza maggiore è quello nei pressi di Termini Imerese - la romanizzazione della Sicilia non avvenne mai secondo una assimilazione definitiva: minoritario per tutta l´età repubblicana, il latino rimase ad esempio sino alla fine del mondo antico la lingua ufficiale ma non quella maggiormente praticata ed era spesso affiancata dal greco, come se una parte del sostrato isolano opponesse una resistenza passiva nei confronti dei nuovi dominatori. Ed è possibile che anche le grandi residenze aristocratiche distribuite a segnare una costellazione degli snodi commerciali dell´epoca - quelle del Casale, di Terme Vigilatore nei pressi di Barcellona, di Patti, del Tellaro vicino Eloro - luoghi dell´otium filosofico e letterario secondo una prassi ampiamente diffusa con gli orti sorti nella capitale nella fase di transito verso l´impero, fossero percepite come un corpo tutto sommato estraneo al tradizionale tessuto isolano, e non a caso, per le decorazioni a mosaico, furono impiegate prevalentemente maestranze provenienti da fuori Sicilia. Eppure, in uno di questi mosaici, la scena figurata improvvisamente rende conto di un episodio che ha tutti i caratteri di un emblema isolano: la villa è quella di Terme Vigilatore, dove un pavimento a tessere bianche e nere racconta quello che sarà, quasi due millenni dopo, un leitmotiv isolano: la pesca del pesce spada, la cui sagoma inconfondibile volteggia intorno alla barca - due vogatori, una terza figura alla fiocina - in compagnia delle presenze, abituali nei mosaici romani, dei delfini. Se hanno avuto modo di conoscerlo, sarà certamente piaciuto a Renato Guttuso e a Stefano D´Arrigo.