sabato 10 maggio 2008

Il Lupercale era la cappella votiva ai tempi di Romolo. Un ritrovamento di valore inestimabile

ROMA. Il Lupercale era la cappella votiva ai tempi di Romolo. Un ritrovamento di valore inestimabile
Renata Mambelli
24 gennaio 2007, La Repubblica, ROMA

E il sonar trova il luogo del mito il primo tempio al dio della fertilità
L´intera area è uno scrigno che, tagliato in sezioni, offre tutti gli strati della storia dell´Urbe. Le tracce dell´incendio di Nerone
Gli archivi di Adriano in un enorme palazzo sorto all´epoca della Domus Aurea. I simboli del potere di Massenzio

Si sa che c´è, si sa anche dov´è, ma per ora è irraggiungibile, un mistero nel cuore dei misteri di Roma. Sonar e apparecchi di rilevazione ne hanno rivelato l´esistenza: stiamo parlando del Lupercale, cappella in cui, secondo la tradizione storica, i primi romani adoravano il dio della fertilità. Un luogo mitico, quasi come la cosiddetta casa di Romolo, i resti di una antichissima dimora dell´epoca dei Re di Roma. Il Palatino è lo scrigno di reperti così antichi e importanti, accatastati insieme alle sontuose e altissime dimore degli imperatori, costruite su case di età repubblicane e sulle quali sono state costruite, poi, ville rinascimentali, oppure chiese e conventi. Come una grande torta, tagliato in sezione offre fette di storia, storia che si sovrappone e lascia tracce, come quelle dei grandi incendi, tra i quali quello ai tempi di Nerone, oppure, più recente, l´incendio che ha rischiato di far diventare cenere gli archivi imperiali dell´epoca di Adriano. Quegli archivi occupavano parte delle fondamenta di un enorme palazzo, una specie di grattacielo per i tempi, sorto all´epoca della Domus Aurea e poi, dopo la morte di Nerone, riusato dalla dinastia Flavia, che si affacciava sulla Nova Via, allora affiancata da grandi portici. In questi locali, in un ipogeo del complesso neroniano, sono stati trovati poco tempo fa i simboli del potere di un imperatore, forse Massenzio, che erano stati sepolti in fratta e furia e mai più recuperati: scettri in calcedonio e pietre dure, armi da parata, stendardi di seta con i loro sostegni. La magnificenza di un imperatore era stata sigillata in un pozzo, con la speranza, forse, che la sua sconfitta non fosse definitiva. Questi materiali, fino ad ora documentati solo da monete e rappresentazioni, saranno esposti in una mostra a febbraio.
Ma il Palatino non si limita a nascondere i resti delle fortune degli imperatori, la magnificenza dei palazzi dei potenti, da Augusto a Tiberio a Domiziano. Racconta anche la storia della fede e delle usanze dei romani. Come il grande tempio della Magna Mater, verso l´odierna via di San Teodoro, davanti al quale si svolgevano sfrenate feste religiose. E proprio per questo davanti al tempio il poco spazio concesso dalle rupi era stato allargato con una costruzione ardita che faceva sembrare questa parte del colle simile alla fiancata di una nave. Lo spiazzo ottenuto in questo modo poteva contenere almeno tremila persone. Gli studiosi ne hanno ricostruito la struttura anche osservando i canali di scolo delle acque piovane, messe ad una altezza incredibile, giustificabile appunto solo con una costruzione posta ancora più in alto.
Ma che il Palatino fosse una specie di Manhattan del tempo lo dimostrano anche i grandiosi palazzi di Tiberio che divennero poi gli orti della Vigna Barberini, e, sul lato opposto del colle, le Biblioteche e il Paedagogium, le caserme per i pretoriani e per i paggi imperiali. Qui, davanti a queste camere che affacciano sull´attuale via dei Cerchi, in epoca repubblicana scorreva un fiume, e le cronache del tempo riportano anche l´esistenza di un vero e proprio traghetto che permetteva il passaggio da un colle all´altro. Ma i paggi dell´imperatore, affacciandosi da quelle finestre, non vedevano più un fiume, ma il Circo Massimo, con le sue gare di bighe. E a poca distanza da qui, verso i Fori, una biblioteca annessa al tempio di Augusto dell´epoca di Tiberio è diventata, nel corso dei secoli, una delle più antiche chiese di Roma, Santa Maria Antigua, appunto, con i suoi stupefacenti cicli pittorici voluti dai papi che salirono sul trono di Pietro tra il VI e il IX secolo.
Le splendide pitture che ornavano i palazzi di Augusto e di Livia, recuperate con un difficilissimo restauro, presto saranno visibili al pubblico. Ma per un mistero svelato, per una porzione di storia riconquistata e resa disponibile ai nostri occhi, molti altri restano sepolti sotto cumuli e cumuli di pietre e storia, per venire alla luce, a volte, in modo del tutto inaspettato: come la sorprendente tigre di marmo scoperta nelle fondamenta della Domus Tiberiana, esposta oggi nella mostra alle Olearie Papali. Altre statue, altri stendardi, altri scettri restano nascosti nelle profondità del Palatino, come il mitico Lupercale, rivestito, si dice, di gusci di conchiglie.